Chiesa di Santa Maria degli Ancillotti – Sterpeto di Assisi (PG)
Cenni Storici
Anche se la storia ufficiale della chiesa comincia agli inizi del XVII secolo, probabilmente l’edificio ha una origine ben più antica, infatti il casale in cui è inserito e appartenuto poi alla famiglia Ancellotti, pare risalente al 1100 e un primo documento della chiesa sembra risalire al 1179.
Comunque i reperti trovati durante gli scavi di consolidamento dell’edificio hanno portato alla luce reperti di uso quotidiano romani e oggetti di culto pagani, quindi non è da scartare l’ipotesi che il fabbricato successivo possa essere stato edificato su un luogo di culto precedente.
Comunque la storia conosciuta è un’altra e tutto nasce dalla volontà dei proprietari del latifondo che comprendeva oltre ai terreni e casali anche il castello di Bucaione sulla collina sovrastante l’edificio in questione.
La chiesa al momento dell’erezione avvenuta il 15 giugno 1633 fu dedicata alla Madonna dalla famiglia assisana degli Ancillotti, da qui il nome.
Il vescovo di Assisi mons. Tegrimo Tegrimi incaricava don Giacomo Egidi, canonico della città, a procedere alla posa della prima pietra per la fondazione della chiesa che l’assisano Francesco Ancillotti intendeva edificare nella balìa di Poggio Bucaione, in un terreno di sua proprietà, dov’era “situata una maestà et figura della Santissima Madonna dipinta nel muro con un tettarello essistente di sopra, chiamata, da tempo immemorabile, la Maestà degli Ancellotti“, dove pare che quest’immagine era da lungo tempo luogo di venerazione e devozione.
Essendo questa edicola posta sulla proprietà di questa famiglia, “vedendo la confluenza“, avevano a suo tempo costruito “una cappella con l’altare et paramenti necessari per ornamento di essa maestà“, senza che mai, però, fino ad allora, vi fosse stata mai celebrata la messa, da qui l’idea di ampliare la struttura e costruire una chiesa grazie alle elemosine e mantenerla con le stesse.
La chiesa di S. Maria degli Aricillotti fu regolarmente “visitata” nel 1659 dal card. Rondinini, che la trovò provvista del necessario e ordinò che la pietra consacrata dell’altare venisse fissata e alquanto sollevata.
Nel 1648 Pomponio Ancillotti, vendette a Michele Iacobetti il podere che comprendeva anche la chiesa, quindi lo “iuspatronato” passò a quest’ultima famiglia che vi celebrava la messa nei giorni festivi di precetto.
Nella visita apostolica di mons. Rondoni del 1732 si evidenzia che la spettanza dell’edificio religioso è del conte Vallemani erede dei signori Iacobetti, e proprio nei resoconti della visita si nota la storpiatura del nome della chiesa che viene definita “Beatissima Vergine dei Lancellotti” da cui l’espressione popolare che è giunta fino ai giorni nostri che la chiama “Madonna di Lancillotto“.
Nelle visite pastorali successive la chiesa viene trovata in buone condizioni e ben tenuta.
L’edificio subì gravi lesioni in seguito al terremoto del 13 gennaio 1832 tant’è che mons. Landi Vittori, vescovo di Assisi, che la visitò nel 1846, la trovò la mal ridotta, ordinò che venisse riparata entro l’anno, ma pare che questo appello non fu mai accolto tanto che negli anni successivi la chiesa andò sempre più in malora, il Conte proprietario svendette tutti i beni e portò via persino la campana, l’edificio religioso fu ridotto a magazzino dal colono che era il tenutario dei terreni.
Con il passare del tempo e l’abbandono delle terre da parte dei contadini, la proprietà fondiaria perse di valore e la coltivazione della terra non fu più redditizia essendo anni in cui l’economia si spostava verso l’industria ed il commercio; le terre e soprattutto la chiesa che era già in uno stato di profondo abbandono e degrado furono lasciate in balia della sorte ed del tempo, l’incuria e la vegetazione hanno fatto il resto.
In tempi recenti la proprietà è stata acquistata da un privato che dal 1993 ne ha fatto un relais e ristorante recuperando anche la chiesa che nel frattempo era stata sommersa dalla terra per oltre due metri dal piano di campagna rendendola addirittura invisibile fra i detriti.
Aspetto attuale
Ora tutto il casolare adiacente e soprastante la chiesa è stato recuperato ed adibito ad attività recettiva denominata Relais Santa Maria.
La chiesa è stata sapientemente recuperata durante gli scavi delle fondamenta ed è fruibile in tutta la sua bellezza.
L’ingresso dell’edificio è incavato a circa due metri dal piano di campagna e si accede scendendo un piccola scalinata esterna, il piccolo campanile a vela posizionato sul colmo dell’edificio soprastante.
Sulla facciata del casale è presente una meridiana in marmo che sembrerebbe originale, così ha affermato la proprietaria, dove compare la scritta “Comes luminis umbra” e un’altra in pietra di forma rotonda con lo gnomone in ferro, anch’essa ritrovata durante gli scavi, è murata accanto al cancello nella parte esterna del muro di recinzione.
Interno
L’interno è ad aula unica divisa in due da un arcone in pietra poggiante su una base ampia che doveva essere una colonna ben più alta di come la vediamo oggi, infatti l’ambiente è molto basso e contenuto.
Entrando a sinistra della controfacciata si nota una nicchia ricavata dalla parete in pietra ove è posizionata una vaschetta antica in pietra che funge da acquasantiera; nella parete sinistra si notano altre due nicchie una in alto più piccola e un in basso più grande provvista di tre pietre sporgenti alla base che forse sorreggevano una mensola.
Oltre l’arco divisorio sempre a sinistra si entra nell’ambiente presbiteriale e anche qui si notano altre 4 nicchie distribuite sulla parete.
Anche nella parete d’altare sono presenti altre nicchie; in questa parete su una tavola è raffigurata un’immagine della Vergine con il Bambino in braccio, ma non si tratta della figura originale sulla quale fu edificata la chiesa, ma un adattamento moderno.
La cosa particolare di questo ambiente è la croce in pietra appesa su un sostegno in legno sopra l’altare, rinvenuta durante le opere di scavo, che presenta una simbologia particolare, infatti nel braccio corto in alto è stato raffigurato il sole, all’incrocio centrale dei due bracci c’è un fiore con tre ordini di otto petali, mentre nei due bracci orizzontali, in ognuno ci sono due stelle a otto raggi, antica stilizzazione iconografica-simbolica del cielo suddiviso in otto parti.
La rosa a otto petali scolpita al centro della croce è il simbolo della rinascita e sopravvivenza dopo la morte, è uno degli emblemi più significativi della manifestazione del Divino.
Nell’asse verticale dopo l’incrocio con le braccia orizzontali c’è rappresentata la luna e alla base è presente un incavo rettangolare, forse per contenere le reliquie.
Questa dualità sole luna ha origini primordiali addirittura orientali, infatti questi simboli usati poi dai cristiani, pescano all’interno della simbologia pagana (il sole e la luna apparivano nell’iconografia delle divinità solari della Persia e della Grecia).
Il cristianesimo fece propria questa simbologia del sole e della luna, arrivata a Roma dall’Oriente ed entrò nelle tradizioni precristiane che desacralizzarono i due astri per sottrarli all’aura pagana, per inscriverli nell’immaginario cristiano; ed ecco che nella croce l’inserimento di questi simboli prende il significato dell’eterno conflitto fra bene e male, luce e tenebra, morte e vita ecc. dove il credente è portato a scegliere la via del Cristo trionfante sul male.
Tornando alla visita interna dell’edificio, troviamo nella parete presbiteriale destra altre due nicchie oltreché un antico mortaio in pietra rinvenuto durante gli scavi.
Scendendo nella parete destra troviamo atre nicchie originali ricavate alle pareti il cui utilizzo originario è al momento ignoto; in una di queste è riposta un mattone, anch’esso recuperato negli scavi, che riporta una scritta e la data 1791 dove pare che il “14 luglio” di quell’anno “fu trasportata questa immagine della Beatissima Vergine” ma questa opera non è stata mai ritrovata, forse fa parte dell’arredo che i proprietari portarono via dalla chiesa dopo il terremoto del 1832.
Nota
Ringrazio la proprietaria della struttura per avermi accolto e per avermi concesso di fotografare gli ambienti, ma soprattutto la ringrazio per la sua cortesia.
Fonti documentative
F. Santucci – Castello di Sterpeto: Il castello – La contea – La comunità – 1991
https://www.santamariadegliancillotti.com/