Castello di Roscialesco – Montecastello di Vibio (PG)

Nelle diciture il nome appare in diverse versioni, “Rozzalesco“, “Rocialesco” o “Roscialesco“, nella toponomastica attuale è in voga l’ultima definizione.

 

Cenni Storici

Nella seconda metà del XIII secolo il comune di Todi, in seguito all’attacco subito da Perugia aveva avuto danni ingenti ai suoi castelli di confine, allora decise di ripartire il territorio comunale in 19 circoscrizioni, ossia in diciannove unità amministrative, che prendevano il nome di plebati, vale a dire che prendevano come riferimento le chiese che avevano in dotazione il Fonte Battesimale.
Uno dei plebati più popolati e posto proprio sul confine a nord ovest del comune era quello di Santa Maria in Monte, a cui faceva riferimento anche il castello di “Rozzalesco” che, come si apprende dal “liber focolarium” (catasto delle famiglie) stilato nel 1291 vi vivevano 25 famiglie.
All’interno di questo Plebato tre soltanto erano i luoghi fortificati ossia i castra: Rocialesco, Quadro e Doglio.
Nel 1308 il comune, che aveva distrutto il castello di Montemarte, vendette tutta la loro tenuta a 136 cittadini di Todi dopo aver frazionato la zona in poderi, eccezion fatta per le comunità del Doglio, Quadro e Rocialesco le quali avevano una loro gestione ben strutturata all’interno del comune tuderte.
Il castello presidiava il confine tuderte dalle mire espansionistiche di Orvieto e costituiva una robusta linea difensiva insieme ai siti fortificati distribuiti tra Montemileto, Montemarte, Pompognano, l’Apparita, le Rotelle, Quadro, e Doglio.
Nel maggio del 1311 il comune di Perugia invase il territorio tuderte devastando il castello di Doglio e conseguentemente tutti gli altri compreso Roscialesco arrivando fino a Fratta e Monte Castello.
Questo indebolimento di uno dei principali castelli del sistema difensivo tuderte fece sì che gli orvietani più volte riprendessero nel corso degli anni le scorrerie su questo versante e nel 1324 distrussero i raccolti del grano.
Il castello si trovava su un crinale ricco di reti viarie che si snodavano principalmente verso Orvieto e Viterbo, utilizzati per il passaggi degli animali transumanti diretti verso la campagna romana, in particolare controllava il cosiddetto “passo dei figli di Signoruccio” insieme ai castelli di Quadro, Pompognano e delle ville di Canonica del Colle, Montecalvo e Cordigliano.
Nel 1411 il territorio intorno al castello del Doglio torna ad essere al centro della storia di Todi, coinvolta nelle vicende di Braccio Fortebracci da Montone, il quale prima mise a ferro e fuoco il territorio della Canonica poi, trascorsi alcuni giorni, prese anche Rocialesco e lo diede in preda ai suoi soldati che lo depredarono.
Nell’anno 1460 il castello fu devastato da un violento terremoto e così ricorda l’Alvi: “L’anno 1460 ne diroccò quasi l’intera parte per gran parte per un gran terremoto insieme colla chiesa dedicata ai Santi Angelo e Giovenale i di cui cimenti furono tutti ridotti in calce anni sono, fattane fornace da Bernardino Torrioni detto Sanguenero dal Doglio“.
Alla fine del XV secolo questo castello, insieme ad altri della zona, divenne roccaforte dei Chiaravalle e ciò comportò l’intervento di Virginio Orsini al servizio del papa; il 12 gennaio 1496 saccheggiò i castelli liberandoli dai ghibellini legati alla famiglia Chiaravalle che li avevano occupati.
Il castello era provvisto di una chiesa, ora scomparsa, che nella visita pastorale, condotta dal vescovo Angelo Cesi nel 1573, si menziona come chiesa rurale di san Giovenale a Rocialesco sotto la cura di Giovanni Pietro Carocci.
Dall’Elenco delle chiese, benefici, ospedali e monasteri e luoghi ecclesiastici della città e diocesi di Todi dal 1399 al 1467 compilato da Pietro Bolognini alla fine del XVIII secolo, la chiesa di Sant’Angelo e Giovenale di Rocialesco pagavano come tassa 10 libre.
Il castello di Rocialesco passò poi alla famiglia Stefanucci come è riportato su un trave di un camino recante il nome del nobile tuderte Dionisio Stefanucci e la data del 1623.
In un documento del 1644 risulta che nella zona era diffusa la coltivazione dello “zaffarame” ossia lo zafferano e pare che da questa cultura abbia avuto origine la famiglia più rappresentativa degli Zaffarami o Zafferami.
 

Aspetto

Tutto è di proprietà privata e l’abitato e la torre sono in parte recuperati ed in parte in fase di recupero, nel complesso gli edifici appaiono in buono stato.
All’inizio del nucleo c’è una piccola edicola con l’immagine in ceramica moderna con la rappresentazione della Sacra famiglia.
 

Fonti documentative

Filippo Orsini – Il Castello di Doglio: archeologia, famiglie, chiese e territorio – 2019
 

Mappa

Link coordinate: 42.793451 12.320291

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