Chiesa di Santa Maria in Castello – Tarquinia (VT)


 

Cenni Storici

La chiesa di Santa Maria costituisce il monumento medievale più importante di Tarquinia.
Essa sorge su uno sperone all’estremità occidentale della rupe di Tarquinia, nel punto dove sorgeva il castrum Corgnetum, nucleo originario della Corneto medievale.
La costruzione della chiesa ha una storia molto articolata: il progetto ebbe inizio nel 1121 e la locazione su cui doveva sorgere l’edificio era un’area dislocata e disabitata della città chiamata Castrum Corgnetum.
La realizzazione della chiesa era stata affidata molto probabilmente a diversi architetti dato che sugli stipiti del portale principale sono presenti delle iscrizioni dove vengono citati Pietro di Ranuccio, Nicola di Ranuccio, Giovanni e Guittone a cui Nicola aveva dato i natali.
Ancora non si possiedono abbastanza informazioni attendibili per confermare che questi siano gli architetti dell’edificio, ma si sa per certo che hanno contribuito alle decorazioni.
La chiesa fu consacrata nel 1207 da Innocenzo III, negli anni seguenti fu completato l’arredo interno che ne consentì l’utilizzo.
Fu pienamente attiva fino al 1435 e restaurata diverse volte fino all’abbandono totale avvenuto nel 1567 con la sua sconsacrazione.
Nel 1867 le truppe francesi, venute in Italia su invito di Pio IX, adibirono la chiesa a stalla.
 

Aspetto esterno

La chiesa ha una facciata, orientata ad Est, che si affaccia su uno slargo al di fuori delle difese della città costruite dall’Albornoz nel XIV secolo.
Al suo fianco si erge una torre gentilizia, la più alta di tutta la città.
La facciata, in origine forse tripartita, assunse il coronamento orizzontale in epoca tarda mentre nel XVIII secolo, quando fu aggiunto anche il campanile a vela.
Di forma rettangolare presenta tre portali, di cui il più importante è quello centrale costruito da Pietro di Ranuccio nel 1143.
L’informazione è data dalla scritta che vi si trova:
RANUCII PETRUS LAPIDUM NON DOGMATE MERUS ISTUD OPUS FECIT OPTIME.
Sormontato da una struttura arcuata a tutto sesto contiene sette dischi decorati in passato con mosaici di fattura cosmatesca, conservati parzialmente.
Gli stipiti e l’archivolto sono decorati da dischi e da cerchi raccordati da fasce che ospitano ancora parte della decorazione cosmatesca.
Nella parte interna degli stipiti si trovano delle colonne con capitellini compositi che proseguono con una modanatura circolare intorno alla lunetta che forse conteneva in origine un mosaico.
Al di sopra del portale si trova una bifora incorniciata anch’essa da una modanatura arcuata che prosegue lungo gli stipiti fino al davanzale con semicolonnine di architettura lombarda; il capitello della colonnina centrale è decorato con un motivo a foglia d’acanto.
Una scritta attribuisce la bifora al fratello di Ranuccio, Nicola:
NICOLAUS RANUCII MAGISTER ROMANUS FECIT HOC.
Due portali più semplici si aprono ai lati del portale maggiore, divisi da questo da due lesene che facevano parte dell’originaria facciata.
Il tufo prende qui il posto del marmo.
Alla facciata originaria appartengono anche le due serie di archetti pensili, costruiti mediante l’inserimento di triangoli in pietra lavica più scura (il nenfro) con la quale sono ricavati anche i peducci.
Rozze decorazioni trovano posto nella concavità.
Il fianco della chiesa è scandito da pesanti lesene tra le quali si aprono una serie di monofore.
Ad una fase successiva (corrispondente alla creazione delle volte e della cupola) risale la muratura della navata centrale, aperta da più ampie finestre e, all’altezza della cupola, da due rosoni.
Le semplici finestre a spalle dritte hanno un solo rincasso che assume in alcuni casi un profilo modanato
La fascia sottogronda riprende i temi decorativi degli archetti di facciata arricchendone il repertorio.
Al centro della navata sorge la sezione superstite, e molto rimaneggiata, della cupola che in origine presentava una fascia di archetti ciechi ed era sormontata da un lanternino.
Si tratta di una soluzione architettonica originale che, associata all’asse ideale definito dai due rosoni, fonde la concezione basilicale della navata con l’impianto centrale di derivazione bizantina.
A strapiombo dalla rupe si possono osservare le absidi, di cui quella centrale, poligonale con spigoli sottolineati da semicolonne, presenta un oculo a losanga al di sotto della finestra.
Si tratta di un elemento decorativo di provenienza pisana.
 

Interno

La chiesa, priva di transetto, si articola in tre navate: la navata centrale è composta da cinque campate mentre le navate laterali ne hanno dieci, cosicché ogni campata della navata centrale è il doppio di quella laterale.
Sia la navata centrale che quelle laterali sono coperte da volte a crociera costolonate.
Nell’interno si possono abbastanza agevolmente identificare le tre fasi costruttive che interessarono la costruzione dell’edificio.
La prima fase (1121-1143 circa) corrisponde ai muri sino al livello degli archi longitudinali.
Si nota infatti come parte dei pilastri compositi abbiamo i componenti verso la navata centrale che si interrompono bruscamente senza avere alcuna funzione strutturale.
Nella seconda fase (1143-1168) fu completato l’arredo interno, ora molto frammentario, e furono voltate a crociera costolonata le navate.
I capitelli sono scolpiti in blocchi di nenfro, costituendo una netta cesura rispetto alla muratura delle navate, possono essere fatti risalire alla prima fase costruttiva.
I rilievi sono grossolani e raffigurano in gran parte soggetti animali fantastici sui capitelli dei pilastri mentre in quelli delle colonnette prevalgono i soggetti vegetali.
Solo raramente appaiono figure umane tra gli animali o la vegetazione.
Una delle tipologie più interessanti è quella a “cesto di serpenti” che appare in un paio di occasioni.
I capitelli delle semicolonne sono in gran parte di tipo fogliato.
Appare alcune volte anche la tipologia a cuscino con angoli smussati mentre i capitelli hanno una più semplice decorazione a motivi classici o modanature.
La costruzione della cupola con l’apertura dei due rosoni laterali e la ricostruzione dell’abside sono datate alla fine del XII secolo.
Il rosoncino meridionale è aperto da cinque aperture rotonde poste a quadrifoglio; al disotto il bel rilievo raffigurante un volto maschile.
Il rosone opposto è a raggi ed è delimitato da una cornice a foglie uncinate; al centro un’aquila.
Il cilindro absidale è scandito da semicolonne che proseguono nel catino come elementi toroidali.
Molto interessante, anche se mancante di molte parti, è l’arredo interno della chiesa che risale alla seconda fase costruttiva.
L’ambone, di forma trapezoidale e di tipo romano, reca al centro una loggetta di forma semiottagonale agli spigoli della quale erano presenti quattro colonnine a torciglione trafugatetra il 1962 e il 1964, così come l’originaria decorazione cosmatesca e due protomi leonine, già poste in cima ai gradini d’accesso.
Si tratta di un’opera di Giovanni figlio di Guitto, membro della terza generazione della famiglia di marmorai che hanno lavorato al cantiere della chiesa.
Il lettorino poligonale presenta al centro una lastra di spoglio raffigurante un tralcio uscente da un cantaro.
Le cornici delle lastre sono scolpite con grande accuratezza utilizzando elementi decorativi classici.
L’accuratezza con cui sono resi gli elementi decorativi geometrici contrasta con la rozzezza dei due elementi figurati delle mensole inferiori del lettorino.
Sopra l’altare si trova il ciborio, eseguito da Giovanni e Guitto, figli di Nicola, nel 1168 come indica l’iscrizione sulla trabeazione.
Il ciborio doveva essere di tipo romano, con la copertura a gabbia.
È stato privato delle colonne in verde antico nel 1672, su iniziativa del cardinale Paluzio Albertoni Altieri, vescovo di Tarquinia.
Il prelato, impegnato ad allestire la sua abitazione romana, aveva fatto sostituire le colonne originarie con quelle oggi presenti, aggiungendo basi e capitelli nuovi in marmo bianco venato.
Lo smontaggio aveva comportatola perdita della preziosa copertura a tegurium, molto simile a quella del ciborio di San Lorenzo fuori le Mura a Roma (1148).
Su una delle colonne appare una scritta graffita fatta da un soldato, che testimonia la presenza di truppe francesi a Tarquinia:
DEVOYON- AU 7IÈME CHAUSSEURS À CHEVAL- LE 10 DICEMBRE 1867 (Devoyon- al settimo reggimento cacciatori a cavallo- il 10 dicembre 1867).
Pure molto frammentarie sono le transenne del coro, unico resto della scholacantorum che doveva circondare l’area occidentale della navata principale.
La navata centrale è ricoperta da una decorazione cosmatesca costituita da una parte centrale a rotae collegate da nastri intrecciati e da due parti laterali a “tappeti di preghiera“.
La parte occidentale, rialzata rispetto al resto del pavimento, doveva essere in origine circondata da una scholacantorum.
Le rotae segnano il percorso processionale dall’entrata sino all’altare.
Anche la navata sinistra è parzialmente ricoperta da una decorazione musiva, meno elaborata.
All’inizio della navata destra si ammira una bella fonte battesimale, di tipo ad immersione, opera dei marmorai romani.
Costituita da otto lati composti da lastre di marmo inserite in un’intelaiatura dalla semplice modanatura, la fonte battesimale ha in quattro piccoli triangoli posti negli spigoli della base gli unici elementi di decorazione a tarsia.
Secondo la tradizione locale, i marmi provengono dalla distrutta città romana di Gravisca.
Nella controfacciata e all’interno della chiesa si possono leggere numerose iscrizioni tra le quali le seguenti:
RANUCII PETRUS LAPIDUM NON DOGMATE MERUS ISTUD OPUS MIRE STRUXIT QUOQUE FECIT OPIME
(Pietro, figlio di Ranuccio, conoscitore dell’arte marmoraria fece egregiamente questa mirabile opera).
IUSSIT HOC AURARI CORNETI CONSOQUELATUS SILICET ANDREAS RANIERI IOANNIS PETRUS IDEM
(Il consolato di Corneto, rappresentato da Andrea figlio di Raniero, da Giovanni e da Pietro, ordinarono questo ornamento aureo).
 

Fonti documentative

MIARELLI MARIANI ILARIA, SGARBOZZA ILARIA Un “monumento mancato”: Santa Maria in Castello a Tarquinia. Abbozzo per una storia critica e conservativa. Atti del Convegno Internazionale La cultura del restauro. Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte, a cura di Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva(Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme -Università La Sapienza,18 – 20 aprile 2013)
SEVERINO NICOLA Il pavimento della Chiesa di Santa Maria in Castello a Corneto Tarquinia Nuove ipotesi di attribuzione

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_in_Castello_(Tarquinia)

http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Lazio/SantaMariaaTarquinia.html

 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Mappa

Link coordinate: 42.255679 11.751316

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