Castello-monastero di Salvino – Capodacqua di Foligno (PG)

I ruderi della Fortezza-monastero sono ancora ben visibili e facilmente raggiungibili e da li si può salire fino alla Croce di Pale in poco tempo.

 

Cenni storici

Secondo lo storiografo seicentesco Durante Dorio la rocca di Salvino sarebbe stata fatta edificare “di nuovo” da Ugolino Trinci (1387).
Lo stesso Ugolino infatti, appena assunta la Signoria provvide per prima cosa a rafforzare ancor di più le difese esterne e precisamente i castelli di Colfiorito, Annifo, Capodacqua, Verchiano, Roccafranca, Rasiglia, nonché le rocche di Calestro, Salvino, Arvello, Pasano, Afrile e Serra di Valtopina, impiantandovi castellani stipendiati e manipoli di soldati.
Il significato della presenza della fortezza si giustifica considerando che in poco più di 5 chilometri dopo Capodacqua si contano ben 4 castelli: Rocca di Capodacqua, rocca di Canestro o Galestro, Rocca di Salvino e Castello di Collelungo.
Questo si spiega con il fatto che proprio in questo tratto di territorio si snodava un’importante via di comunicazione che staccandosi dalla Flaminia al centesimo miglio (Pontecentesimo) proseguiva per Capodacqua e saliva verso i Piani Plestini e quindi verso le Marche e il mare.
A Capodacqua il diverticolo si divideva in due tronconi, uno passava nel fondovalle seguendo il corso del fosso Valdicorno saliva per Collelungo e svalicava sui Piani di Ricciano; l’altro risaliva per il corso del fiume Rioveggiano, passava per la Villa di Rio, svalicava nella sella di Seggio e finiva anch’esso nella Piana di Colfiorito.
La stessa viabilità che troviamo più o meno anche ai nostri giorni.
Il castello di Salvino oltre che controllare il primo percorso descritto dominando dalla sua posizione il fondovalle, era su un antico tracciato che staccandosi a Pale e Ponte Santa Lucia dalla direttrice, saliva per Sostino e nei presso della Piana della Croce di Pale scendeva nel versante di Capodacqua passando proprio davanti la rocca suddetta.
Di fatto l’edificio non nacque come fortezza per il controllo del territorio, ma inizialmente come eremo e conseguentemente fu interessato da quel movimento religioso riformatore che stava scuotendo il territorio diffuso dal monaco Mainardo, che qui fece la sua comparsa e solo successivamente divenne una “Fortezza-monastero“.
A Sansuvinum ( Sassovivo) infatti si era stabilito il monaco Mainardo il quale, sicuramente è da identificare con il Mainardo dell’Op. XIII di Pier Damiani, che proveniva dal monastero di Sitria presso il Catria, il monastero romualdino legato a s. Pier Damiani.
Mainardo (+ 1096), attestato dalle carte di Sassovivo nel 1077 come eremita, dal 1081 monacus et prepositus; quindi, dal 1083, abbas di Maria in Vecli, con la variante di S. Croce e S. Trinità e, dal 1089, abbas monasterii S. Crucis et S. Trinitatis in Sassovivo, titolo infine stabilizzatosi in S. Croce, nel giro di circa venti anni, attraverso la costruzione del monastero nel fortilizio di Sassovivo e una serie di acquisti, tra donazioni e permute di terreni e case, sparsi tra la montagna folignate e la valle spoletana, gettò le premesse per la nascita di una federazione di “chiese di Famiglia” e di “monasteri di Famiglia” travolti dalla decadenza economica e morale, per cui ebbe origine la congregazione di Sassovivo.
Il fenomeno dei monasteri di famiglia ebbe una larga diffusione, specie tra Tuscia, Umbria e Marche, dove un po’ ovunque si trovano storie di signori che, in alternativa alla scelta assoluta di povertà, con l’ingresso in un monastero o in eremo, fondano monasteri cui donano, pro rimedio animae, una parte consistente del patrimonio.
I locali conti fondarono, in zone di frontiera e lungo le strade di attraversamento della dorsale appenninica umbro-marchigiana, gli insediamenti eremitici di Salvinum ( a Capodacqua), Veccli, (presso Casale) e Sansuvinum (Santa Maria in Valle, presso la rocca dei conti di Uppello), S. Stefano di Gallano e S. Pietro di Landolina che ben presto divennero cenobi.
I primi tre stanno alla base di quella che divenne la congregazione monastica di S. Croce di Sassovivo e forse quello di Salvino, essendo già costituito come eremo, fu il primo interessato dalla riconversione in monastero legato alla famiglia dominante che lo sfruttò anche come fortezza vista la sua strategica posizione dominante la direttrice viaria; ecco quindi la duplice funzione di “Fortezza-monastero” che rivestì Salvino.
I documenti confermano tale passaggio di ruolo e l’avvento della radicale riforma monastica ed ecclesiastica avvenuta, nel caso specifico della montagna Folignate attraverso il monaco Mainardo, tra il X e l’XI secolo favorita dalla sensibilità religiosa degli Imperatori sassoni soprattutto di Ottone III.
Anche in Umbria si consolida la presenza monastica sia attraverso la ricostruzione di antichi cenobi decaduti, sia attraverso nuove fondazioni.
Salvino è tra le fondazioni di età ottoniana che lo Jacobilli ricorda insieme al monastero di San Salvatore di Foligno, successivamente concessi da papa Innocenzo II al vescovo folignate Benedetto nel 1138, che a dire dell’erudito seicentesco sarebbero stati fondati attorno al 970, tuttavia come vedremo più avanti, la documentazione sicura è più tarda, il monastero di Salvino è documentato dal 1083.
Negli stessi anni (1082) venne fondato anche il monastero di Sassovivo dallo stesso monaco Mainardo patrocinato dai Conti di Uppello
La memoria, se non il fortilizio stesso, era ancora viva nel secondo Cinquecento (1573), quando ci si poteva riferire ad esso con espressioni del tipo “in propinquo castro dicto de Salvino“.
Le rovine del luogo fortificato sono ancora visibili grazie ad un’opera di disboscamento avvenuta da poco.
Il toponimo Salvino è noto sin dal 1083 quando si ricordava un monastero intitolato a Santa Maria, Santa Trinità e Santa Croce di Salvino “heremo de Salvino quod hedificatum est in honore sancte Trinitatis et sancte Marie et alioruma sanctorum“.
In una pergamena del monastero di Sassovivo datata 1084 “ab incarnatione Domini anno octuagesimo quarto” viene attribuita l’appartenenza a tale monastero “Ipsum heremum defensabo cum rebus suis que in mea potestate est“.
In questa ultima pergamena si fa espresso riferimento anche alla presenza dello stesso Mainardo in questo luogo “Recordatio sacramenti que fecit Berardo comes a domno Mainardo et Ubertus monachus et successorum eorum de heremo de Salvino“.
La costituzione del monastero di Salvino non avrebbe inciso sulla continuità della realtà cenobitica anteriore, come dimostrerebbe la persistenza di un “monasterium de Salvini” ancora nella prima metà del Dodicesimo secolo (1138), entro i cento anni seguenti diventato “canonica Salvini” (1239), cioè una parrocchia retta da una comunità di preti secolari; da questa dipendeva la cappella de Barrasia (San Pietro di Barrasia di Sostino).
La canonica, per altro, dovrebbe essere identificata con “l’ecclesia Sancti Blasi de Salvino” che nel 1277 stava nelle dipendenze dell’abbazia di Sassovivo, ma, poco dopo, sarebbe tornata sotto la giurisdizione del vescovo folignate (insieme alla cappella di San Pietro de Barrasia), come risultava alla fine del Duecento (1295).
Nella seconda metà del Cinquecento (1573), sulla strada per Capodacqua era ricordato un edificio sacro sotto il titolo di San Biagio “in propinquo castro dicto de Salvino“.
All’inizio del Seicento (1601-1607), Salvino veniva segnalato nella carta del Magini concernente l’Umbria, ovvero Ducato di Spoleto, il che potrebbe indicare la persistenza di una certa vitalità.
 

San Biagio

San Biagio è titolare anche della chiesa di Pale, paese che era collegato al castello di Salvino ed a Capodacqua mediante un antico sentiero che transitava per Sostino e di cui abbiamo accennato precedentemente.
Secondo la tradizione agiografica, Biagio sarebbe arrivato in Italia insieme a Demetrio e Salome, la pia donna mirrofora (portatrice di balsami e unguenti al sepolcro di Gesù), moglie di Zebedeo e madre di Giacomo e Giovanni l’Evangelista.
Una volta giunto a Veroli (Frosinone), Biagio vi avrebbe subìto il martirio insieme a Demetrio.
Dopo l’inventio dei suoi resti (1196) e di quelli di Salome (1209), rinvenimenti avvenuti a Veroli in entrambi i casi, il culto di Biagio arrivò a Foligno insieme a quello di Salome la quale, qui identificata con Maria moglie di Cleofa (fratello di Giuseppe padre putativo di Gesù) e madre di Giuseppe e Giacomo (detto il Minore), è nota “ab immemorabili” come Santa Maria Giacobbe (Jacobi, di Giacomo), ancora oggi venerata nell’eremo posto lungo la parete rocciosa del monte di Pale oltre che nel paese di Arvello.
 

Fonti documentative

F. Bettoni M. R. Picuti – La montagna di Foligno; itinerari tra Flaminia e Lauretana – 2007
S. Capodimonti – Qua e là per il Folignate; alla riscoperta di bellezze dimenticate o…quasi – 2010
M. Tabarrini – L’Umbria si racconta – 1982
M. Sensi – Movimenti riformatori nell’Italia Centrale
Andrea Czortek – Una presenza che fa la storia, la chiesa in Umbria dalle origini alla metà del XX secolo – 2012
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio Marco Alessandri proprietario della struttura per aver fornito le due foto del Catasto Gregoriano e della pergamena di Sassovivo, ma soprattutto per il suo entusiasmo e per l’attiva collaborazione.
 

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