Chiesa dei Santi Crisanto e Daria – Patrico di Spoleto (PG)
Cenni Storici
La chiesa, dedicata ai santi Crisanto e Daria, è di semplice fattura, a una sola navata con copertura a capanna; i caratteri generali dell’edificio rimandano al XIV-XV secolo, taluni particolari ne dimostrano un’origine più antica, precedente al resto dell’abitato.
In particolare l’absidiola disassata, eretta in conci ben connessi, denuncia l’esistenza di un più vetusto e piccolo edificio, forse databile al primo romanico spoletino, intorno alla fine del XII secolo o agli inizi del successivo e successivamente ampliato.
È probabile che l’edificazione della chiesa sia antecedente la nascita della villa e che Patrico sia sorta intorno alla chiesa posta su una via di transito da Spoleto verso la Valnerina, lo testimonia l’inusuale collocazione al di sotto dell’abitato.
La dedica è unica per tutta la vasta diocesi di Spoleto; un Crisanto è stato uno dei primi vescovi di Spoleto, ma santo non lo è mai diventato.
Pertanto la titolazione è da riferirsi ai due martiri cristiani del III secolo, originariamente sepolti nella catacomba di Trasone, sulla via Salaria a Roma.
Secondo una passio tarda e leggendaria, Crisanto era figlio del nobile alessandrino Polemio e fu convertito a Roma dal prete Carpoforo; il padre cercò di farlo tornare al paganesimo inviandogli la bella vestale Daria, ma costei abbracciò la fede di Crisanto e decise di vivere con lui in casta unione matrimoniale.
I due convertirono numerosi romani, finché subirono il martirio che avvenne per seppellimento da vivi. Infatti il sangue di una vestale non poteva essere sparso per non attirare l’ira degli dei.
La chiesa faceva parte del Plebatu S. Petri in Montanis, è nominata come “Eccl. S. Crisanctis de Patrico est. libr. 8 – Ad coll. Capituli S. Petri est curata“, nel trecentesco codice Pelosius.
A cavallo tra XV e XVI secolo subì importanti lavori di ampliamento e ristrutturazione, con aggiunta di una cappellina sulla destra e di un corpo di fabbrica avanzato, presumibilmente adibito a sagrestia che ha distrutto l’originale facciata romanica.
Sempre in tale periodo fu aperto un nuovo ingresso sulla parete sinistra e l’interno fu arricchito da una nuova decorazione pittorica.
Nella visita pastorale del commissario pontificio Pietro de Lunel, datato 10 ottobre 1571 si attesta che la chiesa era già unita alla chiesa di S. Pietro e aveva un reddito di 10 rubbi di frumento l’anno (il rubbio era un’antica misura corrispondente a quasi trecento litri).
All’interno della chiesa si trovavano soltanto un messale nuovo e una borsa di seta in cui era conservata un’ampolla contenente l’olio santo.
Secondo i dettami della Riforma tridentina il de Lunel ordinò di bruciare una statua di legno della Madonna conservata nella chiesa, perché vecchia e consunta, ma con l’obbligo di conservarne le ceneri in un sacrario.
Il Vescovo Lascaris, nella sua visita pastorale, attesta che la Chiesa fu costruita nel 1248, e possedeva due altari dedicati ai S.S. Crisanto e Daria e all’Immacolata Concezione, Patroni di Patrico, festeggiati il 12 agosto e l’8 dicembre, possedeva una torre campanaria con due campane, una con la data 1498.
Monsignor Mastai Ferretti, il futuro Papa Pio IX, ancora nel 1830 trova all’interno della chiesa gli stessi due altari, riferisce che vengono celebrate due feste l’anno: il 29 ottobre, dedicata ai santi Crisante e Daria, e l’8 dicembre, dedicata all’Immacolata Concezione di Maria.
Il parroco, nominato dalla parrocchia di San Pietro non ha l’obbligo di residenza, ma è tenuto a celebrare la Santa Messa tutte le domeniche.
Il 30 maggio 1871 un ingegnere comunale dopo un sopralluogo aveva inviato una lettera al sindaco per informarlo delle pessime condizioni in cui si trovava la chiesa e del rischio che correvano gli affreschi di scuola dello Spagna.
Tre giorni dopo il sindaco invia una richiesta al Sottoprefetto e il 14 novembre sono stanziate L. 227,09 a favore del parroco don Giuseppe Sabbioni; nonostante i restauri siano eseguiti gli affreschi rimangono a forte rischio di deperimento e il 28 dicembre 1872 il sindaco scrive di nuovo al sottoprefetto e gli fa presente che l’unica maniera per garantirne la conservazione è il distacco. Nell’agosto 1873, avuto conferma che la chiesa di Patrico era sempre stata una chiesa baronale di proprietà della soppressa Collegiata di San Pietro, il Ministero di Grazia e Giustizia e del Culto devolve al Comune gli affreschi con l’obbligo per quest’ultimo di provvedere a sue spese al distacco, trasporto, collocamento e conservazione nella civica Pinacoteca.
Il Comune indica il sig. Lorenzo Sinibaldi, custode della Pinacoteca, come affidatario dei lavori.
Il 10 giugno 1874 l’agente del demanio consegna gli affreschi e Lorenzo Sinibaldi in pochi giorni ne opera lo “strappo“, trasferendoli alla Pinacoteca Comunale.
Nel 1964 la Comunità Montana di Spoleto ha finanziato i lavori di restauro della chiesa.
Aspetto esterno
All’esterno la chiesa si presenta priva di facciata, distrutta a seguito dell’aggiunta di un corpo di fabbrica avanzato.
Sulla parete sinistra si apre un semplice portale cinquecentesco.
L’abside romanica, a pianta semicircolare, si presenta oggi non in asse di simmetria per l’aggiunta di una cappellina sul lato destro della chiesa.
Interno
L’interno, ad aula unica con copertura a capriata, come detto, era ornato da affreschi votivi, oggi visibili nel deposito di Santo Chiodo a Spoleto, rimangono in sito solo i deperiti affreschi dell’abside, riportati alla luce a seguito del distacco della più tarda decorazione pittorica.
Vi è raffigurata un’Annunciazione con al centro Dio Padre benedicente; gli affreschi sono appena leggibili, appaiono molto arcaici, presumibilmente eseguiti a cavallo tra il XIII e il XIV secolo.
Entro la nicchia absidale v’era un Cristo all’interno di una mandorla tra due angeli della seconda metà del ‘400, probabile opera di Jacopo Zabolino di Vinciolo.
Il Cristo è rappresentato in modo piuttosto statico e nel libro che tiene vi è scritto: EGO SUM ALFA ET OMEGA PRINCIPUM ET FINEM.
Sopra la nicchia dell’abside c’era un grande affresco che occupava tutta la superficie, e rappresenta l’Annunciazione, con l’Eterno Padre tra l’Arcangelo Gabriele e Maria.
La chiesa era completamente tappezzata da affreschi votivi, purtroppo in base alla documentazione rintracciata non è possibile stabilirne l’esatta collocazione sulle pareti.
Tra gli affreschi Due santi martiri, probabilmente Crisanto e Daria, opera di un seguace dello Spagna, dei primi del secolo XVI.
Il dipinto raffigura un Santo martire biondo di aspetto giovanile, con libro e palma del martirio che indossa una tunica viola.
La Santa, a mani giunte, indossa una veste bianca con disegni a damasco.
La pavimentazione è resa a brevi tratti su toni del verde e il fondo è decorato con motivi a stampino rosso scuro.
Una copia dell’opera è rimasta nella chiesa.
Molti sono gli ex voto fatti dipingere a protezione dalla peste.
La Madonna della Quercia, vi è raffigurata due volte, in un caso da sola, in un affresco della seconda metà del secolo XV, attribuibile a Jacopo Zabolino di Vinciolo, nell’altra versione la Madonna della quercia è accompagnata da Santo Stefano; è opera di un seguace dello Spagna, forse Isidoro di Ser Moscato da Spoleto o Giovanni Brunotti, dei primi del secolo XVI.
L’immagine della Madonna con Bambino raffigurata su una tegola poggiata tra i rami di una quercia; a destra Santo Stefano con palma e libro, indossa una veste rossa da diacono.
Il fondo è eseguito a stampigliatura.
Lo stesso Santo Stefano, lo si trova anche raffigurato da solo, sempre opera di un seguace dello Spagna dei primi del secolo XVI; il Santo è rappresentato su fondo verde, con un libro e la palma del martirio in mano e indossa una tonacella da diacono rossa damascata su un camice bianco
San Sebastiano, protettore principe dalla peste è raffigurato in un affresco della prima metà del secolo XVI, effigiato in busto su fondo con decorazione eseguita a stampino.
Il Santo è ritratto secondo l’iconografia tradizionale, con le braccia legate dietro la schiena e la testa rivolta alla sua sinistra.
Il dipinto è opera di un anonimo e debole imitatore dello Spagna, Giovanni Brunotti o Isidoro di Ser Moscato.
In una chiesa di montagna sita in ambiente rurale non può certo mancare il santo protettore degli animali, Sant’Antonio Abate, riprodotto ben tre volte.
Lo si ritrova a figura intera, opera della fine del secolo XV, attribuita a Jacopo Zabolino di Vinciolo, con l’iconografia classica, bastone e il simbolo del Tau sul mantello, su uno sfondo a stampini che da l’effetto delle stoffe damascate, tipica decorazione quattrocentesca.
Forse c’era anche il maialino nero, in basso a sinistra, ma tale parte di affresco è perduta.
La stessa attribuzione e lo stesso periodo sono ipotizzabili per le due altre raffigurazioni del santo, di una rimane solo il busto con la barba fluente, nell’altra Sant’Antonio Abate appare accanto a una Madonna in trono col Bambino.
La Madonna è raffigurata come Madonna del latte, motivo ricorrente nel territorio spoletino.
Ancora tra gli affreschi votivi si trova San Pietro Martire, opera dei primi del Cinquecento di un seguace dello Spagna; il Santo con saio bianco e manto nero regge nella mano sinistra un libro aperto ed una palma; un pugnale è conficcato nella spalla destra, secondo l’iconografia tradizionale.
La figura è inserita in una cornice stampigliata con motivo a candelabra.
Un Santo vescovo, opera di un seguace dello Spagna della prima metà del secolo XVI è collocato su uno sfondo verde, decorato a stampino; la stessa decorazione è presente sul manto rosso del Santo.
Un Cristo crocifisso, della seconda metà del secolo XV, attribuibile a Jacopo Zabolino di Vinciolo e raffigurato su uno sfondo di aguzze montagne.
Sempre allo Zabolino è attribuibile un San Michele Arcangelo che indossa un’armatura e con la lancia trafigge il drago/lucifero; sotto l’affresco è riportata la scritta HOC OPUS FECIT FIERI…
Appropriata a una villa di transito è la raffigurazione di San Giacomo col bastone da pellegrino, opera di un artista affine al Maestro di Eggi.
Completano la decorazione già presente nella chiesa una serie di affreschi raffiguranti la Vergine col Pargoletto.
Una Madonna in trono col Bambino, della seconda metà del secolo XV, è attribuibile a Jacopo Zabolino di Vinciolo.
Della stessa mano è, probabilmente, un’altra Madonna col Bambino, molto danneggiata.
Forse anche un’altra Madonna in trono col bambino, molto danneggiata, è attribuibile a Jacopo Zabolino di Vinciolo.
È opera di un seguace locale dello Spagna, risalente ai primi del secolo XVI una Madonna col Bambino, di cui sopravvive solo la parte superiore.
Di delicata fattura è stata per molto tempo attribuita al Maestro.
La Madonna, con veste rossa e manto ora verde, ma, forse, in origine azzurro, sorregge con la mano destra il Bambino; sullo sfondo, è un motivo decorativo a stampino.
Della stessa mano, ma in migliori condizioni è un’altra Madonna col Bambino. L’iconografia è tradizionale: la Madonna ha la veste rossa e il manto ora verde scuro; il fondo è giallo con decorazioni a stampino.
Fonti documentative
L. Gentili – L. Giacchè – B. Ragni – B. Toscano – L’Umbria – Manuali per il territorio – Spoleto – Roma, 1978
Anna Maria Evangelisti – Viaggio alla scoperta di Patrico – Spoleto 2018
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
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