Castello di Usigni – Poggiodomo (PG)
Cenni Storici
Sorge lungo la strada che porta da Poggiodomo a Monteleone di Spoleto, adagiato sopra un’aspra collina, uno sperone di roccia che affaccia sulla sottostante valle del torrente Tissino, le cui sorgenti si trovano a poche centinaia di metri.
È una frazione del comune di Poggiodomo posta a 1.001 m s.l.m., celebre soprattutto per avere dato i natali al cardinale Fausto Poli (1581-1652), molto influente alla corte di Urbano VIII.
Il nome deriva dal termine “usina“, utilizzato per denotare un generico opificio.
Il territorio di Poggiodomo e le località circostanti sono caratterizzati dalla presenza di castellieri di epoca protostorica, i cui abitanti caddero poi sotto l’influenza romana già a partire dal IV secolo a.C.: in località Forchetta di Usigni sono stati ritrovati reperti storici risalenti a quest’epoca.
La fondazione del castello risale probabilmente all’epoca longobarda, ma la prima notizia storica che ci è stata tramandata di questo luogo risale all’anno 1121 dove è citato per la prima volta il monastero di San Salvatore, abitato da monaci che professavano la regola benedettina e posto sotto la giurisdizione dell’abbazia di Sassovivo di Foligno.
Il toponimo appare per la prima volta in un documento del 1233, quando, in seguito ad una ricognizione dei territori ordinata dal vescovo Milone a cui era stato assegnato il Ducato di Spoleto, Usigni, assieme a Poggiodomo, risulta parte di tali possedimenti.
Non compare invece nelle ricognizioni del decennio successivo.
Il primo fatto d’armi è ricordato nel 1268, quando approfittando della sede pontificia vacante e degli sconvolgimenti provocati dalle truppe di Manfredi in Valnerina, l’esercito di Cascia occupò i castelli di Monteleone e Vetranola sui quali Spoleto vantava dei diritti: questi furono ben presto ripresi dagli spoletini che a loro volta devastarono l’intero territorio casciano, danneggiando pesantemente anche Usigni.
La situazione di conflitto era all’epoca alimentata anche dalle lotte interne allo stesso Comune di Cascia, provocate dalle fazioni degli “intrinseci“, cioè abitanti del capoluogo che facevano capo agli aristocratici di parte guelfa, e degli “estrinseci“, abitanti del contado capeggiati dagli aristocratici di parte ghibellina.
Le contese sfociavano in fatti d’armi che provocavano gravissimi disagi sia alla città che a tutte le frazioni del suo vastissimo territorio, dove si contavano venti castelli.
I più colpiti, infatti, erano soprattutto i luoghi maggiormente fortificati, come lo stesso Usigni, che divenivano rifugio dei fuoriusciti o ribelli di ambo le fazioni.
Un documento del 23 ottobre 1276, ci fa sapere che il Castello, distrutto in seguito ai ricordati scontri tra Cascia e Spoleto, fu donato a Spoleto da parte di donna Mimalnaldesca di Oderisio, moglie di Nicola Barattali, appartenente ad una nobile famiglia di Poggiodomo ed Usigni, che a quel tempo lo possedeva.
La cessione fu fatta con il patto che nessuno, tranne il Comune di Spoleto, potesse ricostruirlo.
Anche in seguito il castello è stato a lungo oggetto di contese tra Spoleto e Cascia.
Nel secolo seguente Usigni scomparve dagli elenchi dei possedimenti di Spoleto a favore di Cascia, che riuscì ad estendere la sua influenza a discapito del Ducato e di Norcia; nel corso di queste dispute, Usigni subì devastazioni e distruzioni tanto da divenire, nella seconda metà del XIV secolo, rifugio di banditi ghibellini che poi, dietro continue pressioni, dichiararono obbedienza a Cascia.
Dal 1527, in seguito alle scorribande delle truppe di Sciarra Colonna in Valnerina, il Castello tornò spontaneamente sotto l’influenza di Spoleto, in cerca di una protezione più forte e sicura.
Le rivendicazioni di Cascia alla Camera apostolica non tardarono e, dopo qualche anno, ne ottenne la restituzione.
In questi anni Usigni, pur riconoscendo l’autorità di Spoleto, aspirava ad una maggiore autonomia, tanto che emanò in forma ufficiale un proprio statuto; approvato nella chiesa di San Salvatore nel 1529 e riconosciuto da Spoleto, confermava consuetudini già adottate e consolidate in precedenza.
Il Castello era amministrato da un vicario e da tre massari (o consiglieri); questi erano eletti in ottobre nel corso del pubblico consiglio e restavano in carica per un anno a partire dalle calende di novembre.
Durante il pubblico consiglio, costituito dalla magistratura e dai capifamiglia, il vicario in carica inseriva in un’urna tanti grani (fabas) quanti erano gli uomini intervenuti; tra i grani di colore bianco, tre erano di colore nero.
Dopo aver effettuato questa operazione, il balivo chiamava ad uno ad uno tutti i presenti per l’estrazione dei grani: spettava a chi possedeva i tre grani neri la nomina dei nuovi massari, del camerario e del balivo.
Il nuovo vicario era nominato dai tre massari ed insieme avevano la facoltà di riunire il consiglio e formulare qualsiasi proposta utile per il bene comune.
L’arenga veniva adunata presso la Chiesa ed interveniva un uomo per ogni focolare oppure, qualora non ve ne fossero, un componente maggiore di quindici anni.
Le votazioni erano stabilite a maggioranza ed erano previste multe per la mancata presenza.
Il vicario amministrava anche la giustizia e poteva discutere di cause civili e penali, non eccedenti cento soldi le prime e venti libre di denaro le seconde; negli altri casi, interveniva il podestà.
Al termine del mandato l’attività degli amministratori, che non potevano essere eletti per i seguenti tre anni, era verificata da due sindaci-revisori denominati “arrationatores“, appositamente nominati.
Il camerario, eletto contestualmente agli amministratori ed anch’esso in carica per un anno, doveva tenere i conti di tutte le somme in un libro, sia per quelle ricevute che per quelle uscite dalla cassa, e registrare la motivazione dei movimenti di denaro, nonché prendere nota di tutte le imposizioni dovute ed applicate dalla comunità; le collette erano imposte per libra e focolare e per bestia, da versare nei termini indicati nei bandi.
Chiunque possedesse animali, era obbligato a farne denuncia.
Era di sua competenza anche l’inventario di tutte le scritture conservate; non gli era concesso assentarsi senza un permesso degli amministratori, ma in tal caso il notaio comunale faceva le sue veci.
L’operato del camerario, al termine dell’anno di attività, era verificato da un sindaco eletto a questo scopo.
Il verbale delle risultanze emerse in seguito allo svolgimento dell’ufficio veniva trascritto nei libri contabili alla fine delle annotazioni relative all’anno finanziario in oggetto.
Il notaio della comunità era scelto tra esperti di giurisprudenza dal vicario e dai consiglieri: esso doveva redigere ogni atto che veniva emanato dagli amministratori.
Il balivo era tenuto a notificare i bandi e le citazioni prodotte dagli amministratori, dal podestà, dal notaio e dagli “arrationatores” ed a svolgere alcune formalità simili nel corso delle adunanze.
La comunità stipendiava anche due “viarii“, ossia definitori dei confini del Castello e controllori dello stato del cassero, strade e piazze del territorio; la loro parola e testimonianza aveva piena fede e credito in caso di controversie e danni rilevati nel corso delle loro funzioni.
Nello statuto si trovano norme atte a regolare il commercio sia per quanto concerne i prezzi che dovevano essere uniformi, sia per quanto riguarda le misure utilizzate per la vendita di vino e cereali, simili a quelle adottate dal comune di Spoleto e recanti il sigillo del Castello.
Per il vino venduto al minuto si usavano come unità di misura il “petitum“, il “medium” e la “foglietta“, mentre per i cereali la “coppa“.
Anche la nomina del santese era prevista dalle norme statutarie; questi, una sorta di attuale sacrestano, doveva avere cura del mobilio e della manutenzione e conservazione delle chiese di San Salvatore e San Giorgio.
Il podestà, di cui lo statuto non fornisce indicazioni circa la modalità di nomina, aveva la facoltà di giudicare le cause civili e penali che non erano di competenza del vicario.
Lo statuto prevedeva disposizioni per la salvaguardia di raccolti e possedimenti, che era affidata al controllo di sei custodi con il compito di controllare il territorio e segnalare eventuali reati e testimoniare in merito.
Nel mese di maggio, per il periodo della raccolta delle biade, erano affiancati da un vallario con lo specifico compito di rilevare eventuali danni arrecati ai raccolti di cereali.
Tra le varie disposizioni codificate c’era anche il divieto di svolgere, del tutto o in parte, attività lavorative nei giorni in cui ricorrevano festività religiose, pena sanzioni pecuniarie.
Lo statuto fornisce un lungo elenco dei giorni in cui gli abitanti erano tenuti al riposo.
Nel 1536, con la definitiva pacificazione delle fazioni nel Comune di Cascia imposta dallo Stato Pontificio, che obbligò anche un riordino politico del territorio casciano, Usigni tornò definitivamente sotto la giurisdizione di Cascia.
Per timore di una nuova invasione da parte delle milizie di Spoleto, il Comune di Cascia decretò di fare edificare nella rocca di Usigni un nuovo e più munito torrione (1553) fornendo anche un consistente quantitativo di “munizioni da guerra, polveri da sparo, palle ed archibugi“.
Al castello di Usigni venne destinato, come comandante, il conte Cherubino Frenfanelli di Cascia.
Il Castello, sia per la situazione politica instabile che per la minaccia delle bande di briganti, fu ulteriormente rinforzato e restaurato nel corso del XVI secolo con il sostegno di Cascia, come ricorda una lapide posta sopra la porta di accesso datata 1580.
L’originario castello è stato poi ristrutturato e rifatto nel XVII secolo, per volontà del Cardinale Fausto Poli, che qui nacque nel 1581, anche per riparare i gravi danni a causa del terremoto del 5 novembre 1599 che devastò l’intera Valnerina.
Fu profondamente modificato il tessuto urbano medievale, le costruzioni si addensano nella parte centrale del paese con edifici a due o tre piani, perlopiù di origine seicentesca, culminanti nella chiesa di San Salvatore, scomparvero le antiche mura.
Nei secoli XVII-XVIII la situazione politica e amministrativa non subì sensibili variazioni.
L’economia del Castello era fondata soprattutto sui proventi che derivavano dalla riscossione dell’affitto dei “beni della montagna“.
Il terribile terremoto del 14 gennaio 1703, che causò lutti e distruzioni in tutto il centro Italia, danneggiò solo lievemente Usigni: qui il visitatore apostolico monsignor Pietro de Carolis, nel suo censimento del territorio del Comune di Cascia effettuato dopo il terremoto, trovò solo “ottantadue anime“.
In una successiva rilevazione del 1759 ad Usigni si contarono invece “trentanove fuochi e sessantadue sorgenti“.
Nel 1809, con l’occupazione dello Stato Pontificio da parte di Napoleone Bonaparte, Usigni (con Mucciafora, Poggiodomo e Roccatamburo) fu separato dal Comune di Cascia.
Il territorio fu riconosciuto amministrativamente autonomo e Poggiodomo fu istituito Comune all’interno del dipartimento del Trasimeno.
Nel 1816, con la restaurazione pontificia, Papa Pio VII confermò con motu proprio tale distacco territoriale obbligando i quattro paesi a formare una propria comunità indipendente e l’antico Castello di Usigni, che da secoli era compreso nel territorio della Comunità di Cascia, fu aggregato definitivamente agli altri paesi dell’attuale territorio di Poggiodomo per formare una comunità, divenendone frazione.
I massari, che fino a quel momento avevano amministrato in maniera autonoma il castello, si trovarono a gestire i beni di uso civico attraverso il Consorzio dei possidenti.
Nello “stato di anime” effettuato nel 1828 in Usigni furono registrati 152 abitanti, nel 1853 ne conta 178.
Il nuovo Comune fu confermato con l’Unità d’Italia (anche se nel 1869 la comunità di Usigni richiese, senza successo, di essere aggregata al Comune di Monteleone di Spoleto).
Secondo i dati del censimento Istat del 2001, il paese era popolato da 13 abitanti, ora non c’è più nessuno.
Il monumento più importante di Usigni è l’imponente chiesa di San Salvatore.
Nei pressi della chiesa è da notare un pozzo di ottima fattura in cui spicca lo stemma del Cardinale situato proprio alla base del palazzo della famiglia Poli.
La Cisterna del Cardinale Poli
La Cisterna, imponente e limpida nella sua architettura, è costruita in modo che la camera idraulica sia ospitata in uno spazio che si affaccia sulla vallata sottostante.
Il bel parapetto, di forma quadrangolare, nel lato anteriore porta scolpito lo stemma cardinalizio ed è sormontato da una mostra squadrata sorretta da due pilastrini.
Lo stemma ha tre monti, due querce e il capo con le insegne di Urbano VIII (tre api entro una ghirlanda).
La Cisterna, in quel tempo importante opera di urbanizzazione, fu realizzata da Maestri Lombardi o Comacini, muratori scalpellini che si occuparono anche del rinnovamento architettonico del paese.
Il pozzo lapideo è composto di due parti architettoniche ben distinte, la base ed il sistema architravato.
Il basamento, avente forma quadrata e costituito da cornici modanate nella parte superiore, è impreziosito, come detto, da due stemmi scolpiti raffiguranti le insegne (Attinte e concesse dai Barberini) del casato del Poli, committente dell’opera; il secondo elemento architettonico rappresenta un portale lapideo, anch’esso scolpito e modanato, e serviva per il prelevamento delle acque stivate, tramite un perno metallico al quale veniva collegata la carrucola col secchio.
Nel 2012 l’opera, che si presentava in forte stato di degrado a causa del massiccio attacco di agenti naturali infestanti e di inquinanti atmosferici, e con l’assetto strutturale gravemente compromesso a causa della traslazione di una colonna e di tutta la base, è stata restaurata dal Comune di Poggiodomo con finanziamento del Consorzio B.I.M.
Il Cardinale Fausto Poli
Il Cardinale Fausto Poli nacque ad Usigni il 17 febbraio 1581.
Fin dalla sua nomina a sacerdote, il Poli ebbe una brillante carriera che lo portò ad entrare nella segreteria del vescovo di Spoleto, il cardinale Maffeo Vincenzo Barberini, restando poi sempre al fianco del porporato che nel 1623 venne eletto papa col nome di Urbano VIII.
Egli fu equiparato ai membri di casa Barberini ricoprendo diversi ed importanti incarichi: tra questi, anche quello di canonico e vicario della basilica di San Pietro e di nunzio straordinario presso la futura regina d’Ungheria, Maria Anna infanta di Spagna.
A coronamento della sua brillante carriera papa Urbano VIII, il 13 luglio 1643, nel suo ultimo concistoro, lo nominò cardinale dell’Ordine dei preti del titolo di S. Crisogono e vescovo di Orvieto, dove morì nel 1653.
La salma successivamente fu traslata a Roma, in Trastevere, nella chiesa di S. Crisogono, oggi intitolata al SS. Sacramento, dove fu sepolto nella sua cappella insieme al nipote Gaudenzio Poli, vescovo di Amelia.
Il cardinale Fausto Poli beneficiò moltissimo il suo paese natale, in particolare sotto l’aspetto artistico, facendo edificare ad Usigni due veri e propri gioielli del barocco italiano quali la Cisterna e la nuova Chiesa di San Salvatore, ed anche sotto l’aspetto economico e commerciale, facendo tra l’altro spostare da Cascia ad Usigni la grandiosa fiera annuale del bestiame che richiamava un grande numero di allevatori e contadini della zona e movimentava un ingente giro d’affari.
Ancora oggi ad Usigni si ha vivissima memoria del cardinal Poli, cui è dedicata la piazza principale.
Fonti documentative
“Il Castello di Usigni – Paese natale del Cardinale Fausto Poli” a cura del Servizio Turistico della Valnerina Cascia
EGILDO SPADA Poggiodomo e il suo territorio Alfagrafica Città di Castello, 1998
NESSI-CECCARONI, Da Spoleto a Monteleone attraverso il Monte Coscerno, Itinerari Spoletini 1, Spoleto, 1972
GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria – Manuali per il territorio – La Valnerina, Il Nursino, Il Casciano – Edindustria Roma, 1977
FABBI A. Guida della Valnerina: storia e arte. Abeto (PG), presso l’autore, 1977
FABBI A. Storia dei comuni della Valnerina, Abeto (PG), presso l’autore, 1976
FAUSTI L., I Castelli e le ville dell’antico contado e distretto della città di Spoleto, Editoriale Umbra, Perugia, 1990
FAUSTI L., Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
SPERANDIO B. (2001). Chiese romaniche in Umbria. Perugia: Quattroemme
Informazioni tratte dal sito web dell’Associazione dei Comuni della Valnerina http://www.lavalnerina.it
Sito del comune di Poggiodomo http://www.comune.poggiodomo.pg.it
Informazioni tratte dal sito web http://www.poggiodomoturismo.it/itinerari.php
http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=49038
http://www.usigni.it/
Gian Biagio Furiozzi – La Provincia dell’Umbria dal 1861 AL 1870
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