Castello di San Venanzo – San Venanzo (TR)
Cenni Storici
La presenza umana sulla dorsale delle alture del Peglia risalgono già ad epoca preprotostorica infatti villaggi e reperti di varia natura sono stati trovati in più aree, risalenti al paleolitico inferiore e medio e reperti del paleolitico superiore; a Poggio Aquilone è stata scoperta una tomba a fossa, con ampio corredo, riferibile al neolitico e nella zona del monte Melonta una vasta area accoglieva un sostanzioso insediamento villanoviano.
Anche nel periodo etrusco l’area montana ebbe un ruolo strategico infatti era interessata da arterie viarie che collegavano Perugia agli altri importanti centri dell’Umbria antica e dell’Etruria fra cui Orvieto.
I percorsi della cosiddetta Via Orviatana sono due, uno che corre a metà costa, l’altro sulla sommità delle colline, divisi dal torrente Genna, che poi si riuniscono poco dopo San Venanzo e proseguono per il monte Peglia, fino ad Orvieto.
Qualcuno ha voluto far risalire il nucleo abitativo di San Venanzo al sec. VIII, in piena epoca bizantina, subito dopo il passaggio delle spoglie di S. Venanzo trasportate a Roma dal corteo papale, e quando nella zona si cominciò a venerare il santo martire, però questa ipotesi non trova fondamento in nessuna fonte storica.
I primi documenti, che invece si riferiscono a questo centro, risalgono al sec. XII e sono contenuti nel Codice Diplomatico della città di Orvieto di Luigi Fumi.
Fu uno dei tanti luoghi fortificati con mura e torri, piazzato in posizione sicura su queste alture, allora molto popolate, facili alla difesa e lontano dalle vie di grande comunicazione, ma a ridosso del diverticolo collinare della via Orvietana.
Già nel secolo XII il castello appartiene al dominio di Orvieto, nel piviere di Ficulle, poi nel Catasto Orvietano del 1292 è ben definito come luogo fortificato facente parte del piviere di S. Maria De Rasa.
Nel 1224, San Venanzo, fu occupato dai todini dopo averne saccheggiato il territorio, durante il conflitto che vide Todi in guerra con Orvieto per il possesso del castello di Collelungo.
Seguì una pace con la quale Orvieto riconobbe a Todi il possesso di San Venanzo e del Castello di Montemarte, ma per breve tempo.
Qui Orvieto tenne un visconte, delegato a rappresentare l’autorità del comune.
I visconti potevano imporre “Bandi” (era la decima parte del raccolto o del reddito di qualsiasi attività produttiva) multe e pene senza l’obbligo di emettere sentenze, procedere contro le azioni criminali che si perpetravano sul loro territorio di competenza.
Le “Azioni criminali” non riguardavano solo reati alle persone, ma anche i danni che uno poteva arrecare ai prodotti dei campi, agli animali domestici che in una economia agricola povera e finalizzata al consumo alimentare immediato, era a quei tempi, un delitto da perseguire con pene severissime.
La carica di visconte, non soggetta a controlli da parte di Orvieto, fu in principio riservata ai popolari della città.
I visconti, che in fondo dovevano limitare la prepotenza e le violenze dei nobili del luogo, erano mal visti e combattuti da questi tanto che nel 1295 i nobili ne impedirono le elezioni.
Orvieto alla fine mise all’asta la carica e il viscontado di San Venanzo.
Sul finire del secolo XIII il castello era tenuto dal visconte Corrado di Ermanno Monaldeschi, capitano del popolo in Firenze nel 1299, eletto da Bonifacio VIII a governatore di Acquapendente e terre limitrofe, che mori in battaglia presso Radicofani nel 1300.
Da lui nacque Ermanno o Manno, al quale passò il viscontado di San Venanzo nel 1334 e proclamato “Gonfaloniere” a vita, divenne in pratica il vero signore di Orvieto fino al 1337, anno della sua morte.
Con la morte di Manno Monaldeschi, i quattro rami del casato (Cervara, Aquila, Cane e Vipera) scesero in campo in conflitto tra di loro per la supremazia del potere.
I conflitti, che si svolsero con alterne vicende, vedendo prevalere prima una poi l’altra casata, sconvolsero tutto il territorio di Orvieto e quindi anche di San Venanzo.
Fu poi occupato nel 1340 dai Monaldeschi della Cervara, eredi di Manno, ma nel 1346 venne riconquistata da Orvieto.
Ma un gruppo di persone del luogo e di esuli se ne impadronirono e lo tennero per alcuni giorni.
Nel 1346 il castello fu privato del castellano per economia e restò senza manutenzione per un certo tempo.
Nel 1347 i magistrati di Orvieto, per non perdere il castello di San Venanzo, deliberarono di riparare la cinta muraria i fossati, in sei mesi, e le torri distrutte l’anno prima quando l’avevano riconquistato doveva essere in atto in due anni, ma poiché Orvieto, stava attraversando una forte e lunga crisi economica, lo lasciava sguarnito del castellano, non avendo i mezzi per pagarlo.
Per questo motivo i Sanvenanzesi ebbero la franchigia dalle gabelle e tasse per 10 anni.
Nel 1351 il castello fu assalito da Petruccio di Pepo, ma fu respinto dai figli di Ermanno Monaldeschi della Cervara.
Poco dopo cadde in potere dei conti di Montegiove, che lo fortificarono e lo tennero saldamente fino alla loro estinzione (1392).
Il 13/6/1385 si addivenne ad una tregua nelle secolari lotte tra Monaldeschi Muffati e Monaldeschi Melcorini.
Nel 1392 San Venanzo viene occupata da Monaldo Monaldeschi e ne divenne loro feudo, ottenendo nel 1394 il riconoscimento del possesso del castello da parte di Bonifacio IX.
Nel 1415 con altri castelli vicini fu tenuto dai Signori di Parrano.
Nel settembre del 1437 il castello si ribellò e fu da quelli completamente distrutto dai Monaldeschi della Cervara guidati da Gentile della Sala, non restarono nemmeno i ruderi e se ne perse perfino la memoria della ubicazione.
I Monaldeschi della Cervara chiesero al Legato Pontificio di non far ricostruire più il castello poiché si era ribellato contro il Papa.
Ricostruito invece nonostante il veto San Venanzo si ribellò l’ultima volta a Orvieto nel 1495 per finire definitivamente sotto la giurisdizione dei Sette Conservatori della Pace.
Orvieto vi nominava i “podestà” e gravava la popolazione con continue tasse, imponendo prima un’egemonia commerciale e successivamente un legame religioso e politico per secoli.
Poi venne il tranquillo governo pontificio e San Venanzo fu comune, con appodiate le comunità di Collelungo, Ripalvella, Rotecastello, Civitella dei Conti.
San Vito era comune a sé, con appodiate le comunità di Palazzo Bovarino, Poggio Aquilone e Pornello, tutti compresi nella delegazione di Orvieto.
Durante la Repubblica romana fu unito al Cantone di Orvieto.
Con l’arrivo di Napoleone e dei francesi in Italia, agli inizi del XIX sec., fu nel dipartimento del Trasimeno, provincia dell’Impero Francese.
Con la Restaurazione San Venanzo (con Collelungo, Ripalvella, Ratecastello, Civitella dei Conti) e San Vito (con Palazzo Bovarino, Poggio Aquilone e Pomello) erano compresi nella delegazione di Orvieto delegazione di Viterbo.
Con il plebiscito del 1860 il Comune di San Venanzo si espresse a favore della monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e fu unito alla grande provincia dell’Umbria.
Al momento dell’unità d’Italia, la zona fu interessata da episodi di banditismo generati, per lo più, dai renitenti alla leva.
Creata la nuova Provincia di Terni nel 1927, vi fu unito.
Nel 1929 il comune di San Vito in Monte fu soppresso e il territorio fu aggregato a quello del comune di San Venanzo, che cosi divenne estesissimo, il quarto per estensione della provincia di Terni, ma scarsamente popolato.
Aspetto
Il paese ha perduto molto del suo aspetto medioevale a causa delle trasformazioni urbanistiche avvenute alla fine dell’Ottocento quando il conte Faina trasformò la sua vecchia casa padronale in una elegante villa con giardino, oggi palazzo municipale, acquistando e demolendo numerose abitazioni medievali.
L’antico castello era dotato di una cinta muraria intervallata da una decina di torri e da due porte di accesso chiamate “Porta Perugina” (o de Sopra) e “Porta Orvietana” (o de Sotto).
Al suo interno vi era la Chiesa dedicata al patrono risalente al XIII secolo, rifatta nel Settecento, ma in parte demolita nei primi del Novecento dai conti Faina che la trasformarono in una piscina privata lasciandovi delle rovine secondo l’estetica tardo romantica.
Dell’antico castello, esistente almeno dal 1292, oggi rimane la torre principale e brevi tratti di mura.
Cuore del paese è piazza Roma, anticamente chiamata “piazza del girello” o “piazza del pallone“, evidentemente perché adibita a questo gioco.
Alla fine dell’Ottocento la piazza venne ampliata demolendo una porzione di mura castellane che la chiudevano.
Nell’area oggetto dell’ampliamento è stato innalzato nel 1922 il Monumento ai Caduti, opera dello scultore perugino Alberto Moroni.
In cima è poggiato il gruppo bronzeo formato dall’aquila italiana che sottomette con i suoi artigli quella austriaca, distinguibile per la presenza delle due teste.
Il palazzo che sorge in fondo alla piazza, già residenza comunale dal 1884 al 1964, deve l’aspetto attuale ai restauri eseguiti nel 1934 quando fu innalzata la torretta e rifatta la facciata ispirandosi ai canoni dell’architettura civile medievale, come risulta dall’impiego della bifora e della torre stessa.
Oggi è sede del Museo Vulcanologico, creato per valorizzare i tre vulcani che eruttarono 265 mila anni fa e da cui uscì una pietra unica al mondo e chiamata dai vulcanologi “venanzite” dal nome di San Venanzo.
Il Museo Vulcanologico: la sede e la raccolta
Inaugurato nel 1999, è ospitato all’interno del palazzo attiguo a “Villa Faina“, risalente ai primi dell’Ottocento.
Il Museo Vulcanologico è nato con il preciso intento di valorizzare l’area vulcanica sulla quale sorge San Venanzo, sottolineandone le singolarità e le caratteristiche.
La sua funzione è quindi quella di illustrare in maniera divulgativa il significato geologico ed ambientale di eruzioni verificatesi 265000 anni fa e di preparare il visitatore all’escursione al Parco Vulcanologico, luogo in cui si raffreddò la Venanzite, lava unica al mondo e roccia simbolo di San Venanzo.
Il percorso dl visita si sviluppa su tre piani e prevede due percorsi museografici che si articolano in sei diversi temi, tradotti a loro volta in numerosi allestimenti esplicativi.
Il primo itinerario si chiama “L’ETA DI GEA‘ e serve a spiegare l’evoluzione del pianeta terra attraverso il succedersi delle ere geologiche, scandite dalla comparsa e scomparsa delle specie vegetali ed animali.
Si spiega il concetto di “tempo geologico” attraverso l’esposizione sistematica, secondo i principi di Linneo, Darwin e Lyell e con l’ausilio di numerosi reperti costituiti da fossili, minerali e rocce.
Questa grande collezione è una delle più complete a livello regionale per il numero, l’importanza scientifica e la rarità degli esemplari.
Il secondo percorso “LA FORZA CREATRICE DEI VULCANI” è invece un percorso più concettuale e da la possibilità di avvicinarsi ad alcuni argomenti cruciali come il fenomeno vulcanico a scala planetaria, i rischi e i vantaggi offerti all’uomo dai vulcani, la loro importanza nell’ecosistema terrestre e il contributo che hanno dato alla conoscenza della struttura interna del pianeta Terra.
In questo secondo percorso le informazioni fornite sono più legate all’esperienza sensoriale e alle deduzioni logiche dei visitatori stessi.
Alcuni allestimenti sono interattivi e organizzati anche sotto forma di divertenti geoquiz.
Il Parco Vulcanologico
Estesa poche decine di ettari, questa piccola Area Naturale Protetta è parte integrante dello S.T.I.N.A. (Sistema Territoriale di Interesse Naturalistico Ambientale) Monte Peglia e Selva di Meana, un territorio che si estende per circa 44.000 ettari da San Venanzo al Lago di Corbara a sud e ad est fino al confine con i boschi del Monte Rufeno, alto Lazio.
L’A.N.P. dei Vulcani di san Venanzo è stata creata per definire e delimitare una zona con caratteri eccezionali sotto il profilo geologico, consistente in tre vulcani attivi 265.000 anni fa: maar di San Venanzo, dove sorge l’omonimo abitato di San Venanzo, l’anello di tufo di Pian di Celle con le relative colate laviche di Venanzite e il cono di lapilli di Celli.
All’interno della colata lavica de “Le Selvarelle“, sottoposta ad attività estrattiva negli anni settanta, è stato realizzato il Parco Vulcanologico, un suggestivo sentiero didattico, di circa 800 m, che conduce il visitatore all’interno di un vulcano in sezione e consente di fare osservazioni da un punto di vista decisamente inusuale, l’interno di una colata.
La “Breccia Ossifera” del Monte Peglia
La Breccia ossifera del Monte Peglia costituisce uno tra i più importanti giacimenti fossili quaternari della nostra regione.
La sua scoperta, come il più delle volte accade, è stata casuale e risale all’Agosto del 1955.
Ai piedi delle due grandi antenne, innalzate l’anno prima per l’inizio dei programmi radio-televisivi della Rai, due ragazzi appassionati di Paleontologia trovarono una breccia rossastra costituita da frammenti di ossa, incrostate da cemento dello stesso colore, e grossi cristalli di calcite; il tutto appariva come il contenuto di una piccola grotta.
Gli scavi furono condotti dall’Istituto Italiano di Paleontologia Umana di Roma, il quale, avvalendosi della collaborazione dell’Università di Utrecht, in 13 anni portò alla luce una serie di reperti fossili di eccezionale importanza, tra cui i resti di un Homotherium latidens o Tigre dai denti a sciabola e alcune pietre scheggiate che, il Piperno M., descrisse come raschiatoi, chopper mono-bi facciali e schegge ascrivibili al genere Homo erectus, e databili Paleolitico Inferiore.
Il sito del Monte Peglia può essere annoverato fra le industrie litiche più antiche (stratigraficamente attribuibile allo stadio interglaciale finale Gunz-Mindel), di poco più recente dei ritrovamenti del Vollonnet e di Graunceanu, che costituiscono le primissime testimonianze europee dell’attività umana.
Fonti documentative
Cartellonistica in loco
M. Tabarrini – L’Umbria si racconta: Dizionario P-Z – 1982
IRRES Istituto regionale di ricerche economiche e sociali – Orvietano Amerino Narnese Ternano – 1994
P. Caruso – San Venanzo le sue frazioni, la sua gente ieri e oggi – 1996