Chiesa di San Vittorino – Petroia di Città di Castello (PG)
Cenni storici
L’area su cui incombe San Vittorino era abitata sin dai tempi dei romani, ciò è documentato dal ritrovamento di un sarcofago del II secolo e conservato nella Pinacoteca Comunale di Città di Castello,
e dei mosaici dove si pensa che nell’area di San Vittorino vi fosse una stazione termale; inoltre alcuni nomi romani locali o delle immediate vicinanze sono di grande importanza storica: Morra, per esempio, è una corruzione del nome latino “Horrea“, i granai e ci fa supporre che il luogo fosse un centro agricolo di primaria importanza; i Castri, da “Castra“, gli accampamenti, dove forse saranno stati stazionati dei legionari romani; Petruvio o Petroia, e Petreto fra il cimitero attuale di Ronti e il fiume Nestore, ci danno quasi la fotografia di luoghi una volta desolati, poveri e inabitabili e una idea dell’opera paziente di trasformazione operata dai benedettini del monastero di Petroia in particolare, che dopo l’anno mille acquisirono un ruolo di primaria importanza nel territorio.
I benedettini non solo bonificarono e pianificarono l’economia di queste terre, ma accumularono una notevole ricchezza, basti pensare che nel 1200 il dominio e l’estensione e i possedimenti del solo Monastero di Badia di Petroia erano più grandi di quelli del Comune di Città di Castello, ed i possedimenti si estendevano perfino nel territorio perugino con molte chiese.
San Vittorino non era solo una chiesa ma in alcuni documenti si parla di fortificazione, tanto che
Giuda di Montemigiano lo conquistò poco prima del 1250 insieme al palazzo della Castellaccia, ma fu costretto a restituirli al Comune di Città di Castello nel 1253.
La chiesa era nel territorio dell’Abbazia di Petroia di possesso dei Marchesi di Monte Santa Maria i quali sborsavano una cospicua somma alla Camera Apostolica per conservarne il patrimonio, che avevano acquistato da tempo immemorabile.
Nel 1364 i Marchesi non riuscirono a mettersi d’accordo nei loro patti di divisione a chi toccasse la chiesa di San Vittorino e, per conseguenza, ognuno dei quattro fratelli, Guido, Raniero, Giacomo e Taddeo, figli del Marchese Ugolino, ne mantenne la piena giurisdizione.
Da un documento del 1367 risulta che, l’Abate Cristoforo di Badia di Petroia, diede in affitto un pezzo di terreno a un certo Benvenuto di Dato di San Vittorino, per cinque anni, per un fiorino e mezzo all’anno, in tutto sette fiorini e mezzo.
A tal proposito però va sottolineato che i rapporti tra San Vittorino e Petroia non erano dei migliori e non correva buon sangue fra le due comunità; il fiume Nestore ha separato le due borgate per secoli e secoli, e anche dopo che il Comune di Città di Castello costruì un ponte sul fiume nel 1403, non si allacciarono mai relazioni di buon vicinato.
Gli Abati di Petroia nel tempo hanno contribuito non poco a questo screzio fra gli abitanti delle due borgate, infatti davano in affitto i loro terreni agli abitanti di San Vittorino e si lagnavano perché spesso gli affitti non venivano pagati puntualmente, dovuto o alla scarsità delle annate, o alla mala volontà degli agricoltori, e dicevano agli abitanti del monastero di non fidarsi dei sanvittorinesi.
Col passar del tempo le relazioni andarono peggiorando e nel 1555, l’Abate don Leonardo di Badia, per invidia, pugnalò addirittura il cappellano di san Vittorino, don Antonio.
Fra le ragioni storiche di questa acredine c’era anche il fatto che la chiesa di San Vittorino, insieme ad altre 10, apparteneva al piviere di San Magno di Ronti o Conti.
La pieve di Runte appare nella bolla che nel 1126 il Papa Onorio II mandò al vescovo di Città di Castello Rainerio; in questo documento la pieve è sotto la giurisdizione del Vescovo di Città di Castello.
Dal trattato dell’Abate Magno con Città di Castello del 1204 si ricava che il territorio di Ronti era sotto la giurisdizione del Monastero di Petroia, ma sembra, per certi privilegi di cui non esiste memoria, che il pievano di Ronti sia stato sempre religiosamente indipendente dal Monastero e anzi, gli abitanti del monastero stesso dovevano essere battezzati nella pieve di Ronti la quale aveva il diritto di un fonte battesimale.
Questa separazione dei poteri su San Vetturino contribuì ad accentuare le acredini.
Nel 1402 i Castellani distrussero il palazzo di San Vittorino occupato da dei fuoriusciti.
Nel 1422 subì il passaggio di Braccio Fortebraccio da Montone intento ad occupare Città di Castello.
Verso la fine del 1400 sopraggiunsero tempi difficili e politicamente torbidi e cominciò la decadenza del monastero, vari popolani cominciarono a corrodere il vasto patrimonio appropriandosi dei terreni, delle case, degli animali e delle suppellettili del Convento spogliandolo quasi completamente di tutto.
L’abbazia di Petroia cessò di esistere come tale nel 1571, ma la sua espropriazione durò negli anni per giungere la culmine nel 1860 quando fu acquisita dallo Stato; insieme ad essa decadde un intero territorio e le sorti di San Vittorino non furono diverse e subì le stesse conseguenze.
Aspetto esterno
Il fabbricato su cui insiste la chiesa mantiene l’aspetto di un nucleo fortificato; la parte posteriore dell’edificio è in parte crollata in seguito al terremoto del 1997 mentre l’altra porzione ad est è ancora abitata.
Nella parete esterna sinistra della chiesa c’è una porta di servizio sovrastata da una finestrella; la facciata è liscia, il portale è ad arco sovrastato da un grande finestrone architravato con un imponente lastra di pietra arenaria che in origine conteneva una scritta ma che ora per effetto degli agenti atmosferici che hanno logorato la pietra non è più leggibile.
Il campanile è sulla parete di fondo inglobato nel mezzo dei fabbricati.
Interno
La chiesa si presenta a navata unica e in uno stato di evidente abbandono; il soffitto è pianellato con travetti di legno, il presbiterio è rialzato di un gradino mentre l’altare è in posizione pre-conciliare, infatti l’eventuale celebrante è di spalle ai fedeli.
Ai lati dell’altare ci sono due porte che immettono nei locali probabilmente adibiti a sacrestia.
Sulla parete sinistra del presbiterio una nicchia per oli sacri in pietra finemente decorata databile al XVI secolo.
Sopra l’altare un grande spazio vuoto doveva contenere una tela probabilmente con l’immagine del Santo, ora però scomparsa.
Sulla parete destra in una nicchia c’è un confessionale in legno.
Il pavimento è in mattoni e in controfacciata, entrando sulla destra si nota un acquasantiera in pietra; il pavimento è in mattoni.
Leggenda di San Vittorino
La tradizione popolare narra che nella frazione di Giogole un Console Romano aveva bellissima casa e
teneva un picchetto di guardia, mentre si godeva la villeggiatura.
In questa villa il console romano e i suoi ospiti assistevano ai giochi dei gladiatori.
Si parlava di un tempio romano dove il Console superstizioso andava a propiziarsi i suoi dei; si parlava di un vetturino che trasportava i soldati da Giogole al Tevere dove si imbarcavano per Roma e dal Tevere a Giogole dove venivano a passare le ferie e a tutelare il soggiorno dei loro comandanti.
Il vetturino un giorno sentì una strana storia da uno dei soldati: un “biondo Galileo aveva
fatto tanti miracoli in una lontana Provincia Romana, fu ucciso per invidia, ma Lui accettò
la morte per salvare tutti gli uomini, e incredibile a dirsi, dopo tre giorni uscì dalla tomba
glorioso e trionfante per non morire mai più“.
Il vetturino restò attanagliato da questa strana storia, volle sapere altro, si convertì e si fece battezzare.
Il Console Romano montò su tutte le furie e gli ingiunse di rinnegare la sua fede; il vetturino preferì morire, e i pochi cristiani che lo conobbero lo chiamarono Vittorino, per celebrare la palma del martirio raggiunta così coraggiosamente dal loro vetturino.
Fonti documentative
Giuseppe Franchi – La vera storia del monastero di Petroia – 1986