Chiesa di San Paolo – Poggio Mirteto (RI)
Cenni Storici
La chiesa di San Paolo, sorge ai confini dell’abitato ed è la più antica di Poggio Mirteto, nasce come cappella rurale ed è preesistente alla fondazione del Castellum; fu poi trasformata in romitorio intorno all’anno mille.
Nella seconda metà del XIII secolo in concomitanza con la nascita dell’attuale Borgo Vecchio, l’edificio fu ampliato e orientato secondo l’attuale asse.
È sempre stata chiesa cimiteriale, quando lo spazio interno non fu più sufficiente per accogliere i morti, le fu aggiunto accanto un camposanto, nel luogo dove attualmente è il Parco San Paolo.
Nel corso del XIV secolo furono aggiunte le cappelle sul lato est.
Nel corso del XV secolo furono realizzati gli affreschi della controfacciata, raffiguranti la deposizione di Gesù nel sepolcro; nel 1488 fu ricavata l’abside, ove era l’antico romitorio.
Nel 1521 fu affrescata l’abside da Lorenzo Torresani.
Nel 1662 fu costruita la Cappella Ippoliti sul lato ovest.
Nel 1749 la chiesa fu restaurata integralmente, a opera della popolazione di Poggio Mirteto, come ricordato da una lapide posta sopra la porta.
Nel 1888 l’apertura dell’attuale cimitero di Poggio Mirteto segnò la decadenza della chiesa, che fu progressivamente trascurata e quasi abbandonata.
Nel 2007 gli affreschi dell’arco trionfale sopra l’altare della chiesa sono stati oggetto di un complesso restauro, nel 2008 sono stati restaurati quelli delle pareti laterali, nel 2009 il lato sinistro della controfacciata.
Aspetto esterno
L’edificio, edificato in pietra è interamente intonacato e in buono stato.
La semplice facciata a capanna mostra l’unico portone in legno inserito in un portale di pietra locale, sopra al quale, in asse con esso, si apre un modesto rosone a cinque raggi in pietra; sotto all’architrave si trovano delle mensole in pietra.
A sinistra del portone si apre una finestra rettangolare per le devozioni dei fedeli, inserita in una cornice in pietra.
A metà della fiancata della chiesa, sul lato destro, sorge un’alta torre campanaria a base quadrata, costruita in pietra ma anch’essa intonacata e composta da cinque ordini, in due di essi sono presenti delle bifore a stampella e una monofora nella cella campanaria; è coperto da un piccolo tetto a due spioventi che in antico dovevano essere a cuspide.
Interno
L’interno è composto da un’unica navata con tre cappelle laterali voltate a botte, una nella parete sinistra, due nella parete destra; il presbiterio termina con un’abside a pianta semicircolare.
L’edificio è in muratura portante, composta da pietrame di cava, il tetto a due falde, è sostenuto da quattro archi trasversali a sesto acuto con conci a vista; la tessitura lignea e le pianelle in laterizio sono a vista e il tetto è ricoperto esternamente da tegole in laterizio.
Il pavimento è in cotto con alcune fasce trasversali in pietra.
Dietro l’abside, scendendo alcune scale si accede a un ambiente, completamente rimodernato e ora utilizzato come sagrestia, probabilmente faceva parte dell’antico romitorio.
La luce naturale penetra dalle finestre della facciata e da una serie di piccole finestre presenti sulle pareti laterali.
Sopra la porta d’ingresso, un medaglione informa che la chiesa parrocchiale fu restaurata a spese della popolazione nel 1749.
La controfacciata conserva gli affreschi più antichi della chiesa, coevi alla sua costruzione del XIII secolo e di alta qualità pittorica.
Sopra il portone, a destra di chi entra, si trova un’Annunciazione, l’angelo è quasi scomparso, così come il Dio Padre Benedicente che doveva essere raffigurato nel tondo centrale.
A sinistra, un Santo quasi interamente coperto dal tondo celebrativo e Santa Caterina d’Alessandria con in testa la corona, nella mano destra la palma del martirio e nella sinistra il libro, sulla destra, in basso, piccolo come d’uso, il committente inginocchiato.
A fianco l’incontro dei Vivi e dei Morti, tema iconografico di grande fortuna nel XIII-XIV secolo. Un cavaliere coronato, sontuosamente vestito, porta la mano sinistra sul mento in atteggiamento di meditazione e osserva un cadavere in tre stadi di progressiva decomposizione; il cadavere ha sul capo la corona, che si stacca dalla testa e poi dal cranio fino a cadere sulla nuda terra.
In quest’ultimo affresco c’è anche una scritta in caratteri gotici che costituisce un documento di grande valore linguistico poiché la lingua adoperata è il volgare sabino.
Le parole, leggermente sporgenti sull’affresco, sono scritte nel dialetto sabino con caratteri disuguali e piuttosto rozzi.
Oggi sono solo parzialmente leggibili, ma fortunatamente sono state trascritte quando ancora lo erano:
LA VITA ME SCURA. / LA MO(R)TE DURA. / P(ER)DUTU AIO RISU E GIOIA. / JOCU ET ALEGRETIA. / NO MEVOGLIA. / NO ME COSEGLIATE / COSA KE SI FALACE / CA DEU ME SO RENUTU / CA LI O P(E)TUTU (La vita mi è oscura / La morte è dura/ Perduto ho riso e gioia. / Gioco e allegria. / Non mi attirano. / Non consigliatemi / Cosa che sia ingannevole / ché a Dio sono ritornato /Come gli ho chiesto).
Anche sul riquadro al di sopra del cadavere nei tre stadi di decomposizione sono scritte parole ma è difficile decifrarle, poiché sono troppo incomplete.
In basso, è dipinta una Deposizione del Cristo di scuola giottesca.
Sono presenti Gesù, con il volto sereno di chi dorme, la Madre, che abbraccia teneramente la testa del Figlio, Maria di Magdala con i lunghi capelli, Maria di Giacomo e Salome, ambedue con un vasetto di oli profumati, Giovanni, il più giovane degli apostoli, e Nicodemo, che aveva procurato la tomba e il lenzuolo per avvolgere il corpo di Gesù.
Le pareti del lato sinistro presentano una molteplicità di immagini di Santi.
Al registro superiore della prima campata, prima della finestra, v’è una figura non riconosciuta.
Dopo la finestra c’è San Paolo, poi una Santa non riconosciuta, in cattivo stato di conservazione, segue un’evanescente Madonna col Bambino, un altro Santo non riconosciuto con in basso, a sinistra, il donatore di piccole dimensioni, chiude il registro un Santo vescovo.
Al registro inferiore, prima della finestra, v’è una Santa non riconosciuta.
Dopo la finestra c’è San Paolo notevolmente frammentario, sullo stesso riquadro l’Incoronazione della Vergine, altra figura fortemente danneggiata e non riconoscibile, una Santa martire.
Sul pilastro che divide la prima dalla seconda campata è un’evanescente Madonna col Bambino. Questo ciclo di affreschi risale probabilmente alla fine del XIII secolo.
L’affresco del registro superiore della parete sinistra è quasi completamente perso, rimane solo la figura di un Santo con la barba, forse San Pietro.
Al registro inferiore rimane la parte alta di un’Annunciazione, seguono un Santo Vescovo e una Madonna del Latte.
Sul pilastro che separa la seconda dalla terza campata è affrescata Sant’Anatolia.
Alla campata successiva gli affreschi sono disposti su tre registri.
Al registro superiore, sopra la seconda finestra è raccontata in tre quadri la storia dei Bianchi. Nella prima scena è raffigurato il Miracolo dei tre pani: Cristo, nelle sembianze di un pellegrino, incontra un contadino intento ad arare un campo, appoggiato al manico di un aratro trainato da due buoi.
Il pellegrino chiede al villico di cercare dei pani: costui, dapprima scettico, poi incredulo, li ritrova nel luogo indicato.
Cristo è raffigurato con il nimbo crucifero: appoggiato ad un bastone da pellegrino, indossa una lunga veste.
Nella seconda scena l’agricoltore trova una fonte nella quale poter ammorbidire i pani e renderli commestibili e ve ne getta uno dentro, gli appare in quel momento la Vergine che indossa una stola bianca con croci rosse, sopra ad un vestito candido ornato di cerchi bianchi che simboleggiano delle ostie e che costituisce la “divisa” dei Bianchi.
La Madonna stringe in mano gli altri due pani, e lo esorta a non buttarli, altrimenti il mondo perirà, al centro di una pozza d’acqua posta tra i due si scorge il pane già gettato.
Il simbolismo rappresenta la Vergine, intervenuta per salvare il mondo dal proposito del Figlio di punire l’umanità peccatrice.
Sulla destra, si trova poi la scena dell’Apparizione della Madonna dell’ulivo.
Tra il settembre e l’ottobre del 1399 la Vergine appare a un fanciullo che si trova in un uliveto presso Assisi, si rende visibile solo al fanciullo e gli rivela che i nove giorni di devozione attuati dagli Assisiati in seguito all’arrivo delle compagnie dei Bianchi in città non sono sufficienti a placare la collera divina causata dalla gravità dei loro peccati, per cui è necessario ripetere la penitenza per altri sei giorni.
L’episodio è noto dalle Laude XXIX nel ms. 4061 della Biblioteca Casanatense, un laudario proveniente da una confraternita di Assisi, nonché da una cronaca coeva di Città di Castello.
La storia dei Bianchi, con le processioni di penitenza in abiti bianchi per riparare i troppi peccati degli uomini coincise con la peste, che devastò l’Europa nel 1399.
Poggio Mirteto rappresentava l’ultima tappa prima del raggiungimento della meta nel percorso del movimento penitenziale dei Bianchi nella sua marcia di avvicinamento a Roma in occasione del Giubileo del 1400.
Al registro mediano si scorge un’Annunciazione, ne rimane solo l’angelo, che la Madonna è andata persa con l’apertura della finestra, seguono due figure frammentarie.
Al registro inferiore si trovano affreschi con una figura non riconosciute, una Madonna col Bambino, altro Santo privo del volto e non riconoscibile, San Giovanni Battista, cinque figure oranti e, a fianco, una Santa coronata, forse Santa Caterina di Alessandria, tutte opere della fine del XIII secolo.
La cappella che si apre quasi al termine della navata sinistra è priva di ornamenti, rimangono le parti superiori superstiti dell’antica decorazione tardo duecentesca, si scorgono San Paolo, Santa Caterina di Alessandria, la Madonna col Bambino e due figure non riconosciute.
Gli affreschi dell’area presbiteriale sono opera di Lorenzo Torresani, datati 1521.
Questa opera fu la prima di numerosi cicli che i Torresani eseguirono in Sabina e nel 1525 dipinsero anche un Giudizio Universale in San Rocco a Poggio Mirteto, oggi perduto.
Il grande arco trionfale mostra lungo i lati il re Salomone nell’atteggiamento solenne di chi scrive e il profeta Isaia, con la mano destra levata in alto; le figure sono ispirate all’esempio raffaellesco in Sant’Agostino a Roma, tradotto in forme popolareggianti: i profeti appaiono seduti con un angioletto a lato e un arco in prospettiva in lontananza.
Nell’arco trionfale è una gloria di angeli e putti che reggono cartigli inneggianti a Maria, i quattro angeli mediani recano una cartella colle parole:
SVRGE. DILECTA MATER, VT MECVM CORONATA REGNES IN CELIS (Sorgi o Madre amata, perché, incoronata, insieme a me raggiunga la gloria celeste).
L’angelo a destra ha un’altra cartella colle parole d’Isaia EGREDIETVR VIRGA DE RADICE IESSE, ET FLOS DE RADICE ASENDET.
L’angelo a sinistra il saluto del Carnai (4, 7-8): TOTA PVLCHRA ES, AMICA MICA ET MACVLA NON EST IN TE, VENI DE LIBANO, SPONSA MEA.
Nella calotta absidale è dipinta l’Incoronazione della Vergine, Gesù incorona la madre in mezzo a uno stuolo festoso di angeliche suonano strumenti musicali dell’epoca: un tamburello, due flauti e quattro strumenti a corda: una cetra, una chitarra, un liuto, un violino.
Nel catino, sotto una trabeazione illusionista, il Torresani ha dipinto la Conversione di San Paolo: Saulo, caduto a terra insieme al cavallo, vede in alto Gesù, che gli parla e lo converte alla sua fede.
Saulo è accompagnato da quattro soldati, due a cavallo e due a piedi.
Ai lati sono San Pietro con le chiavi e San Paolo con la spada.
Sul lato sinistro, vicino l’arco, si legge, attualmente solo in parte, la data degli affreschi: 1521.
Tutto il ciclo di affreschi è decorato con motivi a grottesche di chiara ascendenza raffaellesca, putti alati, animali fantastici, grifoni e chimere dal volto umano.
In questo affresco è particolarmente evidente la derivazione del Torresani dalla scuola umbro-raffaellesca e dal Signorelli: l’una nella grazia della Vergine e l’altra nei corpulenti angeli musicanti.
Nel complesso la composizione è convenzionale e non molto originale: i panneggi svolazzanti e i capelli al vento degli angeli mostrano una aderenza superficiale ai primi repertori manieristici, l’effetto complessivo è però piacevole.
Sul pilastro che precede la seconda cappella è affrescata una malconcia Madonna col Bambino, sulla faccia rivolta verso la chiesa è un Santo, anch’esso malconcio e non riconoscibile.
Nella seconda cappella di destra, alla Beata Vergine è raffigurata la Madonna col Bambino, vi si legge la data parziale MCCCCLV….
Sulla parete sinistra della cappella rimane un evanescente San Sebastiano e un frammento d’affresco non riconoscibile.
Sul pilastro successivo, verso l’ingresso della chiesa, è affrescata una trecentesca Madonna col Bambino.
Sulla parete della prima cappella, dedicata all’Immacolata Concezione, c’è un affresco quattrocentesco, raffigurante Sant’Ansano e San Sebastiano.
Da una caduta di intonaco è possibile osservare un brano della prima decorazione tardo duecentesca.
Sulla trachea che ha in mano Sant’Ansano si scorge un graffito, un altro si trova appena sotto.
La volta della prima cappella ha il Cristo e i simboli di tre Evangelisti, il leone di San Marco è perduto, la Veronica e San Sebastiano, colpito dalle frecce di un soldato.
In basso sulla sinistra la bella figura di Santa Caterina di Alessandria.
A destra quel che resta di una Crocifissione.
Fonti documentative
https://www.beweb.chiesacattolica.it/edificidiculto/edificio/42131/Chiesa+di+San+Paolo#action=ricerca%2Frisultati&view=griglia&locale=it&ordine=&ambito=CEIA&liberadescr=mirteto&liberaluogo=&dominio=2&highlight=Mirteto
https://www.smassunta.it/sanpaolo/
https://fondoambiente.it/luoghi/chiesa-di-san-paolo-poggio-mirteto?ldc
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Nota di ringraziamento
Si ringrazia la cara amica, Marisa di Rosa e il gentilissimo signor Andrea Leopaldi, che ha aperto la chiesa.
Mappa
Link alle coordinate: 42.26795727169416, 12.685582317703592