Chiesa di Santa Barbara – Barbara (AN)
Cenni Storici
Sotto la volta dell’arco di S. Barbara, si apre l’omonima chiesa barocca ricostruita nel 1694 per opera del cardinal Carlo Barberini, abate commendatario, sulle fondamenta della vecchia sede. Era un piccolo luogo di culto ricavato in una casa privata quattrocentesca dallo stesso proprietario, memore dello scampato pericolo nell’assedio delle artiglierie malatestiane del 1461, descritto in un passo dello storico jesino Pietro Gritio riportato in un’epigrafe marmorea affissa sulla sinistra dell’ingresso, all’esterno della chiesa. All’interno si ospitano anche preziosi cimeli storico-artistici, oltre all’acquasantiera con lo stemma dei Cavalieri gerosolimitani, alla starna della santa, la cui versione lignea quattrocentesca, conservata nel museo parrocchiale, è alquanto preziosa, all’immagine della “Madonna dell’Olivo” nella cappella di destra, ricavata nell’antico cassero, già venerata come miracolosa e trasferita qui agli inizi dell’Ottocento insieme all’epigrafe, dopo essere stata prima tagliata dal muro di un’originaria edicola rurale, oggi definita “Madonna del Bastardo” e poi conservata per oltre un secolo nella chiesetta periferica di S. Rocco. I gioielli della chiesa sono però: le stampe francesi della Via Crucis; il “S. Antonio Abate”, dipinto di autore ignoto, con la rappresentazione schematizzata dell’abitato di Barbara, dove si possono riconoscere sulla sinistra la vecchia chiesa romanica dell’Assunta, con l’abside orientata verso Est, sullo sfondo il mastio ed in primo piano il torrione di NO; la “Santa Barbara” di Sebastiano Conca, stimato rappresentante della scuola pittorica romana del primo Settecento, esposta sull’altare maggiore, e, “dulcis in rundo”, la “Madonna con l’arcangelo Michele, S. Nicola da Tolentino, S. Giuseppe e S. Carlo Borromeo”, opera matura del veneziano Claudio Ridolfì, nella quale l’artista supera il consueto stile compositivo, conferendo al dipinto una caratterizzazione plastica e realistica. Nel lato opposto all’entrata della chiesa, è ancora affissa, sul fronte dell’antico palazzo comunale, la cinquecentesca tavola lapidea delle misure locali – la più antica fra le consimili del Senigalliese: vi sono descritte in alto le misure lineari locali del piede ed ai margini quelle del braccio del panno della lana e del lino, al centro la superficie del coppo e Pona lignea della segreta del mattone, in basso il peso del boccale di vino; nel mezzo si apre una fessura per l’inserimento di gabelle e multe da pagare alla cancelleria comunale che aveva sede all’interno. L’edificio ospitava altresì le carceri nel pianterreno e, in un angusto vano seminterrato ricavato a ridosso delle mura, aveva sede una cella d’isolamento, la “segreta”, di cui resta la porta lignea, consolidata con rinforzi e serrature in ferro battuto.