Castello di San Vito – Narni (TR)
Cenni Storici
Sorge a 267 m s.l.m., a circa un chilometro da Guadamello, anch’esso in posizione dominante sulla sottostante piana del Tevere, gli abitanti sono circa 200.
La collina sulla quale è arroccato il borgo è costituita da un enorme cumulo di ciottoli alluvionali detto “puddinga”.
Anche per San Vito, come per Guadamello, l’origine del castello si perde nella notte dei tempi; vari rinvenimenti archeologici testimoniano, che la zona era intensamente abitata da popolazioni italiche nel X e IX secolo a.C.,ciò grazie alla fertilità dei terreni, la vicinanza del Tevere e la ricchezza di sorgenti d’acqua.
La Torre quadrata svetta al centro del castello in posizione dominante e da sempre funge da “sentinella” per il controllo del territorio circostante, risale all’epoca romana.
Intorno alla prima metà del I secolo d.C. sotto l’Imperatore Marco Aurelio, (come si legge in una nota dello storiografo latino Svetonio, a proposito di altre torri simili) Roma si serviva di una serie di torri di “vedetta“, fatte erigere su spalti fortificati, al sommo di colline, lungo il dorsale subappenninico e la valle del Tevere, che erano usate, con un ingegnoso sistema di trasmissione, che dall’alto riflettevano con il gioco degli specchi le comunicazioni da Roma al nord dell’impero e viceversa.
Quella di San Vito potrebbe sicuramente essere una delle trentadue torri citate da Svetonio, seppur ritoccata nei secoli, adibita a tale scopo.
Più tardi nel 799 d.C. , anche papa Leone III si servì di questo sistema per inviare ad Aquisgrana, a Carlo Magno, l’angoscioso appello di aiuto contro una congiura di prelati, ordita in Roma.
La torre fu testimone, nel Medioevo, delle scorrerie dei pirati saraceni, che risalivano il Tevere con le loro agili barche per razziare il territorio e di quelle di vari capitani di ventura, tra i quali Di Vico e Braccio da Montone.
Probabilmente il primo nucleo umano stabile fu quello costituitosi attorno all’antica torre militare romana, formato dalla popolazione di Ocricolum in fuga, dopo il saccheggio della città ad opera dei Goti e dei Longobardi, nel Ve VI secolo.
Sembra che la “diaspora” degli Ocricolani si concluse sui colli limitrofi verso Calvi e verso San Vito.
Nell’XI secolo, San Vito risulta essere una “curtis” circondata da una serie di fondi rurali chiusi da recinzioni.
In un documento del Regesto Farfense del 1036, un tal Pietro, Abate di San Angelo in Massa e suo nipote Adriano, cedono all’abbazia dei terreni di loro proprietà, tra i quali: “La curti Sancti Viti de Colle de Maclae“.
Nel 1227 San Vito e Striano erano gli unici castelli che dovevano fare solo atto di onore e reverenza per la festa di San Giovenale a Narni, gli altri offrivano alcune libbre di cera.
Nel 1279, Pietro di Ottaviano Scotti acquistò il castello dalla famiglia degli Annibaldi.
Nel 1350, come tutti i feudi del territorio, doveva denunciare al vicario di Narni tutti i delitti commessi.
Nell’anno 1454, agli Scotti fu data l’investitura del titolo comitale sul castello di San Vito.
Nel 1591-1592, soffrì la carestia e la terribile pestilenza, che spopolarono anche altri contadi tra i quali Bufone, Marinata e Striano.
In un tomo del ‘600, conservato all’Archivio segreto Vaticano, è presente una causa “per questioni di confini” tra i Montini di Guadamello e gli Scotti di San Vito, durata 39 anni tra il 1651 e il 1690.
Sappiamo che in questo periodo il castello e tutte le terre circostanti erano divise tra tre proprietari: un terzo agli Scotti, un terzo all’abbazia dei Santi Andrea e Gregorio al Celio e un terzo all’abbazia di San Vittore in Otricoli, nella persona di cardinali commendatari.
Erano, però, solo gli Scotti che ufficialmente gestivano il potere, come veri e propri feudatari.
Nel 1703, muore Marta Scotti, senza lasciare eredi diretti, se non un nipote, Giovanni Mancinelli di Narni, figlio di Pirro, suo cugino di secondo grado, che per atto testamentario, diverrà suo erede universale.
Alla memoria della defunta Marta, i successori avrebbero dovuto far celebrare nella chiesa parrocchiale di san Vito 56 messe annue (legato Marta Scotti), insieme ad altri obblighi.
Tra il 1790 e il 1816, poco a poco diminuisce in San Vito, dopo tanti secoli, il potere degli Scotti e dei successori (Mancinelli-Scotti).
Il feudo sarà diviso fra nuovi possidenti: gli Stinchelli, i conti Casali, il canonico don Paolo Petrignani di Amelia.
Dopo il “motu proprio” pontificio del cardinal Consalvi del 06/07/1816, i Mancinelli Scotti, gravati da pesanti oneri per le spese di mantenimento amministrativo della giustizia ed altri servizi pubblici, in data 06/12/1816 rinunceranno alla “baronia” su San Vito, mantenendo, però, nella persona del conte Ferdinando, alcune proprietà, per un certo periodo.
Tra il 1824 e il 1828, attraverso un’oculata opera di acquisizioni, tra i vari proprietari di San Vito, subentrerà, la potente famiglia romana, di origini spagnole, dei conti Ruiz De Cardenas, nella persona di Luigi; questi in data 29/09/1828, diventerà ufficialmente il nuovo “signore” di San Vito.
I suoi discendenti, i conti Marcello e Francesco (quest’ultimo primo sindaco di Otricoli dopo l’unità d’Italia nel 1861), saranno coloro, che porteranno avanti il nome del casato, fino alla fine dell’800.
Con la morte, nel 1956, della contessa Maria Luisa (figlia di Francesco) e moglie del cavaliere Quirino Pellizza, è da considerarsi estinto il nome del casato.
I successori continueranno ad avere delle proprietà fino agli inizi degli anni ’70, quando la tenuta verrà definitivamente venduta a vari piccoli imprenditori agricoli locali.
Il giorno precedente la festività dell’Epifania, sia a Guadamello che a San Vito si svolge il rito del chichì dei bambini.
E’ una tradizione ancora viva, il pomeriggio del 5 gennaio essi bussano alla porta di ogni abitazione al grido di ”chichìì!!!” ricevendo in dono frutta, dolci e spiccioli; prima di continuare il giro ringraziano e augurano “Buona Pasquarella”.
Negli anni ’50 proprio a San Vito di Narni, e in una sua borgata rurale (Grottamurella), fu sperimentato un innovativo metodo didattico per le scuole elementari, basato sull’esperienza visiva e l’arte dell’immagine.
Artefice di ciò fu il maestro Carlo Piantoni che introdusse metodi originali anche nel campo scientifico, con esperienze dirette sul territorio.
I suoi alunni di San Vito furono i vincitori dell’Esposizione Mondiale di Tokio del 1960 e l’Ambasciatore Giapponese si recò di persona nella scuola elementare di San Vito di Narni per consegnare le Medaglie, evento di grande risonanza, all’epoca, e rimasto come “storico” nella memoria degli abitanti del paese.
Grazie al lavoro del maestro Carlo Piantoni “I ragazzi di Grottamurella” sono diventati famosi, come emblema di una nuova interessante impostazione dell’insegnamento negli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale.
Aspetto
Al centro del castello, una fortezza circolare con due porte di accesso, svetta infatti l’antica torre quadrata romana,gli spigoli sono rinforzati da conci squadrati in pietra ed è ottimamente conservata.
L’antica chiesa parrocchiale, sita nel borgo antico, sotto la torre quadrata, di piccole dimensioni, ora non esiste più.
La nuova chiesa parrocchiale, di magnifica imponenza, con campanile cuspidato, è una struttura che sorge in posizione dominante su un poggio.
Vi si accede da una scenografica scalinata in mattoni e fu costruita a cavallo della prima guerra mondiale, grazie alla tenacia e alla volontà di un parroco indimenticato e indimenticabile: il toscano don Carlo Checcucci di San Casciano Val di Pesa, che ora riposa dal 1963 all’interno dell’edificio.
Tutta la popolazione fu coinvolta nella realizzazione dell’opera.
In loco fu aperta appositamente una fornace per la cottura dei laterizi.
Dopo anni di sacrifici e duro lavoro, la nuova chiesa fu inaugurata dal vescovo Boccoleri, con solenne cerimonia, il 23/04/1922.
All’interno si presenta a struttura basilicale, voltata con arcate e pilastri.
Nell’abside, dietro l’altare, c’è un affresco del patrono S. Vito, realizzato all’incirca negli anni 30-40.
Èuna chiesa costruita a navata centrale, con un presbiterio che presenta dei basso rilievi di epoca contemporanea.
Sopra l’altare è posta una tela raffigurante il Divino cuore di Gesù.
La chiesa è votata appunto al patrono del paese.
Nella piazzetta, sottostante la chiesa, prima di risalire ed entrare nel borgo, sulla sinistra è presente un vecchio mulino, denominato “Monte del grano“, risalente al ‘600, adibito sin dai primi anni ’70 a ristorante; al centro c’è il fontanile comunale in pietra, opera degli anni ’50.
Chiesa della Madonna dele Grazie
La chiesetta della Madonna delle Grazie, edificata tra il 1774 e il 1777, di proprietà privata, sorge immersa in un bosco di lecci secolari.
Vi si giunge attraverso una stradicciola sterrata e pittoresca, che si insinua tra due uliveti.
Il vescovo Boccoleri, in una bolla ufficiale datata 08/09/1925, conservata all’interno dell’edificio, “concede 50 giorni di indulgenza a chi recita tre Ave Maria innanzi all’immagine della Madonna delle Grazie”; nella cripta sono custodite le tombe dei conti Ruiz De Gardenas, proprietari del contado, fino al secolo scorso.
Ringraziamenti
La redazione del presente testo è stata resa possibile dall’appassionato e competente lavoro di ricerca di Daniele Cavafave, che si ringrazia per il grande contributo reso alla scoperta ed alla conservazione di storia e tradizioni della sua Guadamello e San Vito.
Si ringrazia altresì la Diocesi di Terni – Narni – Amelia per la collaborazione e per l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini.
Fonti documentative
Vari scritti di Daniele Cavafave tratti da:
Guida Storico Artistica e attività Turistico-ricettive del territorio di Guadamello e San Vito di Narni a cura di Emanuela Modesti e Daniele Cavafave.
Nota
La galleria fotografica è stata realizzata da Silvio Sorcini.