Celleno Antica – Celleno (VT)
Cenni Storici
Celleno Antica sorge a 350 metri di altezza e a circa 1,5 km dal nuovo centro.
Abbarbicata su uno sperone di tufo, si erge tra due torrenti che gradatamente sfociano verso il Fiume Tevere.
Il basamento di tufo ove poggia il borgo è soggetto a una lenta e progressiva erosione che sta mettendo in serio pericolo la sua stessa stabilità.
Celleno Antica è destinata alla stessa sorte capitata ad altri borghi della Tuscia quali Civita di Bagnoregio, fortunatamente sottratta al disfacimento per merito di una grande opera di puntellamento.
Le origini di Celleno si perdono nella leggenda: Dioniso d’Alicarnasso, nei suoi scritti, sostiene che la città sarebbe stata fondata da Italo discendente di Enotro, in memoria della figlia Cilenia, molti anni prima dell’assedio di Troia;
Celeno, nella mitologia greca, era una delle tre arpie figlie di Taumante e Elettra.
Dati certi sulla presenza umana a Celleno sono forniti da alcuni ritrovamenti che testimoniano la presenza di un piccolo centro abitato sul colle a partire dal VII secolo a.C.
Nel periodo etrusco il borgo fungeva da importante via di comunicazione tra Volsini (Orvieto) e Ferento.
Come tutte le città etrusche fu sottomessa ai romani, dopo lunghe e sanguinose battaglie, nel 264 a.C.
La città fu risparmiata, che i romani la considerarono un importante punto strategico come base per le future conquiste.
I nuovi dominatori ampliarono la rete viaria intorno alla città che divenne ben presto un’importante direttrice per i traffici che provenivano dalla media valle del Tevere diretti verso Montefiascone e la stessa Roma.
Alla caduta dell’Impero Celleno fu teatro di innumerevoli scorrerie da parte dei Goti e soprattutto dei Longobardi che la saccheggiarono a più riprese.
Nel 774 d. C. Carlo Magno sconfisse i Longobardi e la riconsegnò alla giurisdizione della Chiesa.
La prima testimonianza scritta in cui è documentato il nome risale all’anno 838, quando il monastero benedettino di San Salvatore sul monte Amiata acquista alcuni beni, tra cui la località Vallemonda nei pressi di Celleno.
Sede di un castello eretto nel secolo XI, nel 1026 Corrado II Il Salico concesse questo territorio ai Conti di Bagnoregio, che ne fecero un avamposto strategico per il controllo della zona.
Nel 1148 il vescovo Rustico dona all’arciprete Rustico della chiesa di San Giovanni di Celleno la chiesa rurale di Sant’Oculo con tutta la sua tenuta.
Questi beni erano appartenuti alla chiesa di S. Sisto di Viterbo e quella donazione diede modo alla città di Viterbo di intromettersi nel governo di Celleno che sino ad allora era appartenuta al comune di Bagnoregio.
Celleno all’inizio del XII secolo risulta incluso nell’elenco dei luoghi alleati della Chiesa contro la minaccia imperiale, divenne libero comune nel 1172 e alcuni anni dopo risulta già sottomesso alla città di Viterbo che aveva facoltà di nominarvi il podestà.
Nel 1316 le truppe orvietane condotte da Poncello Orsini, assalirono e depredarono il borgo che, poco dopo, nel 1329 passò agli orvietani.
In seguito divenne feudo di varie famiglie viterbesi: gli Alessandri fino al 1351, i Di Vico, intorno al 1375 il castello passò, tramite una concessione della Santa Sede, nelle mani dei Gatti; solamente nel 1392 Celleno tornò a Viterbo, come garanzia degli impegni di fedeltà assunti da Orvieto nei confronti della Santa Sede.
La fine del dominio dei Gatti su Celleno è legata al contenzioso con Alessandro VI Borgia per il rifiuto di consegnare il castello al pontefice: il 27 maggio del 1496 Giovanni Gatti, ultimo discendente del ramo viterbese della famiglia, fu assassinato e il feudo tornò sotto il diretto dominio della Chiesa; esso fu poi concesso, nel 1518 agli Orsini di Bomarzo.
Nello Statuto di Celleno del 1572, si prescrivevano sanzioni per chi scavasse palombare, segno evidente che in tale epoca si intravedevano già sintomi di instabilità del masso tufaceo.
Nel 1580, sotto il pontificato di Gregorio XIII, Celleno tornò nuovamente sotto il controllo diretto della Camera Apostolica, il supremo organo amministrativo dello Stato Pontificio, che lo governò fino all’Unità d’Italia tramite un funzionario scelto nell’ambito dell’aristocrazia locale ed un Consiglio formato dai cittadini più importanti.
Ormai in ombra e non più grande centro di traffici come in età etrusca e romana, Celleno subì nel 1696 un devastante terremoto che la danneggiò notevolmente.
In seguito a tale evento si proibì lo scavo di cantine all’interno del castello e si ordinò la ricostruzione delle mura castellane e delle case danneggiate di contrada Piazzarella e Ripa.
Nel 1789 perse durante una cruenta battaglia contro gli invasori francesi più di cento uomini.
Durante il dominio francese il comune fu ascritto dapprima al dipartimento del Cimino, cantone di Montefiascone (1798-1799) e poi al dipartimento di Roma, circondario di Viterbo, cantone di Montefiascone (1810-1815).
Nel 1806, in seguito alla morte di quattordici persone, investite dal crollo di sette abitazioni del paese, era effettuata una nuova perizia che individuava i motivi della rovina dell’abitato nell’erezione di nuovi caseggiati sulle vecchie mura di cinta, nello scavo di grotte e cantine sotto le fondamenta delle abitazioni e nella mancanza di manutenzione degli edifici e dei versanti.
Con la Restaurazione Celleno fu incluso nella provincia del Patrimonio, delegazione di Viterbo, governo distrettuale di Viterbo (1816); ma dal 1818 risulta sede di vice governo dipendente dal governo di Bagnoregio, distretto di Orvieto con l’appodiato Castel Cellesi e successivamente podesteria (dopo il 1825).
Per gli anni 1827-1831 furono soggette a Celleno le comunità di Castel Cellesi e Roccalvecce con Sipicciano.
Tra il 1832 e il 1833 un’epidemia di febbre petecchiale provocò circa 40 morti e, un ventennio dopo, precisamente nel 1855, un’altra forte scossa di terremoto, seguita da altre 54, come si legge dagli archivi, diede il colpo di grazia alla popolazione costretta in larga parte ad abbandonare il paese per spostarsi a circa un chilometro e costruire, in località Le Poggette, la nuova Celleno.
Dopo l’annessione al Regno d’Italia, avvenuta nel 1870, il nuovo centro fu ascritto alla provincia di Roma fino al 1927 allorché passò alla neoistituita provincia di Viterbo; l’anno successivo vi furono aggregati i comuni di Roccalvecce e Sant’Angelo che nel 1946 passarono sotto l’amministrazione di Viterbo.
L’8 giugno 1931 un terremoto di intensità IV (MCS) che ha epicentro a Celleno accentuava il dissesto idrogeologico dell’abitato; nel 1934, la situazione del “Castello” si era fatta drammatica e pesante per la popolazione, tanto che alcuni senzatetto furono rifugiati nel Villino Baiocchini di proprietà di tale avv. Galli.
L’originario insediamento medievale fu definitivamente abbandonato a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, per motivi socio-economici e di instabilità dei pendii.
Il 18 marzo 1951 il Consiglio Comunale decretava il trasferimento della popolazione da Celleno vecchio al nuovo insediamento della borgata Luigi Razza.
Aspetto
Dalla Piazza sita sotto il castello si accede allo stesso salendo Via del Ponte, un viadotto in muratura ad arcata unica.
Alla fine si trova un bel portale, oltrepassato il quale si trova l’imponente Castello Orsini, sicuramente la costruzione più bella e suggestiva da visitare all’interno del borgo.
Circondato da un fossato, il castello è munito di un massiccio fortilizio e di una grande torre di guardia.
Il castello fu confiscato dal comune di Celleno.
Fu poi utilizzato come ufficio per l’amministrazione, come ambulatorio e come scuola, fino a quando non si costruirono gli edifici nel paese nuovo.
È stato restaurato a partire dal 1972 per opera del pittore Enrico Castellani.
Il nucleo centrale dell’abitato è costituito da caratteristiche case costruite in tufo rosso e senza intonaco.
Vi si trovano grandi cantine scavate nel tufo e un forno comunitario di dimensioni insolitamente grandi, forse già utilizzato come fornace per ceramiche.
Nei pressi del forno è stato rinvenuto un butto, cioè una discarica, ricavata da un vecchio pozzo da cui sono stati recuperati circa 8.000 frammenti di maiolica arcaica.
Chiesa di San Carlo
Sorge sulla destra della piazza, realizzata nell’anno giubilare 1625 per volontà della Congregazione omonima e grazie alle offerte dei fedeli cellenesi.
Tracce della sua costruzione si possono leggere oggi nell’iscrizione AÑO IUBILEI MDCXXV, posizionata sull’architrave della finestra che si affaccia sul castello.
La chiesa sorge sui resti di una più antica chiesa medievale ed è stata costruita a navata unica, con dimensioni molto ridotte.
La facciata è semplice e sormontata da un piccolo campanile a vela, mentre sopra al portale in basaltina si trova un sottile timpano spezzato che racchiude il simbolo del Calvario e che rasenta la base della piccola finestra quadrata dagli stipiti anch’essi in basaltina.
Nei cantonali la muratura è condotta con studiata alternanza di grossi blocchi di tufo accuratamente tagliati.
L’interno è a navata unica con parete di fondo rettilinea, tutto l’assetto della chiesa denuncia la sobrietà dei mezzi costruttivi.
Ospita esposizioni temporanee e una mostra permanente di grammofoni.
Chiesa di San Donato
A sinistra della piazza si innalza il bel campanile della Chiesa di San Donato, ex parrocchiale.
È a pianta quadrangolare con tre ordini costruiti con materiale tufaceo.
La chiesa risale all’anno mille, eretta probabilmente sul luogo di un preesistente edificio di culto dedicato a Sant’Angelo, è attualmente in stato di rudere, rimane, a testimonianza del suo nobile passato, sul fianco destro, un portale, oggi laterale, ma un tempo principale, in pietra basaltica databile al XII secolo, con un sesto intero a conci sagomati e lavorato con un profondo toro e ampi e ricchi stipiti a dentelli e punte di diamante.
Nel corso del XVIII secolo la chiesa ha subito una profonda trasformazione in quanto il suo asse originario è stato ruotato di novanta gradi e l’interno fu trasformato in tre navate di stile neoclassico.
Chiesa di San Rocco
La Chiesa, si trova al di fuori delle mura, nella piazzetta del borgo nato ai piedi del Castello di Celleno, fu edificata a protezione della popolazione cellenese dalle pestilenze, circa nella metà del XV secolo.
È affacciata sulla piazza omonima, ha il suo asse che si sviluppa da est ad ovest.
Addossata alle spalle al tessuto edilizio del borgo e affiancata a sud da ambienti di pertinenza, è invece costeggiata sul lato nord dalla via Roma.
La facciata a capanna è ornata da un imponente portale rinascimentale in peperino, sopra cui si apre una finestra quadrata, anch’essa in peperino.
A precedere l’entrata vi è una rampa di nove bassi gradini.
L’interno è ad aula unica con due altari laterali addossati, uno per lato, e un coro, di due gradini più alto, a pianta rettangolare; sul lato sinistro di questo si apre una porta per accedere alla sagrestia.
In controfacciata una cantoria lignea è sostenuta da due pilastri isolati, a sezione quadrata, posizionati ai lati del portale di accesso.
L’aula, completamente intonacata, è coperta da tetto a vista su tre capriate, sostenenti una doppia orditura lignea e pianelle in cotto.
L’ambiente è illuminato da una finestra quadrata in controfacciata, in corrispondenza della cantoria, e da due finestre ovali posizionate in alto, ai lati del presbiterio.
Lungo la parete sinistra dell’aula si succedono una nicchia arcuata contenente il fonte battesimale, una porta che immette in uno spazio di servizio che affianca la chiesa e dal quale si può salire alla cantoria, l’altare laterale consiste in una mensa sovrastata da una nicchia contenente una statua votiva, raffigurante San Giuseppe col Bambino.
Un grande arco a tutto sesto su pilastri introduce nel presbiterio, separato anteriormente da una balaustra; nei tre lati del vano sono presenti gli stalli in legno del coro, interrotti al centro, sulla parete di fondo, dal grande frontespizio dell’altare maggiore, ornato da colonne libere su piedistalli, con capitelli compositi, timpano spezzato ed edicola superiore.
Vi si trova un bel crocifisso ligneo, di m 1,70 di altezza, inserito all’interno di una complessa macchina di stile barocco.
La scultura, è attribuibile alla seconda metà del Seicento.
Sulla parete sinistra della zona presbiteriale fa mostra una tela raffigurante la Crocifissione, di fronte ve ne è un’altra con la Madonna col Bambino e Santi.
Nella parete destra è posta una statua di San Nicola di Bari, di seguito è il solo altare laterale, di fronte a quello sinistro, caratterizzato anch’esso da una mensa, al di sopra si apre una nicchia affrescata nella metà del XV secolo con una deliziosa Madonna col Bambino tra angeli, sotto sono raffigurati, molto deteriorati, due Santi.
Chiude la parete una elaborata macchina processionale col Cristo Morto.
Chiesa di Sant’Ocolo e Convento di San Giovanni Battista
Sempre al di fuori delle mura si trova la Chiesa di Sant’Oculo, come già detto se ne ha notizia fin dal 1148, nel 1299 il vescovo Stefano Tasca confermò la cessione dei diritti sulla chiesa a San Giovanni di Celleno e quindi al Capitolo della collegiata di San Sisto di Viterbo.
Il piccolo edificio romanico ha perso la sua facciata originaria agli inizi del XVII secolo, quando fu inglobato nell’adiacente complesso conventuale, rimane intatta la magnifica abside, munita di due monofore e di una successione di archetti pensili di stile lombardo, probabilmente del X-XI secolo. L’interno si presenta oggi completamente spoglio degli arredi e delle decorazioni originarie.
L’adiacente Convento di San Giovanni Battista, è un notevole complesso che introduce al borgo, in posizione dominante il versante sud della Valle del Tevere.
Lungo la strada si snoda la sequenza composta dal fianco sinistro della recinzione, intercalata dalle stazioni della Via Crucis prive delle formelle originali, e dalla facciata della chiesa principale, preceduta da una serie di quattro archi: sul retro si allunga il resto dell’edificio, fino al pendio ricoperto da un bosco di lecci secolari.
La fondazione del convento deve farsi risalire all’inizio del XVII secolo, quando il pontefice Paolo V, con lettera del 5 maggio 1608, concesse il permesso per la sua costruzione allo scopo di ospitare religiosi che adempissero alle esigenze spirituali del popolo cellenese: il luogo prescelto fu quello dove sorgeva l’antica, piccola chiesa di impianto romanico.
Una comunità di francescani arrivò ad abitare il luogo già dal 1610.
La struttura conobbe danni notevoli a seguito del disastroso terremoto che nel 1695 colpì la vicina cittadina di Bagnoregio.
Al XVI-XVII secolo risalgono gli affreschi distribuiti nei vari ambienti interni (un lacerto di mano più antica e pregevole è presente nel vano della cantina) e nel 1716 un frate della comunità affrescava le gallerie del chiostro con ritratti di santi francescani.
Il convento conobbe quindi una campagna di lavori ed ampliamenti tra il 1754 e il 1769.
All’interno del Convento San Giovanni Battista si conserva solamente una sola formella di quelle settecentesche, originariamente ubicata nella prima edicola su Via Roma, proveniente da un privato che l’ha consegnata nelle mani degli attuali proprietari della ex struttura conventuale: vi è rappresentata la stazione n. 1 dove “Gesù viene condannato a morte“.
La formella è attribuibile alla manifattura di Gregorio Caselli, massimo esponente della ceramica derutese del Settecento; presso di lui era attivo il pittore Giovanni Meazzi, raffinato autore di numerose opere, che presentano con la formella di Celleno significative analogie, quali il periodo di produzione, i caratteri stilistici e, non meno importante, dimensioni e forma degli stampi di argilla.
Nel 1875 il convento fu colpito dalle leggi di soppressione ma negli anni seguenti i frati riuscirono a ritornarne in possesso, risolvendo il canone di affitto con cui il demanio lo aveva ceduto al Comune di Celleno: ciò non servì tuttavia a salvarlo dall’abbandono e nel 1968 la Provincia Romana dei Frati Minori Conventuali lo cedette a un privato.
Risale a questo periodo di degrado, probabilmente, la perdita dei grandi dipinti che ornavano gli altari laterali della chiesa principale, oggi sconsacrata, che rimane arricchita solo da un notevole coro ligneo settecentesco e dai resti di un pregevole affresco raffigurante la Vergine.
In anni più recenti il convento è passato in proprietà al “Centro Comunitario” e direttamente gestito dai suoi componenti, ospita attività di formazione ed accoglienza.
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Fonti documentative
Giuseppe Romagnoli – Il butto di Celleno Vecchio: lo scavo, il recupero e lo studio dei materiali – in Le Maioliche medievali dal butto di Celleno Vecchio Riscoperta di una tradizione antica, Viterbo, 2019, pp. 13 – 24
https://www.lazionascosto.it/citta-fantasma-borghi-abbandonati-del-lazio/celleno-antica/
https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=5461
https://www.unviaggioinfiniteemozioni.it/celleno-borgo-viterbo/#storia
https://it.wikipedia.org/wiki/Celleno
http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&type=auto&code=22441&Chiesa_di_San_Rocco__Celleno