Chiesa – Auditorium di San Domenico – Foligno (PG)
Cenni Storici
La chiesa di San Domenico, situata nell’omonima piazza, con il convento annesso è tra i monumenti architettonici più significativi di Foligno. Da secoli ha perso la propria identità funzionale ma non quella architettonica. La facciata ha un bel portale ogivale; l’interno con copertura a capanna tipica delle Chiese degli Ordini mendicanti, conserva l’ossatura gotica. Passata a seguito delle demaniazioni ottocentesche in proprietà al Comune di Foligno, dopo un importante intervento di recupero, è stata oggi trasformata in Auditorium. L’architetto Franco Antonelli (Foligno, 1929-1994), trascorse a Roma alcuni anni prima come studente, poi come assistente universitario e collaboratore nello studio degli architetti Cicconcelli e Pellegrin, si stabilisce definitivamente nella sua città agli inizi degli anni ’60: innamorato della sua terra e del suo lavoro, sceglie di vivere e lavorare nella sua Umbria, di cui ben conosce il tessuto storico, urbano ed artistico. Uomo di grande cultura e sensibilità, ha saputo trasferire le sue doti in tutte le sue opere; non ultima, anche se rimasta incompiuta, la realizzazione dell’Auditorium San Domenico, a Foligno, portata a termine dallo studio Antonelli e Associati.
Una trascrizione secentesca dell’epigrafe apposta sulla facciata della Chiesa conventuale di S. Domenico, per la caduta di una lettera, aveva fatto ritenere che l’edificio risalisse al 1251. L’epigrafe è ancora in situ, ma per la caduta di alcune lettere della prima riga non è più possibile verificare l’esattezza della trascrizione della data, che – colpa del lapicida, o del trascrittore – è sicuramente errata, poiché, come pur indirettamente si evince dagli Acta capitulorum provincialium Provinciae romanae, fra Benedetto di Giorgio da Foligno fu priore di S. Domenico non nel 1251, ma nel 1351. Scrive poi il Fontana che i domenicani avrebbero inizialmente ottenuto in Foligno, intorno al 1260, una piccola chiesa con annesso ospizio poco fuori le mura; e vi avrebbero preso dimora i padri che venivano da Perugia per il ministero della predicazione: quivi i padri sarebbero rimasti fino al 1269 allorché giunse in città fra Paparone de Paparonibus, loro confratello neo eletto vescovo di Foligno, dal quale ebbero in dono un sito più comodo, posto dentro le mura della città e con orto annesso per la costruzione del nuovo complesso conventuale nel 1285. L’Archivio antico del convento era quasi inesistente quando il complesso conventuale di S.Domenico nel 1566 fu sottratto ai domenicani conventuali e fu assegnato ai frati della riforma di S. Pio V, della provincia romana. Al vuoto documentario sulle prime cappelle di iuspatranato laicale, così come sulle committenze artistiche fin verso la metà del secolo XVI, si contrappone per il periodo successivo una dovizia di documenti che per ragioni amministrative furono riassunti nel libro dei Ricordi. Con le note leggi eversive, il complesso fu demaniato. Nel 1799 i padri domenicani, dopo essere stati espulsi, ripresero possesso del loro convento. Nel 1806 ci fu la seconda soppressione del convento, ridotto a “spedale dé francesi”; nel 1848, durante la terza soppressione del convento, la chiesa viene utilizzata come dormitorio per le truppe dirette a Roma; 1860 dicembre 14: chiesa e convento soggiacciono al decreto Pepoli e il 16 dicembre successivo, nella soppressa chiesa, la Guardia Nazionale presta giuramento di fedeltà; 1861 aprile 21, la chiesa di S. Domenico è adibita a stalla per i cavalli dell’esercito. E prima del 1864 “gli affreschi più notevoli della chiesa sono stati per cura del municipio distaccati dalle pareti, giovandosi dell’opera industre del camerinese Tito Buccolini, professor di disegno nelle scuole tecniche di Foligno e dello scultore Ottaviano Ottaviani ed ora si trovano nella sala comunale”. Ma lo scempio non era ancora finito: Antonio Mancinelli, nel 1904, la ricorda come palestra ginnastica; e, ai nostri tempi, l’abbiamo vista adibita a legnaia e a fucina del Comune, finché, da ultimo, si è presa coscienza della necessità di salvaguardare questa testimonianza di civiltà. (Mario Sensi)
L’arte
Il complesso e frammentario gruppo di affreschi che decorano le pareti della navata di S. Domenico – più di una cinquantina di soggetti oltre a vari frammenti di non facile interpretazione – costituisce una delle testimonianze più rilevanti della pittura fra Tre e Quattrocento nell’Italia centrale. Molto resta da indagare circa le vicende costruttive del grande edificio, che, sulla base della lettura di un’iscrizione compiuta da Faloci Pulignani, si vuole far risalire al 1251. Poiché la presenza dei padri predicatori a Foligno è documentata solo a partire dal 1285 e per avere notizia di lavori non ancora ultimati nella tribuna e nelle cappelle laterali occorre giungere ad una data molto avanzata (1472), sembra logico supporre che la chiesa domenicana, ad unica navata non voltata, sorgesse più tardi e subisse lungo l’arco del Trecento e del secolo successivo molteplici adattamenti e trasformazioni. Infatti, da una prima osservazione di alcuni particolari costruttivi e decorativi si arguisce che, prima dello scadere del XIV secolo, si doveva procedere alla tamponatura delle grandi finestre archiacute della navata ed alla costruzione dei due archi trasversali, forati da aperture funzionali alla presenza di un camminamento. L’impresa decorativa si realizzò probabilmente in concomitanza con questi interventi, non prevedendo un organico ciclo di affreschi, ma piuttosto grandi scene o immagini a carattere votivo che si svolgono a varie altezze, affiancandosi o sovrapponendosi le une alle altre negli ampi spazi delle pareti. Proprio in virtù di questa rapsodicità, che vide operosi sulle pareti di San Domenico numerosi maestri e persone del loro «entourage» in un volgere di tempo che non dovette superate pochi decenni tra lo scadere del Trecento ed i primi del Quattrocento, i dipinti della chiesa domenicana di Foligno offrono una rara e inedita testimonianza di quanto veniva maturando in fatto di cultura pittorica in questo centro nodale dell’Umbria, posto al crocevia tra gli influssi assisiati, le tendenze maturate nell’Umbria meridionale e gli apporti dell’area marchigiana ed adriatica. Già si possono fare alcune osservazioni circa la presenza, nell’impresa decorativa di S. Domenico, di personalità di artisti già noti: a Cola Petruccioli sembra appartenere la porzione superiore di un affresco che allude ad una più ampia scena, di cui rimane la bella cornice con un busto di Profeta in un compasso e in un finissimo giro di angeli che facevano corona alla parte centrale della composizione, ora perduta (forse un’ Incoronazione della Vergine). All’ambito orvietano, se non allo stesso Cola, appartiene certamente anche un altro grande frammento sulla stessa parete; anche qui una cornice riccamente decorata a fogliami, con inserita entro un tondo l’immagine del Vir dolorum e, sotto, variopinte figure di angeli. Un altro brano di cornice con clipei includenti teste virili a monocromo richiama anch’esso la cultura protoumanistica dell’orvietano. Individuabile in più scene è la mano di Giovanni di Corraduccio, cui spetta certamente la figura di santo (S. Gregorio?) con committente, che costituisce lo strato più antico di un palinsesto sulla parete sinistra, a poca distanza dai dipinti dell’orvietano, ed è forse ancora il pittore folignate l’autore di un Martirio di S. Sebastiano e di uno Sposalizio mistico di S. Caterina sulla parete opposta. L’influenza esercitata nell’ultimo decennio del Trecento dagli orvietani sulla formazione di quello che viene considerato il maggiore pittore folignate fra ‘300 e ‘400, già ampiamente dibattuta dalla critica, trova sulle pareti di S. Domenico un riscoperto campo d’indagine come anche molti chiarimenti potranno venire per l’individuazione di diverse personalità dell’ambito culturale dello stesso Giovanni di Corraduccio. Tra questi emerge la figura di un notevole maestro presente in altri luoghi della città (S. Caterina, S. Francesco, Pinacoteca) e in alcuni centri vicini (Trevi, Montefalco), denominato dal suo «master-piece» «Maestro dell’abside destra di S. Francesco a Montefalco»: qui in S. Domenico lo si riconosce in diverse scene, tra cui quella raffigurante Cristo in casa di Marta e Maria. Merita di essere ricordata, tra i brani databili al XV secolo più maturo, la bella Madonna di Loreto collocata entro una nicchia della parete sinistra a seguito di uno stacco a massello che purtroppo ne ha sacrificato la parte inferiore: per caratteri stilistici e per qualità pittorica essa richiama il nome di Bartolomeo di Tommaso, ed è probabilmente da ascrivere ad uno dei più diretti «creati». Un indubbio rilievo va dato anche alla figura di S. Sebastiano che compare in basso, sulla parere opposta, e denuncia i modi dell’Alunno giovane. (Giordana Benazzi)