Chiesa di San Severo – Terzo San Severo di Spoleto (PG)


 

Cenni Storici

Ubicata in posizione dominante l’abitato la chiesa di San Severo risale all’XI-XII secolo.
È nominata nel tardo trecentesco Codice Pelosius, aveva un reddito di 14 lire e 2 soldi, era curata e a collazione del vescovo.
L’iconografia di San Severo lo presenta: come un soldato vestito con tunica e mantello, che regge una spada, di solito con una bianca colomba, simbolo dello Spirito Santo, sopra il capo.
Severo nacque, secondo una tradizione agiografica, a Martana, intorno al 380.
La leggenda narra che, militare di professione, mentre arava un suo campo lungo la via Flaminia, con l’aiuto di un bue ebbe la fortuna di trovare un tesoro.
Decise, allora, di uccidere l’animale e di riempire lo stomaco del bovino con quella porzione di preziosi che vi poteva entrare, e di donare tutto il resto all’imperatore dell’epoca, probabilmente Valentiniano III.
Questi per ricompensarlo lo nominò Magister militum (maestro dei soldati o dei cavalieri), titolo molto ambito; ma un ricco e potente ravennate, certo Vacco (o Guacco): con la scusa che oggetto della donazione all’Imperatore doveva essere l’intero ritrovamento e non solo la parte decisa da Severo, lo fece arrestare e condurre a Ravenna.
Una delle prime tappe del viaggio fu la cittadina di Montefalco, dove soldati e prigioniero furono costretti a pernottare a causa di un ponte rotto che fece perdere loro la strada.
Accampatisi per la notte, Severo chiese agli abitanti del posto chi fosse il santo più venerato del luogo e ricevette la risposta che il presbitero Fortunato era morto, da non molto tempo, in odore di santità.
Severo lo pregò a lungo, chiedendo la grazia di essere liberato e promettendo di costruire in suo onore una bella chiesa.
La stessa notte Vacco ricevette in sogno la “visita” di Fortunato, che impose al ricco ravennate di liberare l’innocente che aveva reso prigioniero.
Tra Gubbio e Cagli, il drappello fu raggiunto dall’ordine di scarcerazione per Severo, che comprese di avere ricevuto la grazia dal santo presbitero montefalchese.
Il Magister militum decise comunque di proseguire verso Ravenna per conoscere colui che lo aveva fatto incarcerare.
Giunto in città, Vacco gli si fece incontro chiedendo il suo perdono; Severo lo perdonò in nome di Dio e lo convertì, con tutta la famiglia, alla fede cristiana.
Nel viaggio di ritorno, fedele alla promessa, Severo si fermò nei pressi dei luoghi ove era vissuto Fortunato e vi fece erigere una bella chiesa a lui intitolata (la chiesa-convento di San Fortunato di Montefalco).
Le spoglie mortali del santo montefalchese furono traslate nella nuova costruzione e Spes, vescovo di Spoleto, vi giunse per la consacrazione, rimanendo ben otto giorni.
Durante le celebrazioni, Severo ricevette la visita di una colomba bianca, quasi a sancire che lui stesso sarebbe stato santo.
A seguito di vari prodigi, dopo aver fondato anche la chiesa di Santa Maria in Pantano nella natia Massa negli ultimi due anni della sua vita Severo si ritirò in preghiera in un “orrido e solitario luogo“, denominato Varano o Torano, vivendo e pregando in grotte o sotterranei in cui ricavò anche un oratorio dedicato alla Madonna, nei pressi dell’odierno paesino di Terzo San Severo.
Qui Severo morì, in odore di santità, il primo giorno del mese di febbraio dell’anno 445; nel luogo della sepoltura fu eretto un tempio per onorarne le spoglie che, però, in epoca imprecisata i cittadini di Montefalco vollero per loro e che furono pertanto traslate nella chiesa da lui stesso eretta e dedicata a san Fortunato, ove è ancora oggi il sarcofago di Severo, nominato compatrono della cittadina umbra.
 

Aspetto esterno

L’elegante facciata, in conci piuttosto grandi, termina con un piccolo campanile a vela a doppio fornice, provvisto di due campane, aggiunto nel XV secolo.
Al centro una bifora con capitello a stampella è posta sopra una mensola, sotto, un elegante portale architravato con un massiccio blocco di calcare.
Il paramento murario esterno della chiesa mostra chiaramente due tempi diversi di costruzione con la parte vicina all’ingresso della chiesa apparentemente più arcaica, realizzata in conci piuttosto grandi, il resto della muratura in conci di calcare regolari e di più piccole dimensioni, ben connessi tra di loro, com’è tipico della prima fase del romanico spoletino.
Sulla parete esterna sinistra si apriva una porta con arco a tutto sesto, ora tamponata; su quella destra si apre una finestra e sono inseriti nella muratura grossi blocchi, presumibilmente di spoglio.
L’abside non è oggi visibile dall’esterno, in quanto coperta dalla più tarda costruzione della casa canonica, la si può ammirare dall’interno della stessa, ancorché intonacata mostra chiaramente le caratteristiche tipiche del primo romanico spoletino, ornata con archetti e peducci.
 

Interno

L’interno si presenta con un impianto tipico delle chiese romaniche spoletine, a navata unica con tetto a due spioventi e travatura a cavalletto.
Sotto il pavimento si trovano diverse fosse tombali, come d’uso per le chiese dell’epoca.
Sulla controfacciata sinistra è posta una lapide in memoria del restauro della chiesa realizzato nel 1973 con il contributo di abitanti di Terzo San Severo emigrati in America.
Sulla parete sinistra secolo si trovano una nicchia e due cibori, di cui uno datato 1519.
Segue una malconcia tela di un ignoto seicentesco raffigurante la Visitazione della Vergine Maria a Sant’Elisabetta, con la Madonna palesemente incinta che stringe la mano della cugina, a sinistra San Giuseppe, a destra San Zaccaria.
In basso si notano due busti di Santi di difficile interpretazione.
L’area presbiteriale, rialzata di due gradini, termina con un’abside a pianta semicircolare con copertura a semi cupola.
La chiesa originariamente aveva probabilmente una cripta, oggi completamente interrata e non più accessibile.
Sulla parete di fondo, a sinistra rimane un malconcio affresco ove è raffigurata una Madonna col Bambino e un ancor maggiormente malridotto San Sebastiano.
Pur se di difficile lettura per il mediocre stato di conservazione sembrano essere opera del primo quarto del XVI secolo, di scuola dello Spagna.
Gli affreschi dell’abside mostrano un’interessante testimonianza pittorica locale; quelli del catino, datati 1475, presentano, al centro, in alto, Cristo benedicente tra due angeli entro una mandorla, a sinistra, San Severo e Santa Maria Maddalena, a destra San Giovanni, recante in mano un cartiglio con l’incipit del suo vangelo, e San Biagio; sulle scritte in basso si leggono i nomi dei santi e la data.
Sono opera di un artista locale che ben conosceva i lavori di Benozzo Gozzoli e di Filippo Lippi, identificabile con lo spoletino Iacopo Zabolino di Vinciolo.
Nel semicatino, opera del Maestro di Eggi, Cristo Benedicente e Madonna del Perdono.
Sulla destra affreschi quasi illeggibili, tra cui un San Fortunato, probabilmente sempre opera del Maestro di Eggi.
A destra dell’abside è conservato un grande frammento scolpito di epoca romana, di cui si ignora la provenienza.
Sempre sulla destra si apre una porticina che conduce alla sagrestia e alla casa parrocchiale, aggiunta più tarda, disposta su due piani, al cui interno è visibile l’antica abside.
Sulla parete destra una tela raffigura il vescovo spoletino Spes che si inginocchia davanti a San Severo, in alto vola la colomba dello Spirito Santo, attributo tipico di San Severo, da cui emana un raggio che raggiunge la fronte del santo; sul cartiglio in basso si legge: CORONAM SUPER CAPITE / QUA UIDUIT TE D..
 

Fonti documentative

S. Ceccaroni – S. Nessi – Da Spoleto a Sangemini, Itinerari Spoletini 3 – Spoleto, 1975
L. Fausti – Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, in Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria – Foligno, 1913
L. Fausti – I Castelli e le ville dell’antico contado e distretto della città di Spoleto – Editoriale Umbra, Perugia, 1990
 

Nota

La galleria fotografica e i testi sono stati elaborati da Silvio Sorcini
 

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