Chiesa di Santa Lucia – Castelnuovo di Assisi (PG)
Cenni Storici
Il castello di Castelnuovo esisteva, a partire almeno dal 1179.
Per tutto il periodo che va da quella data fino alla seconda metà del sec. XIV, la chiesa più importante della balia pare essere stata quella di S. Lorenzo.
Lo dimostrerebbe anche il fatto che in essa era attiva l’omonima fraternità di Disciplinati.
Ma com’era allora denominata l’attuale chiesa castellana di S. Lucia, databile, per la sua struttura e tipologia, ai secc. XII–XIII?
Non pare che la sua primitiva intitolazione a S. Girolamo risalga alle origini del castello per il semplice fatto che per lungo tempo nella documentazione superstite essa appare comunemente nota come “Chiesa di Castelnuovo” senz’altra specifica denominazione.
Da un atto notarile del 13 giugno 1485 si apprende del lascito di un fiorino alla “Chiesa di Castelnuovo” (ecclesie Castrinovi) perché vi si dipinga l’immagine di S. Girolamo (Pro pingendo figuram S. Iheronimi).
E solo qualche decennio dopo questa data che negli atti archivistici assisani si avranno espressioni del
tipo : “in Castelnuovo, nella chiesa detta di S. Girolamo” (de santo Girollimo), come si legge in un atto del 1506, oppure : “in Castelnuovo nella chiesa di S. Girolamo” (in Castronovo, in ecclesia divi leronimi),
Almeno da allora S. Girolamo è venerato come il patrono della Parrocchia.
Circa tale scelta, non si hanno riscontri documentari, ma è pensabile che a diffondere in questa terra il culto del Santo sia stata determinante la presenza benedettina in Assisi e nello stesso territorio di Castelnuovo, dove da secoli si registrano proprietà terriere dell’abbazia assisana di S. Pietro.
La chiesa castellana di S. Girolamo nel 1573 viene visitata da mons. Pietro Camaiani, visitatore apostolico, il quale, trovandola ormai troppo piccola per poter contenere le 83 famiglie della parrocchia, ordina alla popolazione d’ingrandirla, oppure di costruirne “un’altra fuori del Castello, avvertendo che non vi sieno a contatto luoghi indecenti, e ciò si eseguisca fra quattro mesi sotto pena d’interdetto“.
Non sappiamo quando la nuova chiesa sia stata edificata, ma ci risulta che nel 1594 essa era già stata ultimata, dal momento che il 25 giugno di quell’anno veniva , “visitata” dal vescovo di Assisi.
Da quel momento la chiesa castellana cessava di essere la parrocchiale di Castelnuovo, ma solo molto più tardi cambierà anche intitolazione e sarà chiamata di S. Lucia, dopo che i “fratelli” della locale confraternita di S. Girolamo avranno deciso, nel 1675, di farvi dipingere, accanto all’immagine del loro Santo Patrono e della Vergine, anche l’immagine della protettrice della vista.
La chiesa castellana nella Visita pastorale di mons. Ottaviano Spader del 1706 risulta ancora, infatti, anche sotto il titolo di S. Girolamo, di spettanza dell’omonima compagnia.
In quegli anni la chiesa del castello continuava, comunque, ad essere ricordata come “la Cura vecchia“.
Nella chiesetta di S. Lucia, all’inizio del nostro secolo, vennero alla luce importanti affreschi.
Il 12 dicembre 1948, dopo sapienti interventi di restauro di tali affreschi e di altre parti dell’antico edificio per opera della Soprintendenza ai Monumenti dell’Umbria, diretta da Achille Bertini Calosso, a ciò calorosamente interessato dal parroco don Felice Balani, la chiesetta romanica veniva riaperta al culto, come ricorda anche una lepide, fatta affiggere per l’occasione all’esterno della medesima.
Altri restauri sono stati eseguiti nel 1968.
Attualmente, ogni anno, il 13 dicembre, com’è tradizione, vi si celebra la festa della Santa, cui la chiesa è dedicata.
Aspetto esterno
La chiesa si trova appena varcata la soglia del castello di Castelnuovo; è una piccola struttura con tetto a capanna e priva di campanile, lungo le pareti sono visibili pietre di reimpiego di edifici più antichi.
Gli spioventi del tetto sono a capanna e molto probabilmente si tratta di una copertura avanzata di un’edicola posta entro la porta del castello.
Ciclo pittorico
Nel 1908 Giustino Cristofani pubblicò nelle pagine di “Augusta Perusia” la notizia della scoperta di antichi affreschi alle pareti della chiesa di Santa Lucia, descrivendo i soggetti delle immagini e proponendone una prima lettura stilistica:
Nella chiesetta quattrocentesca di questo antico castello, posto nella valle del Topino tra S. Maria degli Angeli e Cannara, caduto in qualche punto delle pareti il solito imbratto di calce, mercè l’interessamento del Rev Parroco e del Municipio di Assisi, sono stati rimessi in luce molti affreschi che la decoravano intieramente.
Non si tratta di opere che abbiano vero merito d’arte, tranne una; ma il loro complesso decorativo ne impone la tutela, sia che si vogliano custodirle sul posto, come ha consigliato la commissione composta dai Professori Alfonso Brizi, Cesare Gori e Carlo Gino Venanzi, o che la salsedine formatasi con l’umidità ne convinca della necessità del distacco, la quale cosa non dovrebbe farsi che in caso di assoluto bisogno.
Diamo qui una sommaria descrizione degli affreschi, sicuri di far cosa gradita agli studiosi e graditissima agli amatori della pittura votiva.
Parete dell’altare:
nicchia a tutto sesto con forte rincasso.
La Vergine seduta adora il Bambino che le giace sulle ginocchia; il gruppo è racchiuso da una mandorla giallastra a raggi, bordata da una striscia iridata, con nove teste di serafini.
Il fondo è un paese, assai guasto; a sinistra, S. Girolamo, in piedi, si percuote il petto col sasso, guardando il Crocifisso che tiene con la mano manca; dietro a lui è il leone accosciato e una roccia violacea a ripiani erbosi; a destra S. Francesco col libro e con la croce, e nell’angolo, in minori proporzioni, S. Lucia, titolare della chiesetta.
L’archivolto presenta due strati di affreschi l’uno più antico a riquadri marmorei, al quale appartengono anche le due figure di santi nella fronte dei pilastri (metà del 400), l’altro contemporaneo all’affresco descritto.
È una pregevole opera di uno scolaro del Pintoricchio; la testa della Vergine parrebbe eseguita dallo stesso artista l’autore di quel gruppo di dipinti, assegnati convenzionalmente dal Cavalcaselle ad Andrea di Luigi, detto l’Ingegno.
(Confrontare il gruppo centrale con l’affresco simile, conservato nella Pinacoteca di Assisi, attribuito a Fiorenzo dal Bernardino e dal Weber, al Pintoricchio dal Ricci e dal Berenson ma che a noi ricorda Bartolomeo Caporali).
Parete d’ingresso:
Sopra la porta: Maria seduta col Putto sulle ginocchia, che l’abbraccia; a sinistra, S. Barbara con libro aperto in mano, ove si legge: TEMPUS FULGORIS…; a destra, S. Rocco, figura scontorta, ridicola e molto diversa dalle altre tre.
È opera di un pittore che, lavorando verso il 1520 ricordava Tiberio, il Pintoricchio e lo Spagna.
A destra: S. Sebastiano e S. Rocco, opera eseguita da uno scolaro di Tiberio, che lavorò lo stesso cartone del maestro nella cappella di S. Girolamo e S. Damiano presso Assisi.
A sinistra: S. Antonio da Padova, con il libro ed il cuore; dello stesso scolaro di Tiberio.
Parete destra:
Madonna della Misericordia, su fondo di arazzo rossastro ad ornati gialli, in basso stanno genuflesse quattro minuscole figurine di devoti, un Santo Diacono con palma e libro; vi si legge scritto in gotico minuscolo: queste figure la facte fare …. ericillo.
La data non si legge più, ma il dipinto è certamente eseguito da un ritardatario artista votivo del primo ventennio del 500.
Seguono tre altre figure votive, delle quali appariscono sotto l’intonaco scarsi frammenti.
Parete sinistra:
Su fondo di arazzo giallo. S. Francesco, ritto di fronte, con croce e libro si legge in basso: QUESTA LA FATTA FARE CATERINA DE … IOZO – M-C (CCC-LXX) XX.
Rozza pittura votiva la cui data è una vera ironia.
Sotto due arcate, a destra la Vergine in trono col Bambino ritto sulle ginocchia e coperto di tunica verde, con rosa in mano; un angelo per parte in adorazione; il trono è violetto, il fondo è un arazzo giallo; a sinistra S. Antonio Abbate.
V’è in basso la seguente leggenda: QUESTE LA FATTE FARE PIETRE DE LIEVE A-D-M-CCCC.LXXXXIIII.
Se non vi fosse la data, si crederebbero del principio del 400.
Sopra un arazzo giallo, S. Anna (SANTA ANNA) e S. Antonio Abbate.
In basso è scritto: (ho)C HOPU-FECITFIERI-GIOVAGNE DE TONO DA BSATITA (sic) A D’ICCCCCII. È d’un povero artefice di campagna, il quale si trova in ritardo almeno cent’anni.
Rispetto ai dipinti visibili ai tempi di Cristofani, i restauri eseguiti nel 1968 hanno recuperato gran parte delle immagini alle pareti della chiesa.
Benché di ridotte dimensioni, l’edificio occupa gran parte della corte interna del castello.
È addossato a una abitazione con un tratto di muratura in pietra e prosegue con pareti interamente in laterizio.
Ha una semplicissima facciata a capanna e un portale d’ingresso sormontato da una lunetta di scarico.
Una volta entrati, troveremo che l’altare è posto all’interno di un archivolto dalle pareti fortemente strombate, mentre la zona occupata dei laici è coperta da un tetto a due spioventi.
In origine doveva trattarsi di una grande edicola visibile appena entrati nel castello dalla porta rivolta a meridione.
La parete di fondo è decorata da un dipinto murale che ritrae una Madonna col Bambino in una gloria di cherubini e serafini, davanti a un fondo di paesaggio accanto ai santi Girolamo, Francesco e Lucia; quest’ultima aggiunta in un secondo tempo all’immagine originaria.
È possibile collegare al dipinto un lascito testamentario del 13 giugno 1485 pro pingendo figuram S. Iheronimi; evidentemente l’immagine precedente mancava della figura di questo santo.
Nella stessa occasione, o negli anni immediatamente successivi, la Maestà fu inserita all’interno di una tettoia chiusa da pareti.
Giustino Cristofani ha identificato il modello iconografico seguito dal pittore in una grande Maestà che decorava un tempo la porta di San Giacomo in Assisi, attualmente conservata all’interno della Pinacoteca Comunale di Assisi.
È questa una bellissima immagine per la quale sono stati spesi i nomi di Fiorenzo di Lorenzo, Bernardino Pintoricchio, Andrea di Assisi detto l’Ingegno e Bartolomeo Caporali, ma che si può restituire a Pietro Vannucci detto il Perugino a una data non lontana dal 1477 (Lunghi, 2006).
Filippo Todini (1989) ha attribuito l’affresco di Castelnuovo ad Andrea di Assisi detto l’Ingegno, ricordato da Vasari come il miglior allievo del Perugino.
Le figure di santi sui fianchi dell’archivolto e sui pilastri esterni sono riconducibili alla maniera di Pierantonio Mezzastris da Foligno.
In anni prossimi al 1485, l’Ingegno e Mezzastris lavorarono uno accanto all’altro a Foligno, nel monastero di Sant’Anna, e a Trevi, nella chiesa di San Martino di Trevi: non è dunque escluso che anche la Maestà di Castelnuovo sia il frutto di una commissione congiunta tra i due pittori.
All’esterno della edicola, sulla parete verso oriente sono dipinte cinque figure di santi.
Da sinistra: Madonna della Misericordia, san Lorenzo, sant’Amico, san Sebastiano, sant’Amico, San Sebastiano di un ignoto pittore del primo quarto del XVI secolo, forse identificabile in Cecco di Bernardino di Assisi.
La parete di facciata è decorata da tre affreschi, attribuiti da Filippo Todini a Tiberio di Assisi, sebbene in due momenti differenti della sua attività; a oriente un Sant’Antonio di Padova, sopra la porta una Madonna col Bambino tra una santa non identificabile e san Rocco, a destra i santi Sebastiano e Rocco.
La parete verso occidente è decorata da tre affreschi:
da sinistra un affresco datato 1502 prossimo a Francesco Melanzio da Montefalco, che ritrae sant’Anna e sant’Antonio Abate; al centro una Madonna col Bambino in trono e sant’Antonio Abate, affresco datato 1494 di un pittore umbro identificabile in Bertoldo di Assisi; a destra san Francesco, dello stesso pittore.
Nota
Il testo descrittivo della storia della chiesa è di Francesco Santucci, la descrizione delle fasi pittoriche e la galleria fotografica sono di Elvio Lunghi che sentitamente ringrazio.
Fonti documentative
F. Santucci – Castelnuovo d’Assisi – 1994
G. Cristofani, Scoperta di affreschi in Castelnuovo di Assisi, in “Augusta Perusia. Rivista mensile d’arte e costume dell’Umbria”, Anno III (1908), fasc. III-IV-V, pp. 77-78.
F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, Milano, 1989, pp. 91, 326.