Chiesa di Santa Maria Assunta – Caprignone di Gubbio (PG)

La chiesa si trova lungo il Sentiero Francescano della Pace tra Assisi e Gubbio a ridosso della diga di Valfabbrica.

 

Cenni Storici

La chiesa sorge su un colle alla destra del fiume Chiascio in un luogo oggi sperduto fra i boschi ma che nel medioevo era ben conosciuto in quanto interessato da una strada che partendo dalla Porta di S. Pietro, collegava Gubbio ad Assisi, e che già nel XIII secolo era percorsa, sia per motivi devozionali che commerciali, da pellegrini e mercanti; poco lontano, sempre su colli, si ergono l’eremo fortificato di S. Pietro in Vigneto, i castelli di Petroia, nella cui curia rientrava Caprignone, e quelli di Biscina e di Coccorano.
Secondo ipotesi non documentate il nome Caprignone deriverebbe da un tempio pagano che sorgeva nelle vicinanze dedicato alla dea Cupra (o Cypra) Giunone e da questo nome, Cupra, sarebbe derivato il toponimo Caprignone.
Un’altra ipotesi che mantiene comunque la presenza del tempio, farebbe derivare il nome dall’usanza di offrire alla divinità una testa di capra e, quindi, sarebbe stato questo nome, capra, ad aver formato il toponimo Caprignone.
E’ accertato anche che già alla fine dell’XI secolo, sulla cima della collina, esistesse una chiesa, dedicata a S. Maria Assunta in Cielo.
Questo luogo è strettamente legato alla vita di San Francesco che durante il suo viaggio verso Gubbio dopo essersi spogliato dei beni del padre e secondo la leggenda qui avrebbe incontrato i “Ladrones” che lo avrebbero malmenato; aggressione che secondo il Fortini non sarebbe avvenuta qui ma in località “Il Pioppo” vicino Valfabbrica.
Appare invece documentato un cenobio caprignonese, un Capitolo con la partecipazione dei suoi primi trecento frati, sostentati dall’abbazia di S. Verecondo de Spissis di Vallingegno che San Francesco avrebbe tenuto qui tra il 1223 e il 1224.
Dubbia è anche l’origine della chiesa e del convento, infatti pare che nel 1224 un esponente della famiglia dei conti Bigazzini avrebbe donato a Francesco e ad alcuni suoi compagni un terreno a Caprignone per la costruzione della chiesa e del convento, forse lo stesso luogo in cui in precedenza sarebbe stata eretta la chiesetta di S. Maria Assunta in Cielo, a quell’epoca ritenuta ormai diruta, ma altri autori affermano che sarebbe stato, invece, Ugolino III di Albertino, conte di Coccorano, nel 1261 a fabbricare e donare ai frati dell’Ordine dei Minori a Petroia la chiesa e il convento di Caprignone che era stato talvolta ospizio di S. Francesco nel passaggio tra Assisi e Gubbio.
La prima notizia su Caprignone, desunta da documenti d’archivio, è del 5 Giugno 1291, quando il papa Nicolò IV concesse un anno e quaranta giorni di indulgenza ai fedeli che avessero visitato la chiesa nelle feste ed ottave della Beata Maria Vergine, di S. Francesco, di S. Antonio e di S. Chiara.
In quell’anno, dunque, secondo il documento pontificio, la chiesa di Caprignone, era edificata e molto probabilmente anche il convento in quanto i frati che avevano cura della chiesa dovessero necessariamente ritirarsi in un edificio nei pressi di essa e che i pellegrini che l’avessero visitata per ricevere l’indulgenza dovessero avere, a loro volta, un qualche ricovero in quei dintorni.
Di sicuro il cenobio era attivo nel 1343 in quanto, come scrive il Provinciale Ordinis Fratrum Minomm Vetustissimum redatto in quel tempo, è riportato nella IV Custodia Eugubina insieme ai conventi di Eugubium, Gualdum, Nuccrium, Collestaciarium.
L’antica campana della chiesa, oggi conservata sul campanile della chiesa parrocchiale di Scritto, frazione del Comune di Gubbio sembrerebbe del 1291, data della lettera papale, che reca ancora nell’extradosso del labbro, in rozzi caratteri gotici, la seguente iscrizione:
+ MENICUS ME FECIT ET LUCAS ET MATEUS
+ XPS VINCIT / XPS REGNAT / XPS IMPERAT.
Il convento di Caprignone nel pieno del XIV secolo era del tutto funzionante e la chiesa, trovandosi presso una strada imporrante era frequentata, arricchita e abbellita da pellegrini e da fedeli locali.
La chiesa fu oggetto di numerosi lasciti per cui godeva di un discreto benessere ed era considerata un’importante realtà, inoltre nel corso del Cinquecento, furono eseguite molte pitture per la chiesa dei Francescani di Caprignone, che ancora oggi si possono ammirare sulle sue pareti laterali.
La chiesa, come già il convento nel XV secolo, nelle fonti e indicata come intitolata a S. Francesco.
Intorno alla prima metà del XVII secolo venne realizzata per la chiesa di S. Maria Assunta una statua lignea della Madonna Lauretana, conservata un tempo presso la chiesa parrocchiale di Scritto, poi una volta che tale edificio è risultato inagibile, è stata trasferita presso la Casa Vescovile di Gubbio.
Nel Dicembre del 1638 il papa Urbano VIII aveva concesso un’indulgenza plenaria a chi fosse andato a visitare la chiesa di S. Maria Assunta in Cielo per la festa di S. Antonio da Padova.
Circa il numero dei frati presenti nel cenobio si sa da alcuni documenti redatti tra il 1637 e il 1640 che i religiosi potessero essere sette o otto, ma altri indizi, però, suggeriscono che, almeno per la maggior parte dell’anno, abitasse a Caprignone un solo frate, il guardiano, aiutato da alcuni laici, da diaconi e dal converso.
Addirittura, nel 1629, come si è rilevato, per un periodo di tempo non ci fu più neanche il frate che vi dimorava “secondo il solito“.
Con la riforma degli Ordini religiosi di papa Innocenzo X nel 1949 che stabiliva la soppressione delle residenze conventuali che non avessero avuto al loro interno almeno dodici religiosi, il convento di Caprignone venne soppresso e i suoi beni furono assegnati al Seminario eugubino.
Il 1 Giugno 1675 i beni di Caprignone furono venduti per duecento scudi di moneta romana, al cardinale Gaspare Carpegna compresa la chiesa che stava andando in rovina.
Nel XIX secolo i beni di Caprignone furono acquistati dai marchesi del Gallo di Roccagiovine, ma restarono ancora per diverso tempo in enfiteusi all’eugubino Zittelli, che provava particolare devozione per quel luogo sacro.
l Marchesi, nuovi proprietari, a loro volta, avrebbero dovuto mantenere e conservare in buono stato tanto la chiesa che l’abitazione annessa, ma non sempre ottemperarono a questo obbligo.
Da allora l’antico locus francescano, sempre più isolato, ha cambiato ancora proprietà e, in seguito, ha conosciuto un periodo di oblio, di abbandono e di degrado.
Negli ultimi anni, però, il bene è ritornato più volte al centro dell’attenzione pubblica, è stato parzialmente restaurato e riceve la visita di tanti pellegrini che percorrono il Sentiero Francescano, ripristinato nel 2000, e di numerosi fedeli che vi si recano annualmente il 15 Agosto, in occasione della festività di S. Maria Assunta.
 

Aspetto esterno

La chiesa presenta una facciata a capanna con un portale archiacuto impreziosito da una ghiera modanata in pietra calcarea.
Nella parte posteriore, dove insiste un forte pendio, è stato realizzato un ambiente voltato con un profilo di botte ribassata, forse una cripta o forse una ambiente dedito a ricovero temporaneo di pellegrini, ciò si deduce dalla presenza di nicchie sulle pareti simili a quelle rilevare in locali appartenuti a strutture ospedaliere e di accoglienza di fondazione medievale molto diffuse all’epoca nel territorio di Gubbio.
Non c’è più traccia del campanile a vela che era posizionato alla destra della parete di fondo.
Sul lato orientale insistono gli ambienti conventuali le cui fasi costruttive dovrebbero essere coeve alla chiesa; ha l’aspetto di un edificio di semplice impianto rettangolare, sviluppato su due piani collegati da una scala; Il piano terra presentava una teoria di arcate a formare un accogliente spazio porticato, parzialmente tamponato, nel piano superiore rimane la traccia della piccola monofora posta sul muro perimetrale.
 

Interno

L’impianto architettonico è improntato alla massima semplicità, con la chiesa che si sviluppa secondo una forma planimetrica regolare, a cui si aggiunge lungo l’asse longitudinale il volume modesto dell’abside, di forma quadrangolare.
La transizione tra aula e zona absidale è segnata dal grande arco ogivale, che ripercorre la foggia degli archi diaframma della tradizione costruttiva eugubina tardo-romanica.
La navata è proporzionata e ariosa, le pareti sono provviste di monofore semplici ed eleganti con sviluppo verticale.
La copertura dell’aula a capriate lignee.
La presenza di peducci posti in alto, agli angoli dell’abside fanno supporre che in origine ci sia stata una copertura voltata.
All’interno della chiesa si conservano affreschi di varie epoche ma va ricordato che Santa Maria Assunta è l’unica chiesa del contado eugubino che conserva affreschi risalenti al Trecento.
Entrando sulla parete destra si è conservato uno specchio con due immagini; la prima è una Madonna in trono con il Bambino che regge un lungo cartiglio in mano e in alto due angeli oranti contrapposti.
L’affresco (180 ca x 135 ca.) è stato attribuito a Girolamo di Matteo da Gualdo (?) (doc. 1507- 1515); nel cartiglio della Vergine si legge:
FIGLIOLO DILECTO REFRIGERIO ET PACE• / PIACCIATE DE CIASCHUM LALMA SALVARE/l CHE EL CORPO QUI DE SOCTO IN TERRA IACE“, mentre nel cartiglio di Gesù Bambino:
FIAT VOLUNTAS TUA“.
Alla base del trono un’altra scritta: “BARTOLOMEA UXOR GABRIELIS F[ieri] FECIT PRO ANI(m)A PATRIS ET MATRIS“; in calce all’affresco: “SEPULCRUM GABRIELIS A(lia)S CARPIA IACOMINI ET SUE FAMILIE“.
In questo dipinto funerario dedicato al figlio morto, la moglie di Gabriel, Bartolomea, commissiona il dipinto per l’anima del padre e della madre che si rivolge al Figlio, con cui lo esorta a salvare l’anima di coloro che sono là seppelliti; alla base della pittura è riferito che sotto si trova il sepolcro di Gabriel, alias Carpia, di Giacomino e della sua famiglia.
La figura accanto rappresenta San Giobbe (180 ca. x 85 ca.) affresco attribuito a Girolamo di Matteo da Gualdo dove nella cornice superiore si legge: “IOB [?] 1514“;
nel cartiglio sopra la testa del santo:
SIT NOM[em] D[omi]NI BENEDICTUM“;
in calce all’affresco: “BELLA UXOR ANTONII FIERI FECIT EX VOTO 1514” (Questa lettura è del Cenci che osservò il dipinto nel 1914).
La moglie di un tale Antonius, Bella, commissionò il dipinto probabilmente dopo che ebbe esaudito un voto, forse la liberazione, dopo una lunga sofferenza, da un male.
Salendo la navata troviamo uno spazio scalpellato dove era presente un altro affresco con la Madonna col Bambino fra San Sebastiano e San Rocco (stesso soggetto del corrispettivo sulla parete opposta, questo però ancora presente) che è stato staccato dalla parete, trasferito su tela e conservato presso il Museo Diocesano, Gubbio; anch’esso attribuito ad un anonimo pittore della prima metà del XVI secolo.
A seguire troviamo i resti di altri specchi dove nel primo c’è l’immagine di Cristo Crocifisso (175 ca. x 135 ca.) dipinto forse nel 1501 attribuito a Orlando Merlini.
Il dipinto è collocato al centro di un illusorio spazio pittorico inquadrato da due aperture giustapposte: la prima, verso il riguardante, è bordata da una robusta modanatura ornata da fregi a palmette entro archetti trilobati; la seconda, nel fondo della composizione, è composta da una semplice cornice verde con uno sfondo monocromatico scuro.
Accanto si trova l’affresco con Santa Caterina d’Alessandria (180 ca. x 80 ca.) databile alla seconda metà del Trecento e attribuita al Maestro di Santa Giuliana.
Nel registro superiore Madonna col Bambino e angeli (150 ca. x 150 ca.) attribuito ad un anonimo pittore della fine del XVI – inizi del XVII secolo; l’affresco risulta quasi totalmente perduto a causa di estese lacune dell’intonaco e di ampie e diffuse cadute di colore.
Sulla stessa parete prima del presbiterio fra la porta laterale e il muro della scarsella absidale troviamo un Pluteo di dimensioni originali ca. 110 x 225 attribuito ad un lapicida del XIV secolo; il pluteo, in pietra bianca e rosa, formato da una “texture” continua di trilobi archiacuti, nella cui compagine interna campeggia una piccola stella a quattro punte, che ripete come da copione il motivo esemplato nella zoccolatura lapidea presente nella cappella di Sant’Antonio di Padova e nel Chiostrino dei morti della Basilica inferiore di San Francesco in Assisi.
Il presbiterio è avanzato e rialzato di un gradino e un altro gradino delimita la parte absidale dove è posizionato l’altare; in quest’area sono presenti due monofore che illuminano l’interno.
Sulle pareti dell’abside si conservano, malandatissimi, scalcinati lacerti di affresco risalenti, presumibilmente, al XIV secolo; si intravedono motivi decorativi, frammenti di figure umane, scorci paesaggistici ed elementi vegetali.
La parte inferiore dell’area absidale era invece decorata, a quanto sembra, da una finta cortina di tessuto a motivi geometrici, tipica delle chiese medioevali e assai comune in ambito francescano.
Nell’angolo destro dell’arco trionfale c’è una riproduzione dell’affresco staccato della parete d’altare, questo dipinto è ora conservato presso il Museo Diocesano di Gubbio; vi era raffigurata l’Assunzione della Vergine fra i Santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova attribuita ad un anonimo pittore della prima metà del XVI secolo.
Nell’angolo sinistro dell’arco trionfale c’è un quadro che raffigura la Madonna Nera di Loreto; si tratta di una foto della statua che qui era contenuta ed ora conservata presso la Casa Vescovile di Gubbio.
Scendendo nella parete sinistra troviamo l’affresco con la Madonna col Bambino in trono e angeli (220 ca. x 200 ca.) attribuito al Maestro di Santa Maria dei Laici attivo a Gubbio tra metà e seconda meta del XV secolo.
Al centro di un’elegante incorniciatura quadrangolare è posto un monumentale trono con postergale centinato e braccioli cuspidati sul tipo di scanni lignei con decori ad intaglio e a traforo.
La Vergine, assisa in cattedra, regge sulle ginocchia il figlio, mentre con la mano sinistra esibisce delicatamente un fiore.
Gesù Bambino, in atto benedicente, vestito solo di un trasparente velo stretto alla vita, stringe con la mano sinistra un piccolo uccello, forse un cardellino, simbolo iconografico dell’anima redenta dell’uomo.
Dal collo gli pende una collanina con monile di corallo, amuleto apotropaico atto a scongiurare, secondo le credenze popolari, gli influssi maligni della peste.
Dietro il trono due figure angeliche reggono un suntuoso panneggio cremisi con tanto di foderatura a pelliccia di vaio, mentre un terzo angelo propone la corona sul capo della Madonna.
Poco più avanti spostandoci verso l’uscita troviamo un altro Pluteo le cui dimensioni originali sono ca. 110 x 225 attribuito ad un lapicida del XIV secolo; il pluteo è in pietra bianca e rosa, originariamente formato da una sequenza di tre quadrilobi inscritti in altrettante cornici circolari, in una delle quali, fino a qualche tempo fa, era inserito uno scudo araldico muto, del cosiddetto tipo gotico.
In tempi non troppo remoti, il pluteo è stato gravemente danneggiato e manomesso, nel senso che sono stati divelti e asportati due quadrilobi, compreso quello recante l’insegna araldica muta e forse mai completata.
La particolare morfologia dell’ornato rimanda palesemente allo stile dei monumenti funebri presenti nella Basilica inferiore di San Francesco in Assisi e nell’attiguo Chiostrino di morti.
Adiacente il pluteo troviamo un affresco con Sant’Antonio abate in trono (310 ca. x 160 ca.) attribuito ad un pittore della prima metà del XVI secolo vicino alla cerchia di Orlando Merlini con una iscrizioni: in basso a sinistra:
LA F(atta) F[are] • (a)NSE[l]MO D(e) / CHIAPPINO P[er] VOTO / ( …) RE• 1• 5• /44“.
Il santo è collocato all’interno di una finta architettura, simile ad un tabernacolo o un’edicola esterna, provvista di una conchiglia di coronamento e di una sorta di copertura dalla sbilenca resa prospettica.
Superata l’ultima monofora della parete sinistra e avvicinandoci alla controfacciata troviamo tre quadri disposti in due registri, in quello inferiore c’è il quadro con la Madonna col Bambino fra San Sebastiano e San Rocco (cm. 170 ca. x 195 ca.) affresco attribuito ad un pittore della prima metà del XVI secolo con una iscrizione alla base molto lacunosa e non interpretabile.
Un altro affresco con gli stessi soggetti, come sopra detto, è stato staccato dalla parete destra della chiesa, trasferito su tela e conservato presso il Museo Diocesano, Gubbio; anch’esso attribuito ad un anonimo pittore della prima metà del XVI secolo.
Nel registro superiore c’è una Madonna col Bambino in trono e angeli, San Giacomo Maggiore attribuito ad un pittore anonimo definito “Maestro di Caprignone” forse identificabile con Petruccio di Luca, attivo a Gubbio nella seconda meta del XIV secolo.
Tra gli affreschi della chiesa di Caprignone questo è certamente quello di maggiore interesse per lo studio della pittura eugubina del Trecento.
A fianco sulla destra troviamo una figura con un Santo Vescovo e donatore (135 ca. x 110 ca.) attribuito ad un pittore perugino, conosciuto con il convenzionale nome di “Maestro dei Dossali di Montelabate“, attivo a Perugia nel terzo e quarto decennio del XIV secolo.
Sempre da questa chiesa proviene la scultura policroma in legno di pioppo, 119 x 51 x 20 della Madonna di Loreto attribuita ad uno scultore umbro-marchigiano della prima metà del XVII secolo e ora conservata presso la Casa Vescovile di Gubbio.
La statua è ricavata da un unico tronco di legno scavato internamente, al quale sono stati via via addizionati ulteriori segmenti per una migliore modellazione del manufatto, che reca qua e là segni di accidentali combustioni.
 

Fonti documentative

AAVV – La chiesa di Santa Maria Assunta di Caprignone lungo il Sentiero Francescano della Pace tra Assisi e Gubbio – 2009
 

Mappa

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