Chiesa di Santa Marina – Castel Ritaldi (PG)

E’ la chiesa madre del centro di Castel Ritaldi.

 

Cenni storici

L’impianto originario risale al secolo XIV.
La più antica chiesina era, rispetto a quella attuale, in posizione trasversale: andava dalla porta degli uomini alla cappella di fronte, che ne era il presbiterio.
Nel corso dei secoli ha subito varie trasformazioni, con ampliamento e variazione dell’orientamento.
La Chiesa fu officiata dai Benedettini fino al 1321, da tale data subentrarono gli agostiniani, che vi rimasero, fino al 1848.
Sulla parete della sacrestia, era scritto l’ammontare della tassa (ora coperto dalla calce); diceva: “Si ricorda ai Padri Priori pro tempore pagare il canone di mezza libbra di cera bianca ogni anno alla mensa episcopale di Spoleto per la concessione di questa nostra chiesa, che fu a dì primo luglio 1321 sotto il Pontificato di Giovanni XXII“.
Nella visita pastorale del 1745 si ricorda il “chorus post altare maius stile gothico et eleganti constructus”.
Si ignora in che periodo la parrocchia fu trasferita dalla Pieve di San Gregorio alla Chiesa di Santa Marina, la documentazione pervenuta, che si trova presso l’archivio comunale di Castel Ritaldi, ne attesta l’attività dal 1827 al 1863.
Attualmente esiste a Castel Ritaldi una Parrocchia dei Santi Gregorio e Marina.
Immagine distintiva di Castel Ritaldi è il campanile che si erge maestoso costruito di pietre conce rosse, di origine chiaramente chiesastica.
La cuspide fu rifatta nel 1879 in occasione della rifusione della campana maggiore, e nel più recente restauro negli anni intorno al 2000.
Ogni lato ha due finestre e verso la piazza spicca l’orologio che per secoli ha scandito la vita dei paesani, più in basso un’antica meridiana.
Di particolare importanza sono le campane di Santa Marina, collegate anche all’orologio.
La campana grande pesa 5 quintali e reca una scritta “Ex aere ad coelestes Patronos honorandos cura Eugenii Venturini Rectoris. Et nomina Mariae, Marinae, Gregoriae imposita. Exechiele Nessi reciaere fundit, 1879.
Benedetta nel 1879, sostituì la più antica, ma più piccola, che si ruppe per sbadataggine del campanaro.
La campana mezzana reca la scritta “A fulgure et tempestate, libera nos, Domine Carolus Antonius Petrolinius Trebiae fudit A. MDCCLXXV” e fu comperata a Trevi durante il periodo Napoleonico.
La campana minore reca la scritta “Jesus, Maria, paesentibus et futuris malis libera populum Castelritaldorum ab omnibus.“.
Fu fusa a Trevi, pesa 100 kg e il comune ne rivendicava l’utilizzo per la scuola e le convocazioni del Consiglio.
 

Esterno

Si accede in Chiesa per due ingressi laterali, coperti da un portico, che probabilmente era utilizzato per le riunioni della comunità, quando non avvenivano dentro la chiesa e prima che fosse stata eretta la Domus Comunitatis.
I sedili sono del secolo XV.
Secondo un’antica tradizione, la prima porta è degli uomini, l’altra delle donne.
 

Interno

In un ambiente a sinistra della porta degli uomini è conservato uno splendido fonte battesimale.
L’interno, rifatto nel XIX secolo è ad unica navata, ampia e luminosa, con soffitto altissimo e travatura a capriata, ha grandi nicchioni e due cappelle.
L’abside della chiesa attuale è rivolta a mezzogiorno ed è realizzata utilizzando una torre circolare della fortezza.
Il presbiterio, è rialzato da due gradini e racchiuso da un arco che si appoggia su due colonne; sotto l’antico pavimento reticolato, la cripta per le riunioni della Compagnia del SS. Sacramento.
Nella prima cappella di sinistra una statua di Sant’Antonio Abate con l’usuale maialino.
A sinistra resti di affreschi di difficile lettura, poi una tela raffigurante la Madonna Addolorata e San Gregorio Magno, il primo cherubino a sinistra regge a scritta A SUA MAESTÀ CARLO MARTELLO RE DI FRANCIA.
Al centro un altare seicentesco con tela di un anonimo eugubino sec. XVII, raffigurante San Gregorio Magno, Sant’Antonio Abate e Santa Caterina d’Alessandria.
Sopra una statua, forse Santa Marina.
Sulla parete di sinistra un tondo molto oscurato, di difficile lettura e un affresco frammentario raffigurante un santo barbuto.
La seconda cappella era l’abside dell’antica chiesa, sul tamburo interessanti affreschi quattrocenteschi, molto oscurati, con otto figure di difficile decifrazione, il primo a sinistra forse è San Bernardino, la penultima a destra Santa Lucia, l’ultimo a destra un papa, forse Urbano V.
Nelle vele decorazioni floreali.
Segue un altare con la statua di Santa Marina, avente in braccio il bimbo allevato come suo.
A sinistra dell’abside un altare è ornato dalla più bella opera della chiesa, una magnifica raffigurazione della Madonna del Soccorso; la vergine con un ampio manto stellato, brandendo un bastone con una frusta, libera un bimbo ossesso, strappandolo dagli artigli di un demonio.
L’immagine, che prelude alla Immacolata Concezione, è tipicamente ed esclusivamente agostiniana, largamente diffusa e presente nei secoli XV e XVI in tutte le chiese dell’ordine.
Raffigurata anche la madre desolata e il lettuccio del piccolo.
Sullo sfondo un luminoso paesaggio bucolico con scena di caccia.
Il cartiglio sotto reca la scritta SANCTA MARIA POPULO CASTRI RITALDI, 1509.
L’opera è generalmente attribuita al Melanzio di Montefalco, lo Gnoli e il Todini la assegnano invece, probabilmente con ragione, a Lattanzio, figlio del più famoso Nicolò di Liberatore detto l’Alunno.
Il dipinto, infatti, nell’impianto generale risente ancora dell’influsso di Nicolò, mentre il paesaggio ricorda la maniera del Pinturicchio.
Nell’iconografia inconsueta, ma già presente nel repertorio di Nicolò, compaiono delle varianti significative rispetto alla tradizione: la Vergine tiene in mano il flagello dei disciplinati in luogo dell’usuale bastone, e nella parte inferiore, al di sotto dei suoi piedi, compare la culla di un bambino, similmente alla Madonna del Soccorso, olio su tela dipinto dall’Alunno nel 1482 ed ora esposto alla Galleria Colonna di Roma.
Il culto della Vergine del Soccorso nacque a Palermo nel 1306, quando al padre agostiniano Nicola la Bruna, in punto di morte, apparve la Madre di Dio, che lo guarì dal male.
La Madonna chiese al monaco rendere pubblico il miracolo e di essere invocata quale “Signora del Soccorso“.
Da allora gli agostiniani ne promossero il culto e collocarono statue della Vergine nelle chiese dei loro monasteri.
La leggenda da cui nasce la particolare iconografia è così trascritta nel racconto di Umberto Gnoli: “Parecchi anni or sono, entrando nella chiesa agostiniana di S. Maria in di Borgo in Sassoferrato vidi quasi nel centro della nave una macchina in legno e cartapesta rappresentante la Madonna del Soccorso.
Attorno al gruppo ardevano alcuni ceri, e v’era genuflessa insieme ad un ragazzo una vecchiarella che mi raccontò: «C’era una volta una madre che seccata dal pianto e dalle grida insistenti del suo figlioletto in un momento di rabbia esclamò: che il diavolo ti porti! E subito comparve un diavolo orribile che acciuffò il putto per portarselo via. La madre disperata si rivolse per soccorso alla Madonna, che subito intervenne scacciando il diavolo con un bastone, e restituendo il bambino alla madre. Ogni anno il martedì di Pasqua, le mamme vengono a pregare ai piedi di questa statua con i loro ragazzi, ma quando raccontano loro la storia, la cambiano un poco, e narrano che il bambino aveva disobbedito e perciò venne il diavolo a prenderselo, ma la storia vera è quella che ho detto io … ».
Così appresi la prima volta da una donna del popolo quale miracolo della Vergine illustrassero le immagini della Madonna del Soccorso.
Da allora m’interessai a questo tema iconografico e ne trovai parecchi esempi, tutti nelle Marche e nell’Umbria o nei paesi finitimi o provenienti da quelle regioni, e in genere in conventi e chiese o confraternite dell’ordine di S. Agostino
”.
Al centro dell’abside v’è un bel Crocefisso del ‘300.
A destra dell’altare una nicchia con affresco, bisognoso di restauro, di Tiberio di Assisi (discepolo del Perugino), firmato e datato 1512.
Nella calotta è raffigurato l’Eterno benedicente su nuvole d’oro con un globo in mano e un arco iridescente tutt’intorno, nove serafini e due angeli.
Nel centro del tamburo Santa Caterina Martire d’Alessandria con a sinistra Tobiolo e l’Arcangelo Raffaele e a destra Papa San Silvestro I sopra un drago morto.
Sotto il catino una fascia con un testo parzialmente decifrabile:
PROTECTAR ASPICE … NOS
B…. C… A.D. M. …. TIBERIUS DE A(SISIO) (PI)N(XIT)

Sulla parete destra altare con tela di Romanelli Giovanni Francesco, Madonna del Rosario con san Domenico, santa Caterina da Siena, san Francesco d’Assisi e san Carlo Borromeo.
Sempre sulla parete di destra, già controfacciata della chiesa originaria si trovano affreschi quattrocenteschi, raffiguranti San Michele Arcangelo, una figura, forse una Madonna, di cui resta solo il lembo inferiore, una Madonna del Latte.
In fondo in una nicchia altri affreschi, probabilmente cinquecenteschi molto oscurati, in alto si riconosce l’Eterno Benedicente, in basso San Gregorio Magno.
Nella parete di fondo affresco staccato raffigurante la Madonna col Bambino in una mandorla del Serafini (1508).
Nella sagrestia un bell’affresco raffigurante una Pietà, dall’aspetto sembrerebbe del XIV secolo.
Si accede poi a un piccolo chiostro e sulla destra del corridoio a un oratorio, ove è stato riscoperto sotto l’intonaco un bel Crocifisso dai caratteri trecenteschi.
 

Storia di Santa Marina

Scarse e confuse sono le storie inerenti la Santa, molte le leggende.
Figlia di un vedovo, che alla morte della moglie si ritirò in monastero, lasciandola ai parenti, Marina fece anche lei il suo ingresso al convento travestita da uomo e col nome di Marino.
In un giorno di questua si fermarono a dormire in una locanda, proprio mentre la figlia dell’oste rimase incinta di un soldato.
Scoperta, la giovine incolpò Marino che per questo fu cacciato dal monastero.
Quando il bimbo di quest’ultima nacque, lo portarono da Marino e fu allevato fuori dal convento. Quando un bel giorno Marino fu riammesso al convento, dovette sottostare ai più duri servizi che lo fecero ammalare fino alla sua morte, nel seppellirlo, si accorsero che in realtà era una donna e da subito venerata come santa, anche dalla sua accusatrice, che, presa da un demonio, ne fu liberata.
Da quel giorno il culto per Santa Marina dilagò.
Molte sono le peripezie della salma della Santa, ma non si sa come e quando divenne Patrona di Castel Ritaldi.
Sta di fatto che la devozione alla Santa è tuttora viva.
Una statua lignea con angioletti tuttora la rappresenta all’interno della chiesa, in una teca.
Reca in braccio un bambino, ha un volto nobile, amabile, sofferente.
 

Fonti documentative

Fausti L., I castelli e le ville dell’antico contado della città di Spoleto, Perugia, Editoriale Umbra, 1990
Guerrini G.-Sensi M. (a cura di), Tre comuni rurali e i loro statuti: Colle del Marchese, Castel San Giovanni,Castel Ritaldi, Regione dell’Umbria, Perugia, Editrice Umbra Cooperativa, 1985
Nessi S.-Ceccaroni S., Da Spoleto a Montefalco, “Itinerari Spoletini” n.2, Spoleto, Panetto e Petrelli, 1975
Tabarrini M., L’Umbria si racconta, Assisi, Tip. Porziuncola, 1982,
Tabarrini M., A Castel Ritaldi tra storia, arte e poesia, Assisi, Tip. Porziuncola, 1986
Clara Cecchini Castel Ritaldi Storia leggende e altre tradizioni Guerra edizioni

http://siusa.archivi.beniculturali.it/

http://www.santamarinapolistena.it/

 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini
 

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