Castello di Pornello – San Venanzo (TR)
Cenni Storici
Pornello, Pornillo, Prunello, si pensa così chiamato poiché edificato al tempo, in un posto ricco di pruni.
Il castello di Pornello, le cui vestigia sono ancor oggi visibili, viene già citato dalle cronache nel 1137 quando il conte Ottone, figlio di Pepo insieme ai fratelli Gentile e Pepo, alla madre Agnese alla moglie Gisola, assegnarono in perpetuo alla chiesa di S. Maria, ossia al vescovo di Orvieto, alcune terre tra cui Pornillo e due Civitelle che, scomparse, hanno lasciato memoria di se nel toponimo Poggio delle Civitelle, a nord di Ospedaletto.
L’atto, steso « ante ecclesiam Sancti Andree » di Orvieto, in una non meglio precisata «domenica di agosto» del 1137, ha una chiusa che vuole significare la volontà di una donazione definitiva: « se io Ottone, i miei fratelli, la nostra madre, la mia moglie o i nostri eredi decidessimo di contestare tale donazione, ognuno di noi sia soggetto ad anatema, scomunicato e separato dal grembo della chiesa, mentre l’atto presente rimarrà sempre valido ».
Nel 1278 Orvieto individuò 5 castelli (castra) e 22 pievi (pivieri) come punto di riferimento amministrativo-fiscale, per cui tutto il territorio a lei soggetto, risultò diviso in Plebari.
La pieve, a quei tempi, era l’edificio per il culto e l’abitazione nella quale i chierici conducevano vita in comune, formando un capitolo con beni in condominio, sotto l’autorità, più o meno accentuata, di un arciprete avente giurisdizione sulle maggiori chiese del distretto.
Queste, successivamente, si staccarono dalla pieve, dando vita a parrocchie autonome, con conseguente sparizione della vita comunitaria e dispersione dei beni comuni.
San Venanzo e Pornello facevano parte di quello di S. Maria de Rasa, santuario ancora esistente nel 1357 quando Ponzio Perrotti, vescovo di Orvieto, visitò, appunto la ”Pieve di S. Maria de Rasa” e il “monasterio di S. Lucia di Rasa”, del quale non si hanno notizie.
Questi due edifici, successivamente decaduti, hanno lasciato memoria di sé in alcuni toponimi: podere S. Maria e podere S. Lucia.
Alla fine dell’XI secolo si affaccia sulla scena orvietana la famiglia dei Monaldeschi che svolse un ruolo chiave nella storia della montagna orvietana.
Famiglia di origine popolare arricchitasi con i commerci investì il denaro accumulato nell’acquisto di terre, i suoi membri, alla fine del sec. XII, vennero riconosciuti come “nobiles viri” e, quindi, aggregati tra coloro che avevano la principale fonte di rendita nei possedimenti terrieri.
Con il nipote di Cittadino, Monaldo si dette il nome alla casata e fu definito, “nobilis vir et potens” e così i Monaldeschi cominciarono ad avere una parte sempre più importante nella gestione degli affari di Orvieto.
La loro ascesa fu favorita da una scelta di campo quando si schierarono con il papa contro i ghibellini Filippeschi, da allora il loro dominio crebbe fino ad assumere una posizione egemonica nella città di Orvieto e dei castelli della montagna, tanto da arrivare a fare prestiti allo stesso Comune, che in un’occasione si trovò ad avere un debito nei loro confronti di 1222 fiorini d’oro.
La casata era suddivisa in 4 rami: Cervara, Cane, Vipera e Aquila.
Nel 1342, Pornello è signoria dei Monaldeschi del ramo della Vipera, detti anche Beffati, che conquistano il territorio di Ficulle ed insieme ai castelli di Monteleone e Montegabbione li affidano al conte Baldino di Marsciano e con cui legheranno legami di parentela (com’era consuetudine a quei tempi) sposando i reciproci figli.
In quel periodo le Pievanie della montagna erano obbligate a versare, durante la festa del Corpus Domini e dell’Assunta, un contributo all’Opera del Duomo di Orvieto, che nel 1304 aveva in costruzione la cattedrale ed anche Pornello attraverso la Pievania di Santa Maria de Rasa era sottoposta a tale “contributo volontario”.
Nel 1357 il Cardinale Egidio Legato di Spagna, governa la città di Orvieto per conto del Papa e mette al bando i Monaldeschi sia quelli del ramo della Vipera e della Cervara, sia quelli del Cane e dell’Aquila.
Nel 1380 Orvieto viene assalita e saccheggiata da Berardo Monaldeschi del ramo della Cervara con l’aiuto dei suoi nuovi alleati: i Bretoni.
Questi, carichi di tesori mentre si dirigono verso Perugia, vengono assaliti nei pressi di Pornello vicino a quello che era il castello di Terracane (oggi visibili solo Pochi ruderi) dal conte Ugolino di Montemarte, corso in aiuto di Orvieto, costringendoli alla fuga.
Del tesoro trasportato no si ha più nessuna notizia e la fantasia popolare ha dato luogo a quella che è la leggenda del tesoro di Pornello.
Pornello per parecchi anni diventa teatro di guerra e subisce saccheggi per i continui scontri tra i vari casati dei monaldeschi, passando ora in mano ai Monaldeschl della Cervara (detti anche Muffati ) ora a quelli della Vipera (detti anche Beffati per i beffa subita) fino a che non diventa feudo e stabile possesso dei conti di Marsciano, i quali vi esercitarono ogni giurisdizione, almeno fino a quando permisero anche agli uomini di questa Terra di darsi uno Statuto (1529).
In seguito passerà alla famiglia Dolci, discendente dei Montemarte.
Verso il 1600 la “Cronaca della Provincia Serafica di Assisi” , nel descrivere il convento della Scarzola (poco distante da Pornello) ci dice che Pornello era proprietà dei conti Polidori o Pollidori di Orvieto, questo viene convalidato da piante catastali del 1798 (Catasto Orvietano) in cui viene citato che i nobili Manieri hanno acquistato Pornello ed i territori circostanti dai conti Pollidori.
Nel 1769 durante un censimento basato sulle dichiarazioni dei parroci, Pornello conta 133 abitanti.
Nel 1820 la villa di Pornello fu appodiato a Montegabbione nel governo di Ficulle, questa situazione però provocò una situazione di disagio in quanto il paese si vide imporre carichi fiscali sproporzionati rispetto a quelli assegnati alle altre frazioni.
Pornello protestò decisamente a Roma contro il capoluogo.
Dal memoriale inviato al Buon Governo dal sindaco Manieri Pasquale, ricaviamo l’ammontare annuo dei dazi comunitativi attribuiti a Pornello: 86 scudi, 8 baiocchi e 1/2 quattrino, al quale concorrevano la tassa focatico (ammontante per « il più miserabile » a 20 baiocchi, mentre gli abitanti delle altre frazioni pagavano « meno della metà ») e la tassa bestiame che superava anche 5 volte quella pagata altrove.
Il gonfaloniere di Montegabbione, interpellato dal governatore di Viterbo, ebbe il coraggio di giustificarsi in questi termini: “Se, in relazione al riparto sulla tassa focatico e su quella bestiame, la Comunità si sente più gravata delle altre comuni limitrofe, il sindaco reclamante non può incolpare altro che il poco numero delle famiglie e del bestiame di quel Luogo“.
Quindi, secondo il primo cittadino di Montegabbione non si doveva nemmeno pensare a porvi rimedio, attribuendo carichi fiscali proporzionati al numero dei contribuenti e alla loro capacità contributiva, perché i 131 abitanti di Pomello avrebbero dovuto crescere e moltiplicarsi e dare vita a veri e propri allevamenti di bestiame, se volevano quote inferiori!
Con l’Unità d’Italia Pornello passò sotto il Comune di San Venanzo dove lo troviamo tuttora.
Nel 1971-72 gli eredi del Manieri vendono le proprietà allo Stato e nel 1979-80 Pornello passa alla Regione Umbria che lo affida in gestione alla Comunità Montana.
Fonti documentative
P. Caruso – San Venanzo le sue frazioni, la sua gente ieri e oggi – 1996
O. Panfili L. Pirro – Storia dei Luoghi della “Montagna Orvietana”
Da vedere nella zona
Chiesa di San Donato
Chiesa della Madonna del Piano