Chiesa di Sant’Eutizio – Belfiore di Foligno (PG)

Una chiesa scomparsa persino dalla memoria degli abitanti.

 

Cenni Storici

L’abitato di Belfiore in origine non esisteva in quanto le prime tracce di colonizzazione del luogo e le più antiche si trovano spostate più a monte come era tipico antropizzare i territori in quell’epoca.
Le prime abitazioni civili di Belfiore furono indubbiamente una conseguenza della presenza di opifici lungo il corso del fiume Menotre.
La villa di Fragnano infatti non sorgeva lungo il corso del fiume, ma sulla collina che domina questo corso.
Il vocabolo Fragnano è derivato certamente da Flamignano e da Flaminia, per la vicinanza di questa via, che percorreva quasi tutto il territorio di Foligno, e, dalla sentenza del card. Capocci, si rileva che la chiesa di questa villa era chiamata, nel 1239, di San Titii, da cui poi venne l’Eutitii, che probabilmente in origine non si risolve che nel S. Tito, discepolo di S. Paolo.
Fragnano fu il nome della villa di Belfiore.
Il nuovo insediamento ebbe inizio durante il sec. XVI, e sulla fine del ‘600 la villa di Belfiore aveva già una propria chiesa, quella di S. Maria Assunta la cui fabbrica fu iniziata nel 1683, mentre la comunità di Fragnano era servita dalla chiesa di S. Eutizio; in alto poi, sul colle di S. Egidio, dove appunto un tempo sorgeva il Castello dei conti di Uppello, restava in piedi la chiesa di S. Egidio, ora detta di Pasanello.
La caratteristica dell’insediamento di questa valle non è stato solo delimitare gli spazi in ambito territoriale oggettivo, ma, caso quasi unico, la popolazione delimitò il suo territorio anche in ambito sacro, innalzando edifici religiosi nella direzione dei 4 punti cardinali e nelle strade di accesso che conducevano al paese, nessuna esclusa.
Questi edifici o edicole con immagini sacre, delimitavano lo Spazio Sacro di Belfiore e costituivano una protezione spirituale per gli abitanti, quasi una barriera frapposta alle forze del male, il corrispettivo del ruolo che svolge la cinta muraria per una città.
Abbiamo detto nessuna strada esclusa, comprese le mulattiere, come in questo caso, dove la chiesa di Sant’Eutizio proteggeva la mulattiera di montagna, il percorso utilizzato più dai residenti che dai viaggiatori, in quanto è vero che portava sull’altopiano del monte di Pale da dove si poteva comunque raggiungere i Piani Plestini e Capodacqua, ma non era la via più agevole, più breve e più comoda in quanto per questo percorso esisteva la strada che salendo dall’Altolina raggiungeva Pale e agevolmente Colfiorito.
La mulattiera in questione era più che altro ad uso dei residenti che salivano sulla costa del monte per l’approvvigionamento della legna per il fabbisogno giornaliero, infatti la strada da Belfiore saliva a lambire la chiesa di Sant’Eutizio, sbucava a monte dell’abitato di Liè e da li si inerpicava sulla costa fino agli altopiani del monte di Pale.
Proprio per le sue caratteristiche di utilizzo tale strada era denominata e tuttora conosciuta come la “strada delle fasciaiole” cioè quelle donne che di mattina presto salivano in monte per tagliare un fascio di legname, per lo più di sottobosco, per portarlo a casa e che sarebbe servito al fuoco per cucinare per uno o due giorni.
Questa operazione per gli abitanti di Belfiore era quasi quotidiana, quindi si può immaginare il via vai di persone che passava davanti alla chiesa e quante di esse si fermava a pregare o per prendersi un attimo di ristoro dalla fatica incontrata.
Ho parlato di ristoro perché accanto alla chiesa c’era anche una fresca e ricca sorgente di acqua che veniva attinta anche per usi domestici dagli abitanti sia di Belfiore che di Liè che scendevano con le brocche in testa a prelevarla; quindi quale miglior posto per riprendere fiato e ristorarsi nel corpo e nell’anima.
La piccola chiesa di Sant’Eutizio dipendeva dalla chiesa di S. Nicolò, dalla quale dipendevano anche S. Maria di Prato in Belfiore, S. Egidio di Lieo fatto fare dalla casa dei signori Onofri, S. Egidio in Ravignano, S. Vittore nella villa omonima e S. Anna in Scanzano dei signori Gentili.
Ora non resta che un brandello di muro di questa chiesa, ma per capire sia la sua storia che come era fatta occorre beneficiare di un inventario redatto il 28 giugno 1728 dal chierico Eutizio Pierantonii “alla presenza e secondo la relazione di Tommaso Zaccardi e Francesco di Cesare dalla detta villa, uomini prattici ed informati de’ beni e rendite del detto semplice benefizio che da me fu ottenuto per bolle apostoliche spedite sotto il dì 16 luglio 1721 per renunzia fattane dal chierico Pietro Picrantonii mio fratello, ora monaco olivatano, quali beni, ragioni e frutti sono l’infrascritti“.
In questo atto si legge che la chiesa era a navata unica con tetto a capanna e accanto al portale aveva due finestrelle per i viandanti; aveva un solo altare e nella parete dietro di esso c’era un affresco con la “Vergine de’ fiori con il lattante Bambino Gesù, alla destra s. Maria Jacob, alla sinistra s. Eutizio“.
Nel 1707, viste le sue precarie condizioni, venne restaurata da Pietro Pierantoni a sue spese, che provvide al rifacimento del tetto, una speronatura e nuove decorazioni interne “ed abbellita seguitamente d’intorno di pittura, con ripartite colonne dipinte e per riparare ad ogni intempestivo accidente per non esser a volta, fu la medesima altare proveduta di un nuovo cielo dipinto in tela“.
Secondo il relatore che a suo tempo fece ricerche “nella cancelleria episcopale” non si conosce la data esatta della sua edificazione, ma il primo atto conosciuto che la menziona risale al 1477, ma si può supporre che esistesse da prima, non solo a giudicare dai resti di pietre utilizzate, si deduca che probabilmente sia stata costruita su un precedente edificio di epoca romana che esisteva sul posto o nelle immediate vicinanze.
La conferma della sua antica esistenza si ha nelle carte dell’Abbazia di Sassovivo, dove troviamo menzione di questa località, in data 1087 (luglio).
Un certo Bono, figlio di Petrone, per la redenzione della sua anima e di quelle di Pietro suo padre e
di Adamo suo fratello, dona a Mainardo e alla chiesa di Veccli delle proprietà, alcune delle quali pervenutegli dal detto Adamo, situate nella località di Fragnano, fra cui la cella “iuxta sanctum Titium“.
Nel 1239, ai tempi della sentenza del card. Capocci, abbiamo un’altra menzione di questa chiesa, considerata tra quelle appartenenti al “sexterium episcopatus“, cioè dipendenti amministrativamente dal Vescovo.
Lo Jacobilli, nella sua opera “Vita dei Santi e Beati dell’Umbria“, narra in maniera abbastanza diffusa la vita di S. Eutizio, che è necessario conoscere per i suoi riferimenti storici e pastorali su questa chiesa nelle vicinanze di Belfiore.
Nel lungo elenco delle varie chiese della Diocesi di Foligno, si dice che la chiesa di S. Eutizio o corrottamente Eugutizio di Fragnano, secondo la Libra del 1295 al foglio X, aveva un certo patrimonio con una rendita di 70 libre e 10 soldi, con possedimenti situati in queste località: “in gneis – in Fragnano – in Carpenetis – sub pennis – iuxta flumen Guesie” e intorno alla chiesa stessa Fragnano, o Frangnano.
Da notare una curiosità: al tempo del card. Capocci, la chiesa di S. Eutizio è detta pure “ecclesia sancti Titii“.
Anche in un documento del 1364, viene ricordata la chiesa “S. Titii“, in un contratto
privato, assieme a Fragnano, Lié e S. Vittore.
Per alcuni non si tratterebbe più di S. Eutizio, ma di S. Tito, discepolo di S. Paolo.
Altra notizia che si desume dalla visita apostolica di Mons. Camaiani del 27 maggio 1573; in quell’epoca risulta ancora funzionante la chiesa di S. Eutizio ma è “sine cura” cioè senza servizio di assistenza pastorale delle anime e il rettore era allora un certo “d. Rutilius de Speculo“.
Circa la sua situazione statica e la sua funzionalità, si accenna al pavimento rovinato e che vi si celebra la S. Messa nel giorno del Santo.
Nel XVII secolo la chiesa che era di proprietà del Priore Giusti, dopo la sua morte visse uno stato di abbandono e per qualche tempo servì come ricovero di animali e legna; tutto questo come si è detto fino al 1707 dove la chiesa rinacque e acquistò molti possedimenti e benefici.
Per quanto riguarda gli arredi, il nostro chierico afferma che suo fratello oltre a restaurarla provvide ad arredarla a sue spese, eccetto la campana; ce la descrive così:
primieramente per ornamento dell’altare, quattro fiori di talco color di perle, con ripartite rose rosse di seta, candelieri due di legno tornito, tinti rossi una carta gloria con sua cornice di legno tinta negra e venata bianca, un Cristo di legno, un palliotto di tela indiana di fondo rosso con fiori celestini e suoi fregi d’oro falso, due tovaglie ed un sciugatore, una delle quali con merletti di filo; una pianeta, stola, manipolo, sopra calice di stoffa ordinaria di bavella e seta di fondo bianco con ripartiti fiori di più colori e suoi fregi d’oro falso; un camigio di tela, amicto, fazzoletto con suoi merletti e cingolo; una berretta negra da prete, un confessionario con sua graticcia di latta, di legno d’abete, un tavolino con suo cassetto con chiave, quattro banchi: due da sedere e due d’appoggio“.
Fra gli altri beni tale chiesa possedeva numerosi appezzamenti di terreno destinati a selva, frutteto, seminativi e soprattutto olivi.
Nel 1709 il sig. Giuseppe e Antonio Pierantonii istituirono la festa di S. Eutizio il 23 maggio facendo celebrare in questa chiesina nel giorno della festa quando 7 e quando 10 messe.
Altre quattro ve ne fece celebrare un tal Bartolomeo di Pietro ed altre 3 Vincenzo di Michelangelo.
La chiesa resiste almeno nella sua struttura fino al 1872 dove nel rilevamento catastale dell’epoca era ancora visibile almeno il perimetro; oggi dell’edificio religioso non rimane che qualche pietra.
In quel sito viene ricordato un antico cimitero di persone morte di colera, e il culto dei morti che si esprimeva in questo posto è un fatto ricordato dalle persone anziane fin nel dopo guerra, le quali raccontano che la sera del giorno commemorativo dei morti una processione partiva dalla chiesa parrocchiale con luce di candele concludendosi a S. Eutizio.
I fedeli recitavano il rosario e il parroco l’ufficio dei defunti, concludendo il rito con la benedizione con l’acqua santa e l’incensazione dello spazio cimiteriale.
 

Aspetto

La chiesa sorgeva a circa dieci metri dalla fonte omonima, che ancora zampilla un filo di acqua che viene raccolta in un conservone sottostante ad uso irriguo.
Dell’edificio rimane il muro di contenimento della scarpata nella parte destra e un brandello della parete d’altare che con il tempo è stata adattata ad edicola religiosa; alcune pietre sono state innalzate nella parte alta del brandello formando una nicchia con tetto a capanna dove probabilmente era stata posizionata un’immagine sacra.
Ora il tutto è completamente avvolto dall’edera che tutto sommato ha fatto da protezione evitando che crollasse durante i terremoti del 1997 e 2016.
La particolarità che si nota in questo rudere sono delle pietre sponghe perfettamente squadrate e in particolare una grossa pietra di travertino con incasso di origine romana; il tutto riutilizzato nella costruzione e la pietra di travertino non è escluso che sia stata addirittura la base della mensa d’altare.
 

Il culto di Sant’Eutizio

Lo storico folignate Jacobilli narra che S. Eutizio di Laodicea venne qui in Italia con trenta compagni, al tempo di Teodorico re degli Ostrogoti, e che alcuni di essi si fermarono a vivere nella
valle castoriana, nei pressi di Norcia.
S. Eutizio assieme a S. Florenzio giunsero in questa località umbra nel 516, per una esperienza
eremitica, nelle varie grotte, tuttora esistenti nella valle.
Costituitasi quindi una comunità religiosa, S. Eutizio fu eletto quale Abate nel 526, terminando i suoi giorni in concetto di santità.
Il suo compagno S. Florenzio, che assisté alla morte dell’amico nel 592-593, si trasferì a Foligno e chiese a un suo compagno, S. Vincenzo di Soria, allora vescovo di Foligno, dodicesimo nell’ordine
dei vescovi di Foligno, nell’elenco dello Jacobilli, un luogo di eremitaggio.
S. Florenzio così andò a vivere sul Subasio, presso il Monastero di S. Silvestro, tuttora esistente e restaurato; lì visse per otto anni nella penitenza e nella preghiera e la sua fama si diffuse per tutta
la regione andando molti da lui per chiedere consigli.
S. Florenzio, secondo la tradizione, morì lassù nel 548.
Il culto dei folignati per questo santo eremita fu tale da volerlo onorare costruendo in tempi antichissimi (ma non si conosce l’anno preciso) una chiesetta in onore del suo più celebre maestro S. Eutizio, nel villaggio di una terra di Foligno, chiamato Fragnano (Belfiore), e “ogni anno fino al presente“, al tempo dello Jacobilli, ne celebravano la festa con un ufficio di rito doppio, e quindi liturgicamente solenne, il 23 maggio.
 

Fonti documentative

Scuola Media Statale “Nicolò Alunno” di Belfiore di Foligno a cura di Don Mario Sensi – Belfiore e il suo Spazio sacro – 1990
Don Luciano Gregori – La Valle del Menotre – 1990
D. Placido T. Lugano Olv. O.S.B. – Delle chiese della Città e Diocesi di Foligno nel secolo XIII secondo una sentenza del 1239 e la “Libra” del 1295 – 1907
 

Da vedere nella zona

Villa di Liè
Villa di Ravignano
Chiesa di Sant’Egidio di Ravignano
Eremo di Santa Maria Giacobbe
Edicola di Colfornaro
 

Mappa

Link coordinate: 42.984719 12.759375

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>