Chiesa di San Claudio – Foligno (PG)
Cenni Storici
Stando a Ludovico Jacobilli nel 1148 il vescovo di Foligno Benedetto, già monaco camaldolese di Santa Croce a Fonte Avellana, concesse ad alcuni confratelli di istituire nella città umbra un monastero della stessa congregazione presso la chiesa di San Claudio, non specificando, tuttavia, se questa fosse già esistente, o se fosse stata fondata in tale circostanza.
Nel 1212, il vescovo Egidio degli Atti consentì ai padri crociferi di Bologna di allestirvi un “ospitale per pellegrini“.
Il complesso rimase di pertinenza dei padri cruciferi sino al 2 maggio 1237, data in cui esso veniva rilevato dall’economo delle clarisse del monastero di Santa Maria “Vallis Gaudii“, sito a Foligno in località Carpello.
La fondazione di quest’ultimo monastero (detto anche Santa Maria “de Charitate“, “de Salubritate“, “de Salvetate” o “Fulginatensis”) è stato attribuito prima dallo Jacobilli a santa Chiara d’Assisi e successivamente confermato da Don Mario Sensi grazie al rinvenimento di un atto di vendita di un appezzamento di terra a (Santa) Chiara e Cristiana; l’acquisto, con ogni probabilità, venne favorito dal cardinale Ugolino dei Conti di Segni, legato pontificio della Tuscia e della Lombardia tra il 1217 e il 1219, e successivamente papa con il nome di Gregorio.
Il Papa quindi fece accedere nel 1237 le bizzoche di Santa Maria “de Caritate” dall’isolata località di Carpello al complesso di San Claudio trasformando il bizzocaggio in istituzione religiosa vera e propria assegnando la regola clariana di San Damiano.
Nei primi secoli della sua esistenza il monastero di Santa Maria “Vallis Gaudii“, chiamato regolarmente di San Claudio solo dalla fine degli anni Settanta del Duecento, fu un incorrotto esempio di virtù.
In tempi successivi, tuttavia, la condotta delle monache subì un progressivo decadimento, che raggiunse il culmine nella seconda metà del XV secolo, tanto da indurre le autorità civiche a intervenire, adottando azioni disciplinari tra le quali l’espulsione dal sito tutte le religiose che lo abitavano, decretata dal Consiglio comunale il 27 ottobre 1484.
Il monastero, una volta ripristinato, fu uniformato (1502) alla regola dettata da Urbano IV e vi furono inviate le clarisse dell’Osservanza di Santa Lucia che nel 1263, era detto delle “clarisse urbaniste” e non si ha successivamente più notizia di provvedimenti sanzionatori.
Nel corso dell’occupazione napoleonica di Foligno le autorità francesi ne decretarono infatti la soppressione, costringendo le monache a rifugiarsi presso le consorelle di Santa Lucia.
Le religiose tornarono in possesso della sede originaria dopo la caduta di Napoleone, ma furono di nuovo costrette ad abbandonarla questa volta in via definitiva a seguito delle soppressioni degli enti ecclesiastici sancite nel 1860 dal decreto Pepoli.
Nel 1862 le clarisse di San Claudio confluirono nuovamente nel monastero di Santa Lucia, rimasto ancora attivo nonostante la soppressione.
Per alcuni anni esse convissero in forma autonoma con le consorelle, nel 1910, infine, si unirono
a esse.
Con l’indemaniazione il complesso di San Claudio fu adibito in un primo tempo a caserma dell’esercito.
Presto abbandonata, la struttura tornò ad assolvere questa funzione dopo il 1870, quando ospitò uno squadrone di cavalleria.
Nel 1898, in seguito al trasferimento del reparto militare, il monastero fu venduto dal Comune alla Società della Terni, che vi impiantò uno stabilimento per la fabbricazione del carburo.
Nei primi anni Venti del Novecento, con la dismissione dell’opificio, il sito venne ceduto a privati.
Nel 1925 esso risulta di proprietà del perito tecnico Eugenio Curzio, intenzionato a farlo parzialmente demolire per realizzarvi un complesso residenziale.
Vani furono gli sforzi di Mons. Faloci Pulignani per impedire la distruzione di uno dei monumenti
più illustri, imponenti e ricchi di storia della città di Foligno.
Nell’atto di vendita del monastero fu richiesto solo di mantenere la facciata della chiesa per il resto fu concesso di trasformarlo in appartamenti destinati alla classe operaia.
La demolizione della parte superiore della facciata duecentesca si deve ad interventi eseguiti abusivamente nel 1949 da Eugenio Cucciarelli e Antero Cantarelli, che nel frattempo avevano rilevato il sito per ricavarvi un fabbricato di uso civile.
Aspetto esterno
I locali dell’ex monastero di San Claudio ospitano tuttora un complesso residenziale, che conserva per alcuni tratti il paramento originario in pietra bianca e rosa del Subasio.
Nel lato sinistro del vasto cortile che si apre oltre l’antico portone di ingresso sono ancora distinguibili, seppur tamponati, gli arconi a sesto acuto del chiostro, sormontati da una loggia centinata forse quattrocentesca.
Lungo il prospetto che si affaccia su via Franco Ciri rimangono una serie di monofore e bifore
archiacute poste a intervalli regolari, che testimoniano la coerenza progettuale del complesso, da annoverare senza dubbio tra i più alti esempi dell’architettura religiosa gotica in Umbria.
La chiesa di San Claudio, completamente alterata nella sua struttura originaria, è adibita oggi parte ad autofficina, parte a edilizia popolare.
La facciata conserva il rivestimento in pietra bianca e rosa solo nella metà inferiore, dove sono ancora visibili una cornice marcapiano e il portale archiacuto a ghiera multipla, sorretto
da pilastri a fascio con capitelli a motivi vegetali stilizzati.
La ghiera più esterna è sostenuta da telamoni ridotti in stato frammentario.
Un disegno ottocentesco attesta che il prospetto aveva terminazione a capanna ed era ripartito in tre registri da un’ulteriore cornice marcapiano, sopra cui era posto un rosone.
Interno
L’interno era a navata unica coperta da grandi volte a crociera, poggianti su pilastri a fascio.
La più antica testimonianza sulle decorazioni del complesso di San Claudio risale al 1852, anno in cui il Consiglio comunale nominò una commissione chiamata a compilare una Nota dei quadri più notabili che esistono nelle chiese di Foligno e sue vicinanze.
Nel “sovrapporta” dell’ingresso viene descritto “un bell’affresco rappresentante la Deposizione dalla Croce” datato 1543; nel refettorio “un dipinto a fresco rappresentante la moltiplicazione dei pani del 1636 di non mediocre valore“.
Nel chiostro erano visibili “pitture antiche molto ben conservate fin qui e di un’epoca assai anteriore a Giotto; sopra un arco è una Madonna con il Bambino, due Angeli e due monache in atto di orare dell’epoca di Giotto“.
All’interno della chiesa, infine, vengono ricordati “dipinti a fresco nelle pareti e volte del tempo di Giotto e Cimabue molto ben conservati“.
Alcuni di questi affreschi furono staccati dalle pareti del tempio nel 1868, per essere ricoverati nella Pinacoteca civica di Foligno.
Come attestato dagli antichi inventari della raccolta, tra di essi figuravano anche quattro grandi vele rappresentanti gli Evangelisti, di cui si sono perdute le tracce.
Affreschi staccati
Alcuni affreschi furono distaccati dalle pareti nel 1868 e conservati nella Pinacoteca civica di Foligno dove sono esposti; opere tuttora in cerca d’autore, per la cui attribuzione si sono fatti i nomi di Ottaviano Nelli, Pierantonio Mezzastris e Giovanni di Corraduccio, ma ora, in luogo dei primi due, si parla di un “Maestro di San Claudio” attivo a Foligno nel primo quarto del Quattrocento e di un seguace dello Spagna (Cecconelli).
Santa Caterina d’Alessandria e Cristo in Pietà (Vir dolorum) fine del XIV, inizi XV secolo (attribuzione ad anonimo chiamato “Maestro di San Claudio“) – Nell’affresco sono raffigurati Santa Caterina d’Alessandria e il Cristo in pietà, nella variante iconografica del Vir dolorum.
La martire d’Egitto, riconoscibile per gli attributi della ruota dentata e della spada, indossa una veste rossa di foggia quattrocentesca stretta sotto al seno, con un alto colletto tagliato in due sotto alla gola, e ha i capelli raccolti in un torciglione.
Il Vir dolorum sporge a mezzobusto da un sarcofago, ha le braccia incrociate sul petto e il capo reclinato.
Il corpo segnato dalle ferite è esposto nella sua fragilità alla devozione dei fedeli, invitando
al raccoglimento e alla preghiera.
Trinità e angeli tra san Paolo, santo Stefano e la monaca committente XIV secolo (attribuzione a Bartolomeo di Tommaso) – L’affresco raffigura al centro la Trinità entro una mandorla iridata, affiancata da due angeli in preghiera.
A sinistra del gruppo principale è dipinto san Paolo, che tiene nella mano destra la spada e nella sinistra un rotulo allusivo alle Epistolae – in cui all’inizio si poteva ancora leggere l’iscrizione in capitali gotiche “S. PAULU(S) AP(OSTU)LU(S)”.
Il diacono sulla destra è identificabile con il protomartire Stefano in virtù delle pietre poggiate sulla spalla e sulla tonsura.
Ai piedi della mandorla è genuflessa in preghiera la monaca committente, parzialmente mutila.
Santa Margherita d’Antiochia, santa martire (Caterina d’Alessandria?), sant’Elena, san Girolamo cardinale fine del XIV, inizi XV secolo (attribuzione ad anonimo chiamato “Maestro di San Claudio“) – Questo affresco è suddiviso da partiture a fasce policrome in quatto riquadri di varie dimensioni.
Margherita d’Antiochia è ritratta con le mani giunte nell’atto di uscire dal ventre sanguinante del drago, che richiama il più celebre episodio della sua Passio.
Stando alla leggenda, infatti, la giovane, arrestata per ordine di Diocleziano, ricevette in carcere
la visita del demonio, che le apparve nelle forme della mostruosa creatura e la inghiottì.
Grazie alla croce che stringeva in mano, ella riuscì a squarciare il ventre della bestia, e fu quindi inserita nel novero dei quattordici santi ausiliatori come protettrice delle partorienti.
Nel riquadro successivo è rappresentata una giovane Santa, identificabile con Caterina d’Alessandria.
La giovane ha i polsi legati con delle sottili corde, che alludono alla prigionia in cui fu costretta prima di essere giustiziata.
Seguono una grande effige di Sant’Elena, che stringe tra le braccia la Croce e reca in capo la corona conica imperiale, e, più in basso, un San Girolamo cardinale colto nell’atto di estrarre la spina dalla zampa del leone.
Santa Caterina d’Alessandria (Volto) XIV secolo (attribuzione a un anonimo pittore locale attivo tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento) – Il frammento raffigura il volto di una giovane santa, con i capelli raccolti in trecce ai lati del capo.
Gli attributi iconografici della corona e della spada permettono di identificarla con Caterina
d’Alessandria.
Pietà e i Santi Francesco, Giovanni, Maddalena e Chiara (1543) (attribuzione a Giovanni di Pietro detto Lo Spagna) – Al centro la Vergine seduta sorregge il Cristo morto adagiato sulle sue ginocchia e sorretto da san Giovanni Evangelista e dalla Maddalena; ai lati compaiono i santi Francesco e Chiara d’Assisi oranti.
I personaggi sono inseriti in una struttura architettonica della quale rimangono quattro colonne con capitelli corinzi che sorreggono un architrave che si apre su uno sfondo rappresentato dal cielo con alcuni rami di alberi.
All’estrema sinistra, in primo piano, rimane la raffigurazione di una torciera marmorea poggiante su un basamento, al centro del quale è riportata la data “154[3]”.
La superficie pittorica si presenta estremamente lacunosa.
L’affresco si trovava al di sopra della porta d’ingresso del monastero clariano di San Claudio di Foligno.
Madonna in trono con Bambino XV secolo (attribuzione dell’opera al folignate Giovanni di Corraduccio detto “Mazzaforte“) – Il frammento, di dimensioni piuttosto ridotte, conserva il busto della Vergine e l’imponente schienale del trono architettonico con sguanci laterali, dipinto a imitazione della pietra rosa.
Un piccolo lacerto di nimbo indica la posizione del Bambino, seduto in grembo alla Madre.
Le tracce di una semplice partitura di colore ocra, visibili lungo i lati della scena, ne indicano la larghezza originaria e attestano che non vi comparivano altri personaggi.
Madonna del Latte (attribuito a Giovanni di Corraduccio detto “Mazzaforte” anno 1415) – Il frammento raffigura la Madonna che allatta il piccolo Gesù seduto sul suo grembo, secondo l’antica iconografia di origine copta della Galactotrophousa, diffusa in Occidente già in epoca paleocristiana.
Il manto della Vergine è ornato da un bordo ricamato in oro e da decorazioni dorate in forma di giglio.
Il Bambino indossa una tunica all’antica che gli lascia scoperta una spalla.
Negli anni Settanta del Novecento, diversi studiosi hanno riconosciuto la mano di Giovanni di Corraduccio detto “Mazzaforte” confermando la datazione al 1415.
San Benedetto riceve il cibo dal monaco Romano (attribuzione Pittore attivo a Foligno nel primo quarto del XV secolo forse Francesco di Giambono da Budrio) – L’affresco rappresenta due monaci in saio bianco all’interno di un’elaborata architettura.
Il monaco di sinistra, privo di aureola, ha barba e capelli canuti e tiene poggiato sulla spalla un panno; è colto nell’atto di porgere una brocca al compagno, che ha il volto giovanile cinto da un grande nimbo.
Nel margine inferiore della scena resta un frammento di iscrizione, in cui è possibile leggere “QUANDO FRATE(R)”.
Attraverso lo studio della Vita Sancti Benedicti di san Gregorio Magno, con particolare riferimento al lungo eremitaggio trascorso nelle grotte di Subiaco, Emanuela Cecconelli ha identificato nel personaggio di sinistra il monaco Romano, il frate che era stato vestito dal santo nursino dell’abito monastico, e che lo aveva assistito durante l’isolamento subiacense, portandogli cibo e bevande.
Santa Caterina d’Alessandria metà del XV secolo ( attribuzione ad un Pittore attivo a Foligno “imitatore di Ambrogio e Pietro Lorenzetti“) – L’affresco raffigura Santa Caterina d’Alessandria con i principali attributi iconografici:
la corona allusiva alle nobili origini, la spada con cui fu decapitata, il libro, emblema della sapienza grazie alla quale poté controbattere alle argomentazioni dei filosofi pagani, e la ruota dentata, supplizio a cui sarebbe scampata grazie all’intervento divino.
La porzione inferiore del dipinto è perduta, così come gran parte della cornice.
Il colore è in alcuni punti abraso e in altri scurito da una patina oleosa; una vasta lacuna in corrispondenza del braccio destro della santa è stata reintegrata in un antico restauro.
Fonti documentative
Catalogo Regionale dei Beni Culturali dell’Umbria – Museo della città di Palazzo Trinci di Foligno Opere mobili – 2017
Fabio Bettoni Bruno Marinelli – Foligno itinerari dentro e fuori le mura – 2001
Nota
Gli affreschi sopra descritti sono visionabili presso la Pinacoteca di Palazzo Trinci negli orari di apertura pagando un modestissimo biglietto.