Chiesa di Santa Maria ad cryptas – Fossa (AQ)


 

Cenni Storici

La chiesa di Santa Maria ad Cryptas si trova, come molte altre chiese abruzzesi, in un luogo isolato, a circa un chilometro dal paese di Fossa e a qualche chilometro dall’abbazia di Santo Spirito ad Ocre, di cui fu dipendenza per un certo periodo.
Probabilmente sorge su un luogo già dedicato al culto della dea Vesta, il culto alla divinità femminile si è trasformato, nel corso dei secoli, in quello mariano.
Il primo edificio è sorto, probabilmente nel IX o nel X secolo d.C. secondo i canoni dell’architettura romano-bizantina.
Su questa struttura, nel XIII secolo, fu eretto un nuovo edificio religioso secondo lo stile gotico-cistercense, ad opera di maestranze benedettine.
Un terremoto, nel 1313, causò il crollo della parete sinistra e danni alla copertura, rifatta a capriate mentre l’originale era a volte.
Fu in tale occasione costruito un rinforzo a valle, mediante un muro di controspinta interrato lungo tutto il lato e due piloni di appoggio in travertino concio, e aperto il nuovo portale.
Il tempio fu poi ulteriormente rinnovato e restaurato nel corso dei secoli successivi, eppure oggi si presenta secondo i caratteri originari duecenteschi.
 

Aspetto esterno

La muratura esterna si compone di file di pietre quadrate, tra le quali sono presenti resti ed elementi provenienti dagli edifici della antica città romana di Aveja, sul cui sito sorge l’attuale Fossa.
La facciata è a capanna, il prolungamento sul lato sinistro è costituito dal rinforzo aggiunto nel XIV secolo.
Presenta un portale, ad arco acuto con leoni in pietra e pilastri, che, pur conservando le caratteristiche proprie dell’arte abruzzese, è uno dei primi esempi locali ispirato alle forme gotiche. È composto da due pilastri a fascio rivestiti sui lati da colonnine alte e sottili a forma cilindrica poggianti su basi e culminanti in capitelli decorati a piccolo rilievo con rosoncini, fiori e palme. Due leoni erano adagiati sui capitelli, rimane oggi solo quello di sinistra, un terzo è sul culmine dell’archivolto dal carattere acuto depresso.
Nella lunetta doveva essere in origine un affresco corroso dal tempo; ne rimangono poche tracce del disegno preparatorio, un graffito color rosso.
La finestra che sormonta il portale è sproporzionata e stonata rispetto alla facciata, è stata aggiunta in secoli più recenti.
La terminazione posteriore è tronca, ha un frontone triangolare e due aperture, una lunga e stretta a doppia strombatura in basso, ed una piccola quadrata in alto; i lati della chiesa presentano ciascuno due finestre a doppia strombatura, lunghe e strette, che mantengono l’originario stile borgognone.
 

Interno

L’interno segue il modello cistercense con una sola navata divisa in tre campate conclusa da un presbiterio di forma quadrata.
La navata termina con un grande arco a sesto acuto sorretto da pilastri che immette nel presbiterio. Rialzata su tre gradini, di forma quadrata, la zona absidale è coperta da una volta a crociera divisa da quattro costoloni poggianti su altrettante colonnine cilindriche poste agli angoli dell’abside.
Non tutti gli elementi di questo spazio sono stati realizzati nello stesso tempo e dalla stessa mano; si notano differenze stilistiche tra i capitelli delle colonnine, vicini allo stile del portale, e i costoloni sagomati.
Le pareti laterali sono divise da lesene in tre campate; in quella di sinistra una delle lesene è sostituita da una semicolonna classica poggiante su base attica, probabile elemento architettonico proveniente dalla città di Aveja.
La copertura è in capriate in legno ma in origine è probabile che fosse in muratura.
A testimoniarlo stanno gli accenni di archi e i pilastri di sostegno per gli archi che fanno supporre l’avvio di una volta a botte a sesto acuto, simile a quella di San Pellegrino a Bominaco; è probabile che essa sia crollata a causa del terremoto del 1313, poi sostituita dalle capriate ancora oggi presenti.
La parete sinistra è affrescata con un ciclo di scuola umbro toscana, databile alla seconda metà del XIV secolo, dedicato alla vita della Madonna; la sequenza degli affreschi si legge dall’alto in basso e da sinistra a destra.
Al registro superiore della prima campata sono raffigurate l’Annunciazione e la Natività.
Al registro inferiore la prima scena è notevolmente danneggiata e non riconoscibile, la seguente raffigura la Malattia della Vergine.
Al di sotto due votivi raffiguranti la Madonna col Bambino, si sovrappongono parzialmente a quest’ultimo affresco, sono probabilmente opera di pittori locali tardo quattrocenteschi.
Al registro superiore della seconda campata sono raffigurate la Morte della Vergine e il Trasporto del corpo di Maria da parte degli Apostoli.
Al registro superiore della seconda campata sono raffigurate la Deposizione della Vergine e l’Assunzione di Maria.
Al centro delle scene è stata edificata una raffinata cappella che ospita un’Annunciazione datata 1486 di Sebastiano di Nicola da Casentino, tra i maggiori rappresentanti del rinascimento abruzzese, come testimonia l’iscrizione riportata in basso al dipinto: QUISTI SANTI ELLA CHAPPELLA A PEGNERE ANTONIO DE PAULU DE FOSSA – SEBASTIANO PISIS 1486 e risente molto dell’influenza delle scuole umbra e toscana.
Le caratteristiche somatiche dei personaggi, la delicata bellezza nel raffigurarli sono tipici aspetti dell’arte umbra; il tema trattato e la disposizione delle figure sono tipici dell’arte fiorentina, così come l’espediente di utilizzare un elemento strutturale, come il leggio di legno, per dividere lo spazio all’interno della scena.
Nello spessore dell’arco sono raffigurati San Sebastiano, San Bernardino da Siena, San Giuliano l’Ospitaliere e una Santa con lancia.
Sempre estranee al ciclo sono le pitture votive che si trovano ai lati della Cappella, datate al 1506, a sinistra una Madonna col Bambino, di ingenua mano; a destra un Santo non riconosciuto e Sant’Antonio da Padova.
La terza campata della parete sinistra è per larga parte occupata da un’edicola dei primi anni del XVI secolo.
Qui rimangono del ciclo originario solo gli affreschi al registro superiore, raffiguranti l’Incontro presso la Porta Aurea e San Gioacchino tra i pastori.
In basso, estranea al ciclo, una Persona deposta in un sarcofago.
Negli angoli del fronte dell’edicola rivolto verso la chiesa sono effigiati Santa Caterina d’Alessandria e San Rocco, al centro l’Agnus Dei.
Sul lato rivolto verso la parete destra è raffigurato uno stemma e, al centro, si legge la scritta AVE MARIA GRATIA PLENA.
All’interno dell’edicola, sul lato della parete di sinistra, è raffigurato l’Incontro tra la Vergine e Sant’Elisabetta.
Nel cielo dell’edicola è raffigurata l’Incoronazione della Vergine, agli angoli i Simboli dei quattro Evangelisti.
Sulla parete dell’arco trionfale, ora contenuta all’interno dell’edicola e campita da un altare in stucco era una pregevolissima Madonna del Latte, tempera su legno tra le più antiche d’Abruzzo, datata e firmata Gentile da Rocca datata 1283, l’originale è conservato al Museo Nazionale d’Abruzzo de L’Aquila.
Sul fronte del suppedaneo del trono si legge: A(nno) M CC OCTOGESIMO III GENTIL(ìs) D(e) ROCCA ME PI(nxit);( Nell’anno del Signore 1283 Gentile da Rocca mi dipinse).
L’autore, primo artista abruzzese conosciuto col proprio nome storico, è documentato tra il 1271 e il 1296 nella natia Roccamorice sul versante settentrionale della Maiella, dove fu in relazione con Pietro Angelerio, il futuro papa Celestino V, eseguendo le prime commissioni artistiche della congregazione monastica da lui fondata.
Il Bambino benedice alla latina e con la mano sinistra regge un volume aperto su cui si leggono alcune parole del Vangelo di Giovanni: EGO SUM LUX MUNDI QUI SEQUITUR (lo sono la luce del mondo, chi segue [me non camminerà nelle tenebre…]).
Al di sopra dell’edicola, sempre sulla parete sinistra dell’arco trionfale, è affrescata una duecentesca Adorazione dei Magi.
È il primo di una serie di affreschi risalenti alla seconda metà del XIII secolo, eseguiti, con ogni probabilità, sotto la guida di una direzione unitaria, come provato da una esecuzione pittorica uniforme ed omogenea.
Vi hanno lavorato più maestri, affini sul piano della formazione ma riconoscibili per la diversa tecnica esecutiva.
La volta a crociera dell’Abside è decorata con l’affresco di un cielo stellato
Nell’abside sono rappresentate, come era usanza presso la cultura bizantina, le Scene della Passione del Cristo: sulla lunetta della parete di sinistra sono raffigurati cinque santi, si riconosce il quarto, San Bartolomeo, per la presenza della scritta e per il coltello con cui fu spellato.
Le immagini sono allungate, smilze e smagrite, delineate da un contorno netto e preciso, l’anonimo artista duecentesco che ne è autore può essere convenzionalmente chiamato Primo Maestro di Santa Maria ad cryptas, caratterizzato dalla linea marcata di contorno degli occhi, a lui vanno attribuite anche le altre figure effigiate sui lunettoni.
Al registro sottostante una magnifica Ultima Cena, con Giuda più piccolo e posto al di qua del tavolo; segue a destra il Bacio di Giuda, anche queste opere possono essere attribuite al Primo Maestro.
Sulla parete centrale, alla lunetta in alto, sono affrescati San Giovanni Battista, San Paolo, Cristo Pantocratore, San Pietro e San Giovanni Evangelista.
Al registro inferiore, a sinistra è riprodotta la Flagellazione, al centro la Crocifissione con la Madonna e San Giovanni Evangelista, a destra la Deposizione, la mano è diversa, possono essere attribuiti a un Secondo Maestro.
Sotto la deposizione si leggono a fatica iscrizioni riportanti i nomi dei committenti dell’opera: si tratta di Guglielmo Morelli di Sant’Eusanio, la cui esistenza è documentata nel 1259, di sua moglie, di un abate Guido e di tre giovani donne: (GUILELMUS AMORE) LL (US)DE SA (NTO EUSANIO) UXOR EIUS GUILIELMI (AMO)RELLI ABBAS GUIDUS… (GUI)LELMA D (OMNIA) IOH(ANN)A LUCETTA.
Ancora in basso una sfilata di personaggi, presumibilmente con il ritratto del committente che, dal costume e dallo scudo crociato, si può ipotizzare fosse un cavaliere e accanto a lui altri abbigliati secondo l’uso del tempo.
Sulla parete destra in alto si trovano cinque santi, di cui solo tre identificati, San Simeone, San Jacopo e, ultimo a destra, San Luca.
I dipinti sottostanti sono stati distrutti da infiltrazioni.
Sulla parete destra dell’arco trionfale è allocata in una nicchia contornata da decorazioni in stucco una statua della Madonna col Bambino, ancora sopra una duecentesca Madonna del Latte, che richiama alla mente la tavola di Gentile da Rocca.
Al registro superiore della parete destra dell’arco trionfale ha inizio il ciclo dedicato alle storie della Genesi, che prosegue poi sulla parete destra della chiesa.
La prima raffigurazione è quella di un Dio senza barba e molto giovane che separa il sole dalla luna, simbolo della separazione del giorno dalla notte; nello stesso riquadro Dio è in posizione centrale tra le onde da un lato e le spighe dall’altro, che simboleggiano rispettivamente le acque e la terra e la loro separazione.
La seconda fase della narrazione si svolge nella prima campata della parete destra, disposta su tre registri.
Nel primo, quello più in alto, è, a sinistra, La Divisione del Bene dal Male e, a destra, la Creazione degli Animali, anche qui Dio è raffigurato imberbe e insolitamente giovane.
Nel secondo registro abbiamo la Creazione di Adamo e la Creazione di Eva, a sinistra della piccola finestra, e, a destra della finestra, il Monito dell’Eterno, espresso attraverso i versi biblici contenenti il divieto di mangiare dell’albero della vita.
La figura del Creatore, insolitamente, non compare nella Creazione di Eva e la scena dedicata al monito dell’Eterno non si trova nei cicli pittorici affini.
Nel terzo registro è la rappresentazione del Peccato Originale e della Cacciata dal Paradiso Terrestre, divisi dalla porta dell’Eden custodita dal cherubino, un angelo con sei ali che sta a delimitare il confine tra l’Eden e la Terra.
La scena della Cacciata, a differenza delle altre, è in un cattivo stato di conservazione e perciò solo parzialmente leggibile.
Gli affreschi di questo ciclo sono attribuibili al Primo Maestro di Santa Maria ad cryptas.
Nella seconda campata larga parte degli affreschi sono stati distrutti per la costruzione di un altare, datato 1591 e dedicato alla Madonna del Rosario.
Rimangono, in alto, sei figure di Profeti all’interno di altrettante nicchie, nella mano destra recano un cartiglio con un messaggio, sul primo si legge il nome Isaias.
La terza campata, articolata in tre registri, presenta in alto due Santi Cavalieri: a sinistra San Giorgio mentre trafigge il drago e a destra San Martino.
Sono i santi protettori di un ordine cavalleresco di cui, probabilmente, il committente era esponente. Nel secondo registro è l’Allegoria degli ultimi sei mesi dell’anno rappresentati attraverso attività lavorative identificative del mese corrispondente.
I primi sei erano, con ogni probabilità nella campata centrale e sono stati occultati o distrutti nel corso della realizzazione dell’altare tardo cinquecentesco.
Le scene sono opera di un Terzo Maestro, che mostra una maggiore raffinatezza rispetto agli altri, sicuramente il pittore più nobile, più colto ed elegante.
Nel terzo registro si trovano Tre Patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, che portano in braccio piccole figure che rappresentano gli Eletti in cielo, una quarta figura non è più riconoscibile; sono attribuibili ad un Quarto Maestro, che mostra affinità con il primo.
La controfacciata ospita affreschi dedicati al Giudizio Universale, è uno dei cicli più antichi a raffigurare tale tema in Abruzzo.
È suddiviso in cinque registri, nel primo registro in alto è riportato il Cristo in maestà, all’interno di un tondo, affiancato da Angeli musicanti.
Nel secondo, raffigurati uno accanto all’altro nella stessa posizione sono dieci personaggi e un po’ distaccati da essi, sulla destra, altri due probabilmente aggiunti nel Cinquecento.
Il terzo registro raffigura a sinistra le Anime Elette e a destra quelle Dannate.
A separare i due gruppi sono due Angeli che portano in mano dei cartigli recanti la sentenza divina.
Quello di sinistra reca la scritta: VENITE BENEDICTI PATRIS MEI POSSIDETE REGNI, quello di destra: ITE MALEDICTI IGNE ETERNI.
Al centro tra i due angeli c’è un altro personaggio frutto di un’aggiunta successiva.
Insolito è l’inserimento tra le anime dei dannati di alcuni monaci con funzione di rappresentare la Giustizia Divina.
Il quarto registro raffigura la Resurrezione dei morti, presentata attraverso una fila di sepolcri in muratura o in altro materiale, da cui riemergono le figure di persone tornate in vita. Infine, in basso, l’ultimo registro è diviso in due parti dal portale d’ingresso.
A sinistra si trova San Michele Arcangelo che pesa le anime su una bilancia con accanto la Vergine, a destra è la raffigurazione dell’Inferno che viene descritto in maniera cruenta e quasi sadica sottolineandone la terribile inflessibilità delle pene.
I dannati sono sottoposti a orribili torture da parte dei Demoni.
Gli affreschi della controfacciata sono attribuibili al Quarto Maestro, ad eccezione di scene minori come la Resurrezione dei morti, opera di un altro artista, meno colto e dotato.
La leggenda vuole che Dante Alighieri, in visita a questa chiesa in occasione della nomina di Celestino V, fu talmente colpito dai dipinti del Giudizio da trarne spunto per la sua Commedia.
Di fronte al presbiterio una gradinata di grossi mattoni conduce a un ambiente ipogeo, probabilmente è quel che resta del tempio dedicato al culto della dea Vesta, poi riattato a cappella sotterranea.
L’ambiente, di piccole dimensioni (m. 3×3,60) contiene un altare costituito da una mensa di pietra dura poggiata su un troncone di colonna ed un frammento di affresco raffigurante la Crocifissione.
Al Museo Nazionale d’Abruzzo de L’Aquila è conservata una statua proveniente da questa chiesa, capolavoro assoluto del trecento italiano.
Legno intagliato e dipinto del XIV secolo, è l’opera eponima del Maestro di Fossa, pittore e scultore spoletino, tra i più raffinati artisti del Trecento.
La Vergine seduta, perfettamente frontale, veste una tunica rossa e un manto dorato con decorazioni nere sul bordo, reca sul capo una corona.
Al di sotto di un velo bianco che le scende sulle spalle si intravedono i capelli bipartiti.
Sostiene, in piedi sul suo ginocchio, con la mano sinistra, il Bambino benedicente, che veste una tunica verde e un manto d’oro.
Il gruppo è contenuto all’interno di un tabernacolo a pianta triangolare decorato nella parte superiore da un’archeggiatura con cielo stellato, nella parte intermedia da un drappo damascato rosso e argento a mo’ di dorsale ed in basso da un sedile di tipo cosmatesco su cui è assisa la Vergine.
Gli sportelli che originariamente chiudevano il tabernacolo, trafugati, mostravano, a sinistra l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio, unico riquadro rimasto ed attualmente conservato nel Museo; a destra la Crocifissione, la Fustigazione e il Bacio di Giuda.
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Fonti documentative

https://comune.fossa.aq.it/contenuti/144102/santa-maria-ad-cryptas

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_ad_Cryptas

 

Mappa

Link coordinate: 42.30185844743746 13.484156081698274

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