Chiesa di Santa Maria “intus civitatem” – Castro (VT)


 

Cenni Storici

Santa Maria “intus civitatem” è situata nella parte sud-ovest dell’antica città, nelle sue vicinanze sorgeva una delle quattro porte urbiche.
La chiesa presenta diverse fasi costruttive la cui prima collocazione cronologica risale al secolo XIII, come testimoniato dalla tipologia dell’impianto planimetrico a croce latina, con l’organizzazione della zona presbiteriale conclusa in tre absidi, dalla regolarità dei ricorsi dell’ordito murario, dagli elementi ceramici inseriti nella muratura della volta, inquadrabili tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XIV.
Una successiva fase è da ritenersi la tamponatura dell’abside e la monumentalizzazione dell’altare, con edicola in travertino, risalente all’epoca rinascimentale, XVI secolo.
Dal 1537 seguì le sorti del contiguo convento di San Francesco, progettato dall’Architetto Antonio da Sangallo il Giovane, per volere del Duca Pierluigi Farnese, e ultimato nel 1649.
L’Ordine Francescano di Castro ebbe per lungo tempo l’uso della chiesa, e nel 1577 fu costruito attiguamente un complesso conventuale di piccole dimensioni, privo del chiostro e di particolari comodità.
Nella relazione di una visita pastorale compiuta dal vescovo di Castro Mons. Giovanni Ambrogio Caccia nel 1603, appare la denominazione Santa Maria con l’appellativo “intus civitatem” cioè dentro le mura cittadine.
Ciò è dovuto al fatto che le altre chiese dedicate al culto mariano erano tutte extraurbane.
Nel documento il vescovo Caccia nomina questa chiesa, come una volta, cattedrale della città.
In essa era venerata la statua della Beata Vergine che era portata in processione nella festa dell’Assunzione.
Nel 1600, a seguito del crollo del tetto i francescani l’abbandonarono definitivamente.
Successivamente fu restaurata dalla Società degli Artigiani, di cui divenne sede.
A seguito della seconda guerra di Castro, nel 1649, l’edificio religioso fu raso al suolo come il resto della città, travolto dal crollo della chiesa e di parte del convento di San Francesco che, trovandosi in posizione dominante, si riversarono sulle strutture della chiesa facendone crollare la copertura e l’apparato murario.
Da quel momento, la chiesa restò sepolta sotto cumuli di macerie.
Trascorsi più di tre secoli nell’oblio, nel luglio 1997, dopo circa trenta anni dalla prima indagine archeologica all’interno della distrutta città di Castro, a seguito di una segnalazione di scavo clandestino che aveva liberato una piccola parte di un edificio sulle cui pareti si notavano lacerti di affreschi, fu avviata la campagna di scavo archeologico della chiesa di Santa Maria, riportata poi alla luce da un cantiere finanziato dalla Soprintendenza Architettonica del Lazio.
 

Aspetto

La chiesa di Santa Maria ha un impianto a croce commissa formato da un’unica navata e presbiterio terminante con tre absidi scavate nel tufo, in parte visibili esternamente.
Ha l’ingresso principale posto a sud-ovest, vi si accede tramite una scalinata composta da sette gradini.
La navata aveva due aperture laterali; lungo il lato destro è presente una porta rialzata rispetto al piano esterno di calpestio, e non collegata con esso, che probabilmente era utilizzata per le apparizioni della statua della Vergine durante le processioni, mentre lungo il lato sinistro sono stati ritrovati i segni di un accesso murato con blocchetti di tufo assieme a conci di arco in trachite rossa che costituivano il portale.
Il presbiterio, sopraelevato rispetto al piano di calpestio della navata di due gradini, era accessibile dall’esterno tramite due ingressi, posti a sinistra e a destra della navata, caratterizzati in alzato da due portali costituiti da conci in trachite.
All’accesso posto a destra è possibile accedere dall’esterno tramite tre gradini in tufo, che collegano la quota esterna più bassa alla chiesa.
Della chiesa interamente pavimentata in cotto, oggi rimane conservata la pavimentazione dal presbiterio, mentre della navata sono visibili solo i segni.
Tra il pilastro centrale della navata e l’arco trionfale, che divide navata e presbiterio, era posizionato un sedile in tufo, rivestito in cotto, su cui era poggiata una lastra di marmo bianco.
Sulla parete longitudinale destra del presbiterio è presente un’apertura tamponata e trasformata in finestra.
L’alzato, oggi quasi del tutto scomparso, era formato da blocchi di tufo e coperto con volte a crociera.
Il rettangolo che forma la navata è generato da due quadrilateri definiti in pianta tramite due pilastri aggettanti, posti al centro, da cui partiva un arcone centrale e due colonnine addossate che in alzato formavano le nervature costituenti le due volte a crociera di copertura.
Mentre il presbiterio era coperto da tre volte a crociera, separate da due arconi che poggiavano direttamente su un doppio ordine di mensole in trachite; dai lati delle mensole partivano dei beccatelli modanati che sorreggevano le volte a crociera.
Al di sopra delle volte del presbiterio era realizzato un cocciopesto di impermeabilizzazione, alleggerito da vasi in terracotta.
L’esterno, non intonacato, aveva gli ingressi e le bucature scandite da cornici in trachite grigia e marrone-rossa ed elementi decorativi antropomorfi in nenfro grigio scuro mentre l’interno era interamente intonacato e affrescato.
Gli affreschi presenti nella parte sinistra del presbiterio sono poco conservati per la presenza di numerose radici che hanno compromesso il supporto retrostante ed inoltre gran parte delle figure presenti sono spicconate come se fossero state preparate per essere nuovamente affrescate.
Nonostante ciò, partendo dal muro sinistro del presbiterio è riconoscibile un San Michele arcangelo ed una serie di raffigurazioni quasi completamente perse, tra cui è identificabile una Figura in trono con penitente posto in basso a destra.
Nella parte bassa del pilastro posto tra il muro e l’abside sinistra è visibile la raffigurazione di un Diavolo con tridente.
Il presbiterio, interamente perimetrato da un sedile lapideo, fatta eccezione la zona centrale dell’abside maggiore dove sono evidenti i segni di una cattedra in marmo, presenta tre altari, uno per ognuna delle absidi.
L’abside sinistra racchiudeva un piccolo altare in legno che sorreggeva la statua della Vergine, con antistante una mensa realizzata in blocchi di tufo con sopra una lastra in travertino.
La lastra nascondeva un contenitore in trachite con coperchio al cui interno erano conservate le reliquie del Santo.
Sono visibili tracce della Vergine in trono, con cornice circostante, con a sinistra una figura inginocchiata in preghiera e poco più in basso figura con saio e sandali che reca un libro poggiato sul braccio sinistro, di seguito un’altra aureolata con barba, probabilmente San Pietro, che si intravede una chiave nella sua mano sinistra.
L’abside centrale, più pronunciata rispetto alle laterali, racchiudeva una cattedra in marmo di cui restano ancora frammenti nella muratura con antistante un’ampia mensa in blocchetti di trachite sopraelevata, rispetto alla quota del presbiterio, da tre gradini.
Al centro del presbiterio, antistante la mensa, è stata ritrovata la sepoltura descritta dal Vescovo Caccia, coperta con una lapide in marmo bianco con iscrizione.
Nell’abside centrale è riconoscibile, al registro superiore, un Cristo Benedicente posto all’interno di una mandorla sorretta da dieci angeli.
Alla sinistra della mandorla è rappresentata una Madonna in trono con Bambino, a destra una Madonna avvocata.
Al primo ordine nell’abside centrale sono riconoscibili a sinistra una Madonna in trono con bambino, alla cui sinistra è riconoscibile San Giovanni Evangelista, un Personaggio aureolato con raffigurato un triangolo e un occhio sulla parte superiore della fronte, e a destra la raffigurazione di una Santa.
L’abside destra risulta occlusa da una tamponatura alla quale è addossato un altare in travertino, sopraelevato rispetto al presbiterio di due gradini, sulla cui mensa, composta da due lastre in travertino, si imposta una apertura trabeata d’ordine dorico, composta da due colonne in travertino con sovrastante trabeazione.
Sul fregio dell’ordine si legge un’iscrizione incisa che recita: HIERONIM. SPONT NI.
Nell’abside destra, tamponata dall’altare in travertino durante la prima metà del XVII secolo, è stato possibile rinvenire, durante un saggio di pulitura condotto nella parte retrostante la tamponatura, tracce di affresco appartenenti ad un precedente programma figurativo della chiesa, in cui è oggi riconoscibile un Cristo in croce, posto al centro dell’abside, con a sinistra la raffigurazione di una chiesa con campanile e campana.
Sull’altare si trovava un dipinto murale raffigurante la Trinità.
Trafugato dal suo sito originario da scavatori clandestini, ora è conservato al Museo di Ischia di Castro.
Il dipinto con la raffigurazione della Trinità risponde al tipo iconografico dell’Eterno assiso che tiene il Cristo in croce esposto frontalmente con la colomba dello Spinto Santo allocata sull’asse centrale tra le due figure.
Lo si può far risalire alla metà del XVI secolo nell’ambito della rinascita farnesiana della città, quale capitale del Ducato omonimo.
Sul pilastro che divide l’abside centrale da quello destro rimangono resti di un affresco riproducente Sant’Antonio Abate ai piedi del quale è inginocchiato il committente; sul pilastro a sud, al di sotto della mensola in nenfro, restano i frammenti dell’affresco raffigurante un Santo Vescovo.
Ai lati dell’altare sono presenti, inoltre, due nicchie trilobate.
Sulla parete destra del presbiterio è presente un affresco della Madonna con bambino tra due angeli e committente e proseguendo verso ovest un affresco raffigurante Sant’Antonio di Padova col Bambin Gesù.
Sulla parete ad est dell’apertura tamponata è riconoscibile la figura dell’Arcangelo Michele ed infine sul lembo di parete prossimo all’angolo sud-ovest è visibile una triade di personaggi aureolati dei quali quello centrale mitriato, alla cui sinistra è leggibile l’iscrizione San Savin., che lo identifica con San Savino vescovo e protettore di Castro e alla sua destra con cuffia e volto di scorcio è identificato dall’iscrizione in caratteri gotici San Placatius forma traslata di San Pancrazio.
Nonostante i numerosi conci e i frammenti rinvenuti durante il cantiere, ad oggi è impossibile descrivere ciò che era rappresentato lungo le pareti della navata, mentre sono evidenti le rappresentazioni presenti lungo le pareti del presbiterio, anche se la chiesa negli ultimi 20 anni ha subito numerosi furti con notevole asportazione di parti di superficie affrescata.
Presso il Museo Civico di Ischia di Castro sono raccolti una discreta quantità di conci di tufo con lacerti di affresco alcuni dei quali di notevole mano, tra cui Madonna col Bambino, Testa di Santo, Santa, Ecce Homo e tre aguzzini, Ritorno dalla Fuga in Egitto.
Sempre nello stesso museo si possono ammirare le ceramiche utilizzate per alleggerire la copertura, acrome ed in maiolica, in particolare una ciotola murata nel corpo di un concio tufaceo (XV secolo), bell’esempio di maiolica decorativa monumentale.
Allo stato attuale, la chiesa di Santa Maria risulta essere l’edificio più rappresentativo della distrutta città
di Castro, in grado di mostrare al visitatore l’immagine di una città precedente alla fase rinascimentale,periodo finora non sufficientemente attestato e studiato nell’ambito della cronologia urbanistica ed architettonica della città.
Purtroppo non è visitabile in sicurezza, per la presenza di elementi della copertura provvisoria non stabili.
Vi sono inoltre le solite fosse di sepoltura non adeguatamente protette.
 

Fonti documentative

AA. VV, Chiesa di Santa Maria intus civitatem in I Musei del Lazio ed il loro territorio Approfondimenti/3 Il Museo civico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro Medioevo e Rinascimento, Roma 2011, pp. 94-140

http://geapolis.eu/i-silenzi-di-castro-la-prima-cattedrale-santa-maria-intus-civitatem/

 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Mappa

Link coordinate: 42.532099, 11.647268

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