Castello di Trivio – Monteleone di Spoleto (PG)
Tra questi però merita di ricordare due sconosciuti pastori che hanno composto un poema epico sulla battaglia avvenuta tra Norcia e Visso sfociata nella Battaglia del Pina Perduto che Don Pietro Pirri nel 1914 ebbe la lungimiranza di raccogliere e conservare quegli appunti volanti e pubblicarli affinché non fossero perduti per sempre; un capolavoro poetico composto da due persone che nel nostro pensare vivano ai margini del progresso e quindi nell’ignoranza.
Cenni Storici
Posto in un luogo panoramico e soleggiato Trivio,dall’alto dei 926 metri sul livello del mare, domina la sottostante vallata attraversata dal fiume Corno, il Piano di Ruscio.
Centro di un antico vicus, un piccolo villaggio agricolo romano, è un territorio intensamente occupato da insediamenti umani sin dall’età del Bronzo.
In questa zona, risalendo l’altopiano attraversato dal fiume Corno s’intersecavano diversi tracciati viari già in uso in epoca protostorica, romana e ancora nel Medioevo, fra cui era un diverticolo che, partendo dall’attuale Leonessa, in direzione di Ocosce, intersecava al Trivio l’altro tracciato, non meno importante, proveniente dalla Flaminia, e diretto a Norcia.
Sopra il moderno abitato, in corrispondenza della cima del monte, in località Selva Grossa, a 1035 metri sul livello del mare è stato rinvenuto un castelliere, grande recinto di controllo posto ad alta quota risalente all’epoca pre-romana.
Una piccola necropoli di età imperiale (I-II sec. d.C.) è emersa e parzialmente indagata nel 2009, in località Pié d’Immagine, lungo il tracciato antico della strada che collegava Ruscio a Trivio, restituendo tre sepolture con relativo corredo.
Una recente tradizione, raccolta da storici locali ma non suffragata, per ora, da alcuna prova documentaria, riconosce, nel luogo della Chiesa dedicata a Sant’Erasmo, il sito ove sorgeva un’area cultuale in onore della dea Cupra-Cybele.
La supposizione si basa sulla somiglianza e affinità fonetica dei vicini toponimi di Colle Cupora e vocabolo Cuporo con il teònimo della dea Cupra, nonché per la presenza di grossi elementi litici, identificati come resti di elementi templari.
È certo, invece, che la stessa area era già occupata in antico da un insediamento di cui restano alcuni blocchi in pietra, fra cui uno di chiara funzione funeraria, così come una statua romana togata, purtroppo acefala, oggi conservata nel chiostro superiore del complesso monastico di San Francesco a Monteleone di Spoleto.
Durante il periodo Longobardo presso la colonia agricola romana di Trebia sorse poi una Curtis rurale, in basso, nella valle del Corno, fu fondata una cella monastica benedettina, che fu all’origine della Pieve romanica di Santa Maria de Equo o del Piano.
Da un insediamento rustico si è poi passati ad una vera e propria fortificazione di epoca feudale, la rocca del Monte Palvario più volte segnalata e citata in antichi documenti nel territorio dei Tiberti, di cui non rimane però più traccia.
Dal Medio Evo in poi Trivio segue le sorti del castello di Brufa, poi Monteleone di Spoleto.
L’abitato si presenta oggi privo di elementi di particolare interesse, con l’antico edificato quasi interamente sostituito da nuove costruzioni, merita una visita la Chiesa di Sant’Erasmo, per il resto il soggiorno qui è piacevole per rilassante paesaggio, il bel fresco estivo, e, soprattutto, il buon cibo.
Nonostante l’elevata altitudine è un territorio fertile per l’agricoltura, principalmente farro e legumi, con particolare produzione specializzata in prodotti caseari di alta qualità.
Il suo territorio comprende anche i micro toponimi di Piè d’Immagine, Casale Cupora, S. Erasmo, Case Trivigaglia, Mulino le Mole, Bandita del Trivio, Selva Grossa, Vallefrancola, le Vene, Costa d’Aprile, Paglia, Valle Fredda, Monte Cicuglio, Monte Palvario, Verogna, Casale Pizziglio e Casale dei Medici.
Trivio ha dato i natali al “Poeta Pastore” Luigi Salvatori.
“Trivio è fatto a ferro di cavallo e c’è tanta gioventù di sangue bello“, così recita un suo verso, in effetti in controtendenza con tanti altri luoghi della Montagna Spoletina, ha un’alta presenza di bambini in proporzione alle persone residenti.
In epoca fascista, per contestare la cattiva politica adottata per la montagna, Salvatori, analfabeta ma poeta in ottava rima, da esperto conoscitore dell’economia montana, inviò a Mussolini questa poesia in difesa della capra, ove argutamente presagiva, in grande anticipo sui tempi, le problematiche derivanti dallo spopolamento montano:
Poesia
L’Italia è andata in Africa Orientale per poter conquistar quanto più puole:
se gli viene in possesso un animale
siamo contenti a dirlo in due parole.
Però qua dentro a l’Italo Stivale si fa uccidere il nostro e a noi ci duole,
poiché a uccider la Capra é un atto vile:
l’animale fruttifero e gentile.
I tempi andati io ricordar vorrei quando di capre ce n’erano assai;
questo l’ho visto io cò l’occhi miei, davano il latte a Roma li caprai e per
quanto riscontrar potei tubercolosi non ve n’era mai,
perché le capre, cari cittadini,
mangiano stracciabrache, ruchi e spini!
Non dico ai tempi ritornar sovente quando di capre ce n’erano tante,
quando ogni proprietario certamente ne possedeva un numero ben grande;
per disfarle tutte interamente
mi sembra un atto troppo stravagante e non farne tener due o tre a famiglia
mi sembra imposizione da canaglia.
Se guardate dò fecero le “Zone” per tené strette le capre montane
sequestrando l’accetta a l’occasione, dò stavano le capre a pascolare
un albero divenne ogni macchione
come ancor oggi si potria osservare. E se andassero larghe, certamente, ben
si capisce: non farìano niente!
Iddio nell’ordinare alla natura seminar d’animali tutta la terra ordine
diede per la capra pura
poiché prima di questo essa non c’era! Or chi vorrà disfar questa fattura e
levarla dal mondo tutta intera
credo per certo che fa un grande errore
e va contro natura e il suo Fattore.
Or io vorrei pregare l’Italiani:
cari fratelli,miei concittadini,
non esser con le capre tanto strani,
che maggior parte mangiano li spini; ogni triste pensiero s’allontani
pria che la Patria nostra si rovini
che chi siano le capre lor non sanno né che dan frutto nove mesi all’anno.
E voi, cari fratelli, capirete, de questi monti cosa ve ne fate? Credo
che molto poco prenderete se coi pascoli voi non li sfruttate.
Quanto carbone, infine, ci farete?
Le macchie ogni vent’anni van tagliate. E per far qualche balla di carbone deve
perde miliardi la Nazione?
E senza che le capre più abbassate, lo stesso lo carbone lo farete!
Fatele guardà bene le tagliate, che in tutto questo qua ragione avete!
Dove le macchie sò ripristinate a pascolo le capre manderete,
e non crediate, poi, ch’io vi canzoni:
pigliate cò ‘na fava due piccioni!
Nessun pastore si può far più vanto d’avé la capra e vivere contento e
ripeter dovrà di tanto in tanto:
“non posso più tenerla? Me la vendo!”
Io senza denti e da malanni affranto contro mia volontà taccio e
acconsento: non avendo più latte, oh cosa amara!
devo il pane ‘nzuppà nell’acqua chiara!
Ci siamo tante gente situate fra questi monti, dò non c’è la vite,
non c’è l’ulivo e voglio che sappiate che le nostre sostanze sò finite se le
bestie da frutto ce levate: pé la miseria attaccheremo lite, o pé poté sfuggì
questa fattura
caleremo a abitàne la pianura.
Finora avemo avuta ‘na gran tigna a volé rimané qui alla montagna senza
badar che non c’è la vigna
ma con diverse bestie da campagna.
Se chi péfà carbone ora designa de distrugge ‘l bestiame e lo scompagna
ce farà calà giù pé lo risveglio:
se non se ne può più, si cerca meglio!
Cià Montilione Pisura e Porvaro, monti che son vicini all’abituro,
tutti rocciosi e brulli: il fatto è chiaro che il carbone viè tardi, ve lo giuro.
Sarebbe meglio mettere un capraro che produrrebbe un frutto più sicuro,
senza guardare a quelle due fonnette
dove la bestia fiacca se rimette.
Su le Coste, a Femaso e all’Aprilone se una persona ce ripensa bene cosa se
pòsperàcò lo carbone
s’è tutto scoglio e la macchia non vene? E Ripa e Pago, dietro a Montilione, a
tenelli a quel modo non conviene!
Tutti fossacci so, tutti canali, postacci proprio pé questi animali.
Vi son tante famiglie, poverette, vecchi, malati, che non hanno latte!
Fategliele tené quattro caprette,
che a tal bisogno sono proprio adatte.
A Ripa, a Pago, là pé le Scogliette, le carbonare mai sò state fatte!
Mannate capre, come è vecchia usanza!
Non levate al paese l’abbonnanza!
Dissi, col tanto chiacchierà ch’io feci: non sò le capre le più distruggitrici,
ma che l’accetta i boschi manna preci! Onde per questo io conoscer feci a
quelli che si trovan negli Uffici
che mo spiace vedere apertamente
rinvestire di colpa un innocente!
Spero esser da tutti perdonato, di tanti errori miei scusa vi chiedo.
Se volete sapé dove sò nato in frazione di Trivio, come credo… povero
paesello abbandonato sotto Montelione di Spoleto.
Pé le capre ha impetrato li favori il Poeta…..Luigi SALVATORI.
Mussolini rispose al poeta che la poesia era molto bella, ma le capre dovevano essere eliminate…..
Fonti documentative
GENTILI L., GIACCHÉ L, RAGNI B. E TOSCANO B, L’Umbria, Manuali per il Territorio. Valnerina, Roma, Edindustria, 1978
http://www.trivio.it/
AUGUSTO LUCIDI Omaggio al poeta Luigi Salvatori
Don Pietro Pirri – La Battaglia del Pian Perduto – 1914
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Da vedere nella zona
Chiesa di Sant’Erasmo
Chiesa di Santa Maria de Equo