Chiesa di Santa Croce alla Foce – Gubbio (PG)
Cenni storici
Il nome della chiesa con l’appellativo “Alla foce” è dovuto al fatto che si trova alla sinistra idrografica del Bottaccione che prima della chiesa scorre tra ripide pareti di roccia e poco dopo la chiesa si apre nella vallata.
L’immobile era ubicato all’inizio dell’arteria che collegava Gubbio alla strada consolare Flaminia e quindi ai centri di maggiore spiritualità del periodo romano e del periodo medievale; la strada infatti conduceva al Tempio di Giove Pennino come alle grandi Abbazie di Santa Maria di Sitria, di S. Croce di Fonte Avellana, di S. Emiliano in Congiuntoli, di S. Girolamo di Monte Cucco e di S. Croce di Sassoferrato.
Della Chiesa non si conoscono le origini, ma tutti gli autori concordano sulla sua esistenza in tempi remotissimi probabilmente è una ristrutturazione di un’antica chiesa o anche una risultanza di più rimaneggiamenti.
Cosi affermano il Sassi nella relazione della Visita Pastorale di Mons. Innocenzo Sannibale e Oderigi Lucarelli nelle “Memorie e guida storica di Gubbio”.
Papa Celestino III con breve nel 1143 confermava la proprietà alla Cattedrale della cappellam Santae Crucis e il vescovo Bentivoglio, ad imitazione del suo predecessore Teobaldo o Tebaldo (Vescovo dal 1033 al 1050) riconfermava alla Cattedrale la proprietà Ecclesiam Santae Crucis de muro fracto, con omnibus suis pertinensis.
Su una pietra, a nord dietro la sacrestia, è scolpita una epigrafe abbreviata intorno ai quattro bracci della croce patente che secondo il Cenci deve leggersi:
AN(NO) ED (IFICATIONIS)? MILLESIMO DUCENTESIMO SEXAGESIMO SECUNDO, QUINTO ID.? AP(RI)L(IS) cioè, anno della edificazione (o, più probabilmente, della ricostruzione) 9 aprile 1262.
La chiesa sorgeva presso le antiche mura della Gubbio umbra (Ikuvium), non lontano dalla “Porta Trebulana“, che nel secolo XIV si chiamò Porta S. Anna, ora non più esistente; rimase fuori le mura, quando gli eugubini alla fine del sec. XII costruirono la nuova città sulle pendici del monte Ingino, ridisegnandone la cinta muraria.
L’attuale chiesa fu edificata trasformando la proprietà della Confraternita posta dietro l’antica chiesa che aveva l’ingresso dalla parte opposta all’attuale, di cui resta evidente quasi tutta la facciata.
Preziosa è la descrizione della Chiesa di S. Croce fatta dal Vicario di Mons. Orazio Monaldi nella visita pastorale del 14 agosto 1642 e nella relazione della visita di Mons. Sebastiano P. Bonaventura il 10 dicembre 1693.
E’ infatti del periodo compreso tra le due visite la ristrutturazione definitiva dell’attuale chiesa, che nei secoli successivi ha subito interventi che, pur non modificando l’assetto originario, alterarono notevolmente la cromia generale.
Nel 1642 la chiesa si presentava con sei altari il Maggiore, super quo est imago sculpta crucifixi, pia et devota, decenter facta, sul lato destro: l’altare dedicato alla Madonna del Carmelo con l’immagine della Vergine; l’altare dedicato a S. Carlo Borromeo con l’immagine del Santo; tra i due, un altare portatile con l’immagine della Beata Maria Maddalena de’ Pazzi; sul lato sinistro: l’altare dedicato a S. Pietro Martire super quo icona cum immagine dicti Santi et S.ti Ubaldi; l’altare dedicato all’Esaltazione della Santa Croce super quo icona S.te Crudo CUM diversis immaginibus.
La disposizione degli altari è anche riscontrabile nella struttura muraria esterna della chiesa, dove, al centro delle pareti laterali, sono evidenti due finestre tamponate successivamente per la costruzione di altri due altari.
Il piccolo altare dedicato alla Beata M. Maddalena de’ Pazzi doveva essere collocato sotto la finestra della parete di destra, perché la tela raffigurante la beata è di dimensioni ridotte rispetto a quelle degli altri altari.
Più particolareggiata e più vicina all’aspetto attuale è la descrizione della chiesa nella relazione della visita pastorale di Mons. Bonaventura nel 1693.
In essa vengono descritti sette altari; ogni altare è ornato da una tela raffigurante il santo a cui è dedicato.
Nella relazione della visita suddetta viene inoltre fatto un preciso riferimento al soffitto a cassettone tectum tabulis ligneis artificio opere elaboratis, dipinto, intagliato e dorato, raffigurante i simboli della Passione.
La chiesa illustrata da questa ultima relazione, è il risultato di una serie di interventi realizzati dai migliori artisti operanti in Gubbio in quegli anni, per un tempio particolarmente caro agli Eugubini, dove si compenetrano in una sintesi meravigliosa arte, devozione e tradizione.
Tutte le iniziative, soprattutto di culto, si svolgevano attorno alle immagini venerate nella chiesa: il Cristo Crocifisso, splendida opera cinquecentesca e la Madonna del Carmelo.
La statua della Madonna, citata spesso nella documentazione d’archivio sin dai primi anni del ‘600, perché sottoposta a continui interventi di restauro, è andata purtroppo perduta.
La Compagnia del Crocifisso e quella del Carmelo officiavano le proprie funzioni religiose in altare proprio, che dovevano abbellire e fornire di tutte le suppellettili necessarie.
La Compagnia del Crocifisso officiava l’altare maggiore, quella del Carmelo l’altare della Madonna del Carmelo nella parete di destra.
Ambedue avevano uno stendardo processionale, che veniva mostrato in tutte le manifestazioni esterne: processione del Venerdì Santo, del Corpus Domini, dell’Assunta, di S. Marco, della Traslazione di S. Ubaldo e della Madonna del Carmelo; quest’ultima si svolgeva nel giorno della festa, il 17 luglio, e ogni quarta domenica del mese, lungo le vie del torrente Camignano.
Lo stato di conservazione strutturale della chiesa contrasta con la ricchezza e la bellezza dell’interno, trasformato completamente tra la fine del secolo XVI e tutto il secolo XVII con l’intervento di molti artisti che hanno contribuito a rendere questo tempio uno dei gioielli della nostra Città.
La chiesa è proprietà e sede della Confraternita di S. Croce della Foce, l’unica rimasta e la più antica delle tante corporazioni laicali sorte a Gubbio sulla scia del movimento dei Disciplinati che ebbe origine a Perugia per opera dell’eremita Fra Raniero Fasani (la prima menzione risale al sec. XV).
E’ la Confraternita che cura la Processione del Cristo Morto: una delle manifestazioni religiose che nella nostra Città gode di particolare considerazione per la secolarità della tradizione, la forte carica spirituale che la pervade, la suggestività dell’ambiente nel quale si celebra.
La Processione del Cristo Morto è quanto rimane delle rappresentazioni sceniche dei drammi che nel sec. XIII venivano organizzati nelle piazze, per rendere più vive le liturgie che si celebravano nelle chiese, soprattutto nella Settimana Santa.
La chiesa è stata da poco riaperta al culto dopo i danni provocati dal terremoto del 1997.
Aspetto esterno
La facciata, con una decorazione che ha suscitato non poche polemiche, presenta un unico portale con lo stemma della Confraternita, un basamento con lastre in pietra, due finestre con stipiti, tutti elementi in pietra palombina posizionati nel 1846, opera dello scalpellino Germano Gaoti; interessante è la struttura lignea della porta: un bel manufatto con specchiature rettangolari con soprapporta intagliato con motivo ornamentale a pigna, opera dei fratelli Ubaldo e Pietro Minelli che eseguirono una serie di lavori per la chiesa a decorrere dal 1844.
Sul fondo della chiesa al termine della parete destra si eleva il campanile cuspidato a gradoni.
Sul lato destro del portale è stata realizzata una scalinata che immette negli ambienti ipogei recentemente scoperti.
Interno
L’interno della chiesa, a navata unica, è come una splendida sala barocca con sei altari laterali senza transetto, con un’organica ed elegante decorazione a stucchi, particolarmente originale.
Il presbiterio è allungato per collocare gli stalli dei confratelli posti lungo le pareti laterali in numero di nove per parte.
Entrando si nota una corposa bussola inserita sotto la cantoria posta in controfacciata che contiene sia a destra che a sinistra due bei confessionali in legno incastonati nella parete.
Salendo sulla parete di sinistra, troviamo un primo altare dedicato a S. Pietro Martire dove campeggia un quadro ad Olio su seta rossa datato 1517 con l’Adorazione della Santa Croce con i Santi Ubaldo, Pietro da Verona, Elena e i confratelli il cui autore è Pietro Paolo Baldinacci e M° Silvio.
Ha subito due restauri, il primo da Giovanni Mancini nel 1953 ed il secondo da LABORESTAURI di Perugia nel 1984.
Il secondo altare dedicato al miracolo della croce con un quadro ad Olio il ritrovamento della vera croce il cui autore è Virgilio Nucci 1575 ca.
Il terzo altare dedicato a S. Carlo Borromeo con un quadro ad Olio su tela la Visione di S. Carlo Borromeo di Alessandro Brunelli 1615/19.
Il presbiterio è rialzato di due gradini ed è delimitato da un arco trionfale e da una balaustra in legno.
L’archivolto è caratterizzato dallo stemma della Confraternita sorretto da due angeli con una bandinella in cui compare l’emblema che ha come simbologia una croce patente rossa su fondo azzurro con la scritta “CHARITAS“.
Sul frontale dell’arco, ripartito dalla cornice d’imposta, quattro nicchie ospitano altrettanti statue raffiguranti personaggi della Bibbia e Sibille con scritte profetiche e, nell’intradosso, sono descritte le scene della passione su otto formelle a basso rilievo, più una centrale che raffigura l’Eterno Padre.
L’attuale decorazione delle pareti del presbiterio risale agli anni 1912-13 ad opera dei pittori eugubini Menichetti Clodomiro e suo figlio Giulio, che rinnovarono anche tutte le decorazioni dei pilastri e degli archi degli altari laterali.
Sui pilastri, tra i motivi geometrici, si evidenziano in alto dei medaglioni recanti l’effige di otto santi dipinti dall’eugubino Rodolfo Rossi lo stesso che ha realizzato la tela al centro del soffitto del presbiterio raffigurante la Resurrezione.
Ai lati del presbiterio due ovati attribuiti dal Lucarelli a Domenico Brozzi e dal Bonfatti a Bernardino Brozzi rappresentano: Gesù deposto dalla Croce e Gesù che cade sotto la croce.
Le due tele sono state restaurate recentemente presso l’Istituto Statale d’Arte di Gubbio.
L’apparato ligneo dell’altare maggiore è opera dell’intagliatore Cado Magistretti di Lugano (1689), commissionato dai Priori Troiano Carbonana e Agostino Steuchi; anche l’intagliatore eugubino Domenico Valli operò per completare l’altare; a lui si devono le ali laterali con i due portali d’ingresso alla sagrestia e le due colonne tortili, decorate con girali di foglie d’acanto.
All’interno della nicchia sono collocate le due immagini, il Crocifisso e la Vergine Addolorata, che stanno al centro dei momenti di partecipazione intensa alle liturgie della chiesa confraternale, soprattutto nella processione del Venerdì Santo.
Il Crocifisso è una splendida scultura lignea policroma (1565 ca.) è attribuito a Romano Alberti detto il Nero, originario di Sansepolcro e morto nel 1568, specializzato in esecuzioni di soffitti lignei intagliati, altari di chiese, sculture devozionali e apparati effimeri; è scolpito in un unico tronco di fico ad eccezione delle braccia che sono snodate per trasformare l’immagine da Crocifisso a Deposto.
La statua dell’Addolorata è in cartapesta, un’opera uscita dalla bottega Ballanti-Graziani di Faenza; è stata acquistata dalla Confraternita entro la prima metà dell’Ottocento.
Sopra l’altare sono conservate due battistrangole, un rosario con grossi grani di legno che lo stesso recitante usava per percuotersi la schiena e un teschio con tibia e perone recuperato nei lavori di rifacimento del pavimento messo li a ricordare la morte.
Le battistrangole sono degli strumenti in legno con battente in ferro su ambedue le facce; quando vengono agitate con movimento semirotatorio alternato e veloce producono un discreto fracasso.
Il lugubre suono delle battistrangole preannunciava in passato il corteo dei condannati a morte; nei riti ecclesiastici sostituisce, durante la settimana santa, il campanello e serve per annunciare le varie funzioni religiose in quanto le campane non possono essere suonate nei giorni di venerdì e sabato santo.
Scendendo sul lato destro troviamo il primo altare dedicato alla Madonna del Carmelo con un quadro ad Olio su tela raffigurante la Vergine del Carmelo e Santi venerata dai confratelli di Camilla Filicchi datato 1820 ca.
La tela rappresenta la Vergine con il Bambino e in alto i profeti Elia ed Eliseo, più in basso i santi Teresa d’Avila Giovanni della Croce, ai piedi due componenti della Compagnia del Carmelo nelle caratteristiche divise della Confraternita.
Segue un secondo altare dedicato a S. Apollonia con un quadro ad Olio su tela raffigurante la Vergine con il Bambino e Santi il cui autore è Francesco Allegrini (1668).
La tela rappresenta la Madonna con il Bambino, i santi Sebastiano, Liborio, Cosma e Damiano, e le Sante Apollonia, Agata e Orsola; il quadro è stato restaurato da Tecni.re.co. di Spoleto nel 1989.
L’ultimo altare è dedicato a S. Trofimo Vescovo con un quadro ad Olio su tela raffigurante San Trofimo intercede per i malati alle articolazioni.
La tela rappresenta in alto, a sinistra, la Vergine con il Bambino, in basso, a destra un Santo Vescovo, a sinistra un vegliardo che, appoggiandosi con la mano destra su di un bastone, con la sinistra indica il ginocchio destro scoperto; tra i due, altri personaggi in secondo piano, che presentano al Santo le proprie mani.
L’opera è attribuita a Louis Dorigny con intervento di F. Allegrini (1677/78). E’ stato restaurato da CORE.BA (2004) con contributo della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Gubbio.
L’unica navata della chiesa ha un soffitto ligneo a cassettoni, intagliato, dipinto ad olio e tempera unico esempio di soffitto cassettonato rimasto a Gubbio, realizzato intorno agli anni 1660-65.
Il soffitto è citato dagli storiografi locali come opera di Federico Zoi del Borgo Sansepolcro e di Giovan Battista Michelini di Foligno, mentre tutta la struttura lignea è opera dei fratelli Giovanni Francesco e Giacomo Casali.
E’ composto da vari quadri dipinti ad olio su tavole di diverse forme geometriche, dove sono raffigurati i simboli della Passione di Cristo, incorniciate da fascioni dipinti con elementi ornamentali.
Il recente restauro, portato a termine nella primavera del 2003 con la ricollocazione di tutto il manufatto, ha permesso finalmente di riconoscere distintamente l’opera dello Zoi , che ha dipinto il soffitto eccetto l’ottagono centrale con la Pietà, realizzata dal Michelini, su commissione dell’Università dei Calzolari come chiaramente indicato dai simboli dell’arte (la suola e il trincetto) sui fascioni che delimitano l’ottagono.
In controfacciata sopra la cantoria fra i due finestroni si nota una tela con l’Adorazione della Santa Croce con i Santi Ubaldo, Pietro da Verona, Elena e i confratelli il cui autore è Virgilio Nucci.
L’opera sfuggita a tutti gli storiografi locali proviene da una collocazione d’occasione, era stata inserita in una cornice a stucco sul soffitto della sala del Consiglio della Confraternita, costruita sopra la sacrestia negli anni 1861-1862.
La tela palesa una stretta dipendenza iconografica dallo stendardo bifacciale eseguito per la stessa chiesa da Pietro Paolo Baldinacci (nonno materno di Virgilio Nucci) fra il 1517 e il 1521.
L’opera è stata restaurata da CORE.BA di Tiziana Monacelli e Vincenza Morena nel 2003 con il contributo della Fondazione della CARISPG.
Durante gli ultimi lavori di restauro della chiesa sono stati scoperti degli antichi ambienti sottostanti al pavimento costituiti da sale voltate murate e non comunicanti il cui uso è ancora incerto; ora sono adibite a sala espositiva e vi viene conservato un dipinto raffigurante La Crocifissione il cui autore è Virgilio Nucci (per altri è Pierangelo Basili) restaurato da CORE.BA di Tiziana Monacelli e Vincenza Morena nel 2003 con contributo della Fondazione della CARISPG.
La sua collocazione originaria era sull’altare maggiore perché faceva da velario al Crocifisso posto nella nicchia insieme alla statua della Madonna Addolorata.
La velatura delle croci avveniva nella liturgia della V domenica di Quaresima, Domenica di Passione, quando si entra nel “Tempo di Passione“.
il Crocifisso posto sull’altare Maggiore veniva ricoperto da un quadro che scorreva dal basso verso l’alto con un apposito meccanismo (ancora esistente).
Nel 1887 i Confratelli verificarono che la movimentazione del quadro comportava il suo notevole deperimento, preferirono quindi la velatura del solo crocifisso con un velo e chiudere la nicchia con un lastra di cristallo, acquistata a Firenze presso la Ditta Giovanni Buonaguidi.
Il dipinto fu acquistato nell’ottobre del 1845, per sostituire l’originario perduto dossale seicentesco.
Del dipinto non se ne conosce l’origine, anche se può essere intuibile che provenga, come era avvenuto per lo stendardo del Crocifisso dipinto dal Michelini, dalla soppressa Confraternita di San Bernardino, la cui chiesa venne demolita nel 1841.
Processione del Cristo Morto
E’ da questa chiesa che parte la tradizionale, commovente processione del Cristo Morto; sull’altare di stile barocco nel giorno del Venerdì Santo dal Crocifisso viene deposta in un catafalco la figura di Gesù con le braccia mobili e portata a spalle fino al sepolcro.
Anche la statua della “Madonna Addolorata“, che sta ai piedi della Croce, viene rimossa in tale ricorrenza.
I partecipanti detti anche “incappucciati“, sono accompagnati durante il “corteo funebre” dal patetico, accorato, malinconico e misericordioso canto del “Miserere“.
Per conoscere più dettagliatamente i rituali della processione si consiglia di consultare il sito della Confraternita.
Santa Croce e i Templari – L’Inquisizione
E’ da questa chiesa che s’iniziò a stilare “il referto di morte” dei Templari, nella zona del Monte Cucco, nel periodo compreso tra il 3 ed il 7 marzo 1310.
Il processo dell’Inquisizione fu inaugurato a Gubbio proprio nel palazzo della chiesa di Santa Croce della Foce, e nel palazzo del Vescovato poi, dove, probabilmente, furono chiamati a comparire numerosi Templari di rilievo delle nostre zone (fra cui, certo, anche taluni della “Precettorìa” di Perticano e della “Commenda” di Santa Croce di Culiano di Sigillo), e, soprattutto, il Gran Precettore dell’Ordine, Frà Jacopo da Monte Cucco.
Fra i testimoni dell’accusa va segnalato Hubaldus, priore dell’abbazia di Insula Filiorum Manfredi di Costacciaro.
Al termine della prima seduta, gli inquisitori, non essendosi presentati né il Gran Precettore, frà Jacopo da Monte Cucco, né molti altri imputati, dichiarano costoro contumaci.
Il processo ebbe il suo scontato epilogo a Palombara Sabina il 27 maggio del 1310.
La sorte dei pochi che si presentarono a “confessare“, anche se possiamo immaginarla del tutto infausta, ci è rimasta completamente ignota.
Le cose andarono così:
Le “tracce” della certa, o a volte presunta, presenza templare riguardano le località di San Cassiano, Casalvento, San Felice, Perticano, l’Eremo di San Girolamo, Pascelupo, l’Abbazia di Sant’Emiliano, Scheggia, Costacciaro, Sigillo, Purello, Fossato di Vico e Campodiegoli, oltre la Chiesa di Santa Croce di Collina, Scirca, Costacciaro, e l’Eremo di Montecucco.
La Commissione itinerante, si spostò dalla cittadina di Assisi, dove si fermò dal 25 febbraio al 1 marzo 1310 per giungere nella città di Gubbio il 3 marzo 1310 e concludere le proprie attività il giorno 7 dello stesso mese.
Non più di cinque giorni!
Assisi, 1310 febbraio 25, gli inquisitori sui Templari negli stati della Chiesa si trovano nel monastero di S. Pietro di Assisi per l’inquisizione nel Ducato di Spoleto.
Fanno affiggere le citazione sulle porte della cattedrale di Spoleto e delle chiese dei SS. Bevignate, Giustino e Paterniano, templari, nonché sulle porte della chiesa di S. Francesco di Assisi e su quelle del palazzo dell’Uditore. (Anne Gilmour-Bryson – pp. 100-6)
In questo breve lasso di tempo, il “tentato” processo vide il Tribunale papale presente presso la sede del Palazzo della Chiesa di Santa Croce di Gubbio (detta “della Foce“) per i giorni 3 e 4 marzo, e il Palazzo del Vescovado di Gubbio per i giorni 6 e 7 marzo 1310.
Il “tribunale itinerante” chiamato a giudicare era composto, oltre che dagli inquisitori, notai, scrivani e nunzi papali, anche da cittadini di rilievo di ogni città o sede di inquisizione.
Il documento
La ricerca presso l’Archivio Segreto Vaticano, condotta dal dott. Pier Luigi Menichetti con il testo latino tradotto da mons. Domenico Bartoletti, secondo un formulario notarile dei primissimi anni del trecento, conduce al testo della prima seduta del 3 marzo 1310 che così recita: “Il giorno 3 marzo 1310, nel Palazzo di Santa Croce in Gubbio, alla presenza di me Giovanni di Vassano, di Giovanni di Silvestro da Bagnoregio, di Piero di Tebaldo da Tivoli, e di Silvestro da Albano, notati e inquisitori dei sopraddetti signori, e anche alla presenza del venerabile Padre signor Francesco, per grazia di dio vescovo di Gubbio, del Signor Abrunamente di Serra, del Signor Bruno Gabrielli, di Raniero del signor Sassi e di molta altra discreta moltitudine di nobili e di abili viventi di Gubbio.
I predetti signori inquisitori dissero di essere venuti a Gubbio, oggi, nel giorno del detto 3 marzo, per aspettare, prima del termine, entro il termine, e nel termine, l’Ordine della Milizia del Tempio Gerosolimitano e il grande Precettore del detto Ordine nel Ducato di Spoleto e negli altri territori con quei decreti costituito, e il Frate Giacomo da Montecuccho, che per grande Precettore, in quelle parti si dice generato per ultimo, come anche i Fautori, i Ricettatori, e i Difensori dei Frati, del gran Precettore e di Frate Giacomo predetti, citati pubblicamente, per una loro ordinanza di citazione e comparizione degli stessi, citati dagli stessi signori inquisitori, intenzionalmente e primariamente, per pubblico editto di citazione nella città di Assisi, affinché nel giorno 6 del detto marzo nella città di Gubbio, nel Palazzo vescovile della stessa città, davanti a loro dovessero comparire, per rispondere all’inquisizione che, per autorità apostolica, sopra quegli articoli, ad essi trasmessi con Bolla, contro il detto Ordine, e il Gran Precettore di detto Ordine e gli altri precitati fanno e intendono fare e a procedere in essi, affinché si provveda a tutte le cose e alle incombenti, come è di diritto.
Nell’attesa, quindi, di questo termine di comparizione del predetto Ordine e del grande Precettore e degli altri precitati, gli stessi signori inquisitori resteranno nel detto luogo del palazzo vescovile in Gubbio al quale predetto Ordine, il grande Precettore e gli altri precitati sono convocati e citati dai Signori inquisitori predetti“.
Furono chiamati a comparire numerosi Templari di rilievo delle zone umbro-marchigiane (fra cui anche templari provenienti dalla precettorìa di Perticano e della commenda di Santa Croce di Culiano di Sigillo).
Altre notizie riguardo ad un “Templare eugubino” le apprendiamo da uno scritto di un nobile di Gubbio: “Battista Sforzolini, cavaliere del Tempio di Gerusalemme, fu uno dei più prodi guerrieri del suo tempo; fu sempre il primo in tutti i più pericolosi azardi; non si sottrasse mai ai pericoli, quasi sormontò co’l valore, e co’l senno, e nelle più spaventose mischie diede à vedere, che un cuore generoso non trova pericolo, che lo spaventi“.
Templare fu, probabilmente, anche un altro Sforzolini, il “Cavaliere di Rhodi” Guido Sforzolini.
Fonti documentative
Opuscolo descrittivo a cura della Confraternita di S. Croce della Foce
http://www.santacrocegubbio.it/
https://sites.google.com/
http://www.pascelupo.it/
http://www.lamiaumbria.it/
http://www.comune.gubbio.pg.it/
I Templari del Monte Cucco
Abbazia di San Bartolomeo ed Emiliano in Congiuntoli
Castello di Costacciaro
Santuario della Madonna della Ghea
Chiesa di Santa Maria Assunta di Scirca
Chiesa di San Paterniano di Perticano
Chiesa di Santa Maria Assunta – Campitello di Scheggia
Chiesa di San Francesco – Costacciaro
Chiesa di Santa Croce – Casalvento
Chiesa di Sant’Anna – Sigillo
Castello di Pascelupo
Chiesa di San Felice – Perticano di Sassoferrato
Eremo di San Girolamo al Monte Cucco
Torre di Casalvento