Castello di Piagnano – Sassocorvaro (PU)
Cenni Storici
Dal VII al XIV secolo
All’inizio del VII secolo si costituiva il Vescovado del Montefeltro come avamposto del cattolicesimo contro i Longobardi. Esso occupava una posizione strategica nell’Italia divisa fra i Longobardi e i Bizantini. Sotto il re longobardo Liutprando il Montefeltro fu travolto e le valli del Savio-Marecchia-Foglia e Metauro furono occupate fino al mare. Il Papa si recò allora a chiedere aiuto ai Franchi e la discesa in Italia di questi segnò la nascita dello stato della Chiesa: i territori dell’Emilia e della Romagna insieme ad altre terre vennero donate dai Franchi al Papa e CarloMagno ne ebbe in cambio la corona imperiale. Non appena entrò in crisi l’armonia che aveva caratterizzato il Sacro Romano Impero di Carlo Magno e dei suoi successori, esplose con grande asprezza la Contesa fra questi due supremi poteri: la Chiesa da una parte, l’Impero dall’altra. Con la dinastia Sveva la lotta cominciò a riguardare anche la questione delle giurisdizioni territoriali, come conseguenza del forte interesse che legò all’Italia questi Imperatori a partire da Federico Barbarossa. Solo l’avvento del giovane Federico II di Svevia, l’impero riuscì a imporre la propria autorità sulle Romagne, sull’Umbria, su Ancona e Spoleto, strappando queste terre al Papa. E’ proprio in questo Contesto di lotta per la conquista delle terre Papali che Federico II concederà il titolo di Conti di Piagnano ad alcuni membri della consorteria dei Berardini di Castelcavallino. Il nome di Piagnano compare per la prima volta in un documento del 2.12.1216. In un elenco di nobili del Montefeltro e della Massa Trabaria é nominato Partinello figlio di Govanni di Donnolo da Piagnano, il quale aveva combattuto sotto il comando militare di Buonconte da Montefeltro nella guerra di Rimini contro Cesena. Il nome di questo personaggio ritornerà in un altro documento del dicembre del 1233 quando il nobile Partinello assieme ad altri componenti della nobiltà rurale fecero atto di sottomissione e cittadinanza al Comune di Rimini. Il documento di giuramento di cittadinanza di Partinello contiene un’indicazione importante per individuare la figura del primo Conte di Piagnano, vi si fa infatti menzione, in qualità di garante dei patti di un nobile signore “Bisaccione” figlio del fu signore Ugolino Berardini di Cavallino, ecco, quindi, che compare per la prima volta quello che potrebbe essere il capostipite dei Conti di Piagnano. Bisaccione é una figura di rilievo del ghibellinismo locale, perché poche settimane prima assieme a Buonconte, a Taddeo da Montefeltro e ad Ugo di Carpegna rappresentò la nobiltà dell’Alto Foglia nel trattato di pace fra il Comune di Rimini e quello di Urbino. Probabilmente qualche tempo dopo Federico II lo nominò Conte. Lo storico feretrano P.A. Guerrieri cita il diploma che Federico rilasciò a favore dei Conti Sforza, Ugolino e Bisaccione in cui figura l’elenco delle terre che formavano la Contea: Antico, Petrella, Pietracavola, Soanne, Lupaiolo, Pirlo e Viano. Piagnano, il castello da cui la famiglia aveva derivato il prestigioso titolo che porterà sino alla fine é al centro della Contea. Istituzionalmente possiamo definire la Contea di Piagnano come consortile, il primogenito godeva di maggiore autorità, ma anche i fratelli si fregiavano del titolo comitale. Il loro stemma originario tre scaglioni neri in campo azzurro conferma l’antichità di “Conti dell’impero”. A questo punto possiamo supporre che la famiglia dei nuovi Conti di Piagnano si sia innestata, per via di matrimoni con quella di Partinello e di componenti la sua consorteria. Tuttavia il titolo di Conte su di un territorio che la Chiesa considerava suo non era riconosciuto dalla Curia romana e l’avvento al Pontificato di Innocenzo IV impresse alla lotta fra Papato e impero un’asprezza mai conosciuta fino ad allora. Due documenti legano la “piccola” storia dei Piagnano alla “grande” storia di Papi ed Imperatori. Si tratta di due lettere che il Papa inviò dal Concilio di Lione a prelati marchigiani ordinando loro di confiscare i beni di Bisaccione di Piagnano e di altri signori del Montefeltro, perché seguaci di Federico II. Le minacce furono efficaci poiché a quell’epoca la potenza degli Imperatori svevi cominciava a tramontare e anche il ghibellino Bisaccione seguirà la parte guelfa. Nel 1250 Federico II moriva, nel contesto che si venne a creare i principali artefici della politica tra Marche e Romagna furono i Conti di Montefeltro. Di questi anni abbiamo poche notizie sulla famiglia dei Conti di Piagnano: il 24 gennaio il Conte Bisaccione, in qualità di Capitano del popolo di Siena venne mandato ambasciatore alla corte di Papa Bonifacio VIII. In questo Contesto si può comprendere la funzione non secondaria delle Piccole Signorie nell’ambito di una realtà in cui le capacità personali e le virtù dell’antica classe feudale possono essere utilizzate anche da entità democratiche quali i grandi Comuni di Siena e Firenze verso i quali graviteranno d’ora in poi i Conti di Piagnano. Su questa linea correrà d’ora in poi la loro azione, inserimento nella politica interna dei grandi Comuni sotto il patrocinio della Signoria dei Malatesta che nel Trecento prenderà le redini delle Piccole Signorie. Per la prima metà del Trecento non abbiamo documenti inerenti i Piagnano fatta eccezione per un atto di vendita redatto nel 1339 nella Chiesa di S. Salvatore in Piagnano, riguardante la vendita a Benedetto, figlio di Bisaccione, della torre – palazzo di Campo (ora facente parte del Comune di Belforte all’Isauro. Sulla base di alcuni documenti, possiamo ipotizzare che si fosse creato un costume militare, il quale permetteva alle famiglie e a coloro che vi gravitavano intorno di fornire prestazioni di carattere militare; forse risale a questo periodo la nascita della compagnia di ventura dei Conti di Piagnano e questa attività comincerà ad essere la principale fonte di guadagno per le fortune dalla Signoria stessa. Nella seconda metà del trecento veniva in Italia il Cardinale Albornoz e molti signori minori delle terre della Chiesa gli si strinsero intorno in cerca di protezione, anche Bisaccione III, figlio di Benedetto é annoverato tra i componenti dell’esercito ecclesiastico. E’ questione aperta se in questo periodo i Conti di Piagnano persero il loro feudo e comunque siano andate le cose, resta il fatto che dieci anni dopo le popolazioni si ribellarono all’autorità Papale e i legati pontifici vennero cacciati, dal giugno 1375 la ribellione partita da Firenze si propagò per tutta l’Italia centrale. Dopo la cacciata dei legati pontifici i Conti di Piagnano si impadronirono di Piandimeleto, e nel 1377 Bisaccione III ottenne il vicariato apostolico. Ciò significava che dopo tanto tempo essi potevano governare legalmente sulle terre ad essi soggette come rappresentanti del Papa. Il Feudo quindi da allora si componeva delle seguenti terre: Piagnano, Piandimeleto, Petrella Guidi, Pietracavola, Soanne, Lupaiolo, Pirlo, Viano, Monastero, San Sisto. Possiamo quindi considerare Bisaccione III il vero fondatore della dinastia, nei suoi circa 70 anni di vita egli occupa quasi tutto il Trecento. Di questo personaggio possediamo un gruppo di lettere che ci testimoniano la sua attività nella sua qualità di Capitano di guerra della Repubblica di Siena. Nel 1390 fu podestà a Firenze. Dai documenti citati, si può ricavare la funzione tipica delle piccole Signorie: il problema della sopravvivenza viene risolto con l’esercizio stabile delle armi mercenarie che insieme ad incarichi politico amministrativi promettono notevoli remunerazioni. Attività subordinate alla scelta delle alleanze: i Conti di Piagnano operano quasi sempre con una politica filo malatestiana.
Il secolo XV
Bisaccione III ebbe due figli: Ugolino abbracciò la carriera ecclesiastica; l’altro figlio, Roberto succedette al padre nel governo della Contea, di questo personaggio sappiamo molto poco. Mentre un personaggio di notevole importanza é Ugolino, figlio di Roberto, omonimo dello zio paterno, che rinnova la tradizione dell’avo Bisaccione III ricoprendo nel 1415/16 la carica di Podestà e Senatore di Siena. Ugolino ebbe incarichi prestigiosi e delicati presso le autorità religiose e civili. Nel 1420 Ugolino é nominato governatore di Castel Sant’Angelo, carica di grande importanza. Il Papa Martino V risiede ancora a Firenze e l’invio di Ugolino a Roma ha lo scopo di preparare il ritorno del Papa nella Sede Apostolica in un clima di sicurezza. Nel 1421 troviamo Ugolino a Spoleto come governatore e nel 1423 sarà nominato Senatore di Roma. Per tutti gli incarichi affidatigli Ugolino rientra nel novero degli uomini che il Papa considererà di grande fedeltà e capacità. Dal 1432 del Conte Ugolino di Piagnano non si ha più alcuna notizia. Con Ugolino finisce anche un costume dei Conti di Piagnano: quello di amministratori di Comuni e Città. D’ora in poi questi nobili prenderanno il cognome Oliva, e trarranno i loro guadagni esclusivamente come uomini d’arme, uomini cioé specializzati nell’”arte della guerra”. Sparito di scena Ugolino, sarà suo figlio Gianfrancesco a rappresentare gli Olivi nel novero dei potentati italiani del xv secolo. Gianfrancesco Oliva nasce nel 1406 (data incisa sul monumento funebre); sposerà Marsibilia Trinci, vedova del fratellastro di Francesco Sforza, Leone, morto nel 1441. Nel 1452 Gianfrancesco Oliva é al servizio di Papa Nicolò V, lo stesso Papa che in quell’anno riconfermò il Vicariato ai Conti di Piagnano. Dopo la pace di Lodi (1454) stipulata tra i principali stati italiani contro la minaccia turca, si sviluppa un periodo di crisi per le milizie mercenarie italiane, che coinvolge le Piccole Compagnie di Ventura la pace tra i principali stati italiani e la politica di equilibrio svolta dai Medici fa si che i due acerrimi nemici: Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta si dedichino con maggior furore nella lotta reciproca. Dai cronisti dell’epoca abbiamo un lungo elenco di colpi di mano, di conquiste violente, di saccheggi e talvolta di distruzioni totali. Emblematico é il caso di Sassocorvaro distrutto, ricostruito e di nuovo incendiato nel 1457-58. Il 13 agosto 1462 si ha lo scontro decisivo sul fiume Cesano e qui Sigismondo subisce una terribile sconfitta che sancirà la rovina materiale e morale di questa casata. Nemmeno la rovina dei Malatesta accosta Gianfrancesco Oliva a Federico da Montefeltro. Dai pochi documenti che si hanno si può dedurre che Gianfrancesco Oliva diresse la sua politica in favore del Papato. Dopo la morte di Sigismondo Malatesta, Rimini sarebbe dovuta ritornare alla Chiesa, ma, Federico da Montefeltro nel tentativo di fermare i disegni espansionistici del Papa, con l’aiuto di Milano, Firenze e Napoli mise insieme un esercito da contrapporre a quello della Chiesa, del quale facevano parte Gianfrancesco Oliva ed il giovane figlio Carlo. Lo scontro ebbe luogo nei pressi di Mulazzano (Rimini). I più decisi a resistere furono proprio i Conti di Piagnano che, mentre stavano per essere uccisi furono invece salvati dall’intervento personale di Federico da Montefeltro. Era il 1469 e da quel momento le Casate dei Montefeltro e degli Oliva si riappacificarono. Carlo Oliva diventerà presto familiare di Federico da Montefeltro. Troviamo ancora Gianfrancesco Oliva al servizio della Chiesa durante il pontificato di Sisto IV, quando fu impegnato per conto del Papa nell’assedio di Città di Castello. In quel frangente rimase gravemente ferito ad una gamba; ciò lo rese quasi infermo negli ultimi quattro anni di vita. Gianfrancesco Oliva si spense a Piandimeleto il 4 agosto 1478. Da testimonianze sappiamo che alla sua piccola Corte erano onorate le lettere e le arti secondo le nobili tradizioni dell’epoca. Al valore dimostrato in battaglia egli unì una qualità piuttosto rara quei tempi: la fedeltà all’alleato nella buona e nella cattiva sorte, e questo gli assicurò il rispetto anche dei nemici. Carlo Oliva, figlio di Gianfrancesco nacque nel 1445 o 1446 e la sua vita militare fu molto simile a quella del padre; ebbe molte condotte dai Medici e da Federico da Montefeltro, di cui ebbe modo di frequentare la Corte, cosÏ come, in gioventù, aveva frequentato quella di Sigismondo Malatesta. Carlo Oliva ebbe quindi ottimi maestri, e da loro ricevette una buona preparazione culturale. Fu egli stesso poeta e si dilettò di lettere ed arti. A Carlo Oliva si deve la costruzione della cappella gentilizia in onore dei genitori Gianfrancesco e Marsibilia. Un vero gioiello d’Arte rinascimentale che si trova nel convento di Montefiorentino. Carlo Oliva si dedicò anche al riassetto e all’ingrandimento del vecchio Castello dei suoi avi. Da guerriero, Carlo Oliva prese parte alla battaglia di Fornovo contro Carlo VIII di Francia nel 1495. Poco dopo a Pavia, esattamente il 13 ottobre morì all’età di circa 50 anni. I cronisti nel raccontare la sua morte ricordano che era mancante di un occhio; l’aveva perso durante l’assedio di Città di Castello dove anche il padre era stato gravemente ferito. Carlo Oliva ebbe in moglie Paola di Montevecchio che gli diede due figli: Roberto II e Ugolino.
Il secolo XVI
La morte di Carlo Oliva coincide con la fine di un’epoca. Dopo la discesa di Carlo VIII di Francia in Italia la politica si giocherà su scacchieri più grandi, e gli spazi per le Piccole Signorie si faranno sempre più stretti. Risultano scarse notizie degli Oliva per ii primo decennio del 1500. Nel 1512 gli Oliva si spartiscono i loro domini: a Ugolino, il maggiore, andò Piagnano con i Castelli di Antico e Laudeto, Pirlo, Campo, Lupaiolo e Pietracavola; a Roberto toccò Piandimeleto e gli altri Castelli dell’antico dominio. All’anno successivo (1513) risale la fusione della campana che si può ancora ammirare nella cella campanaria della Chiesa parrocchiale di Piagnano. La tradizione orale vuole che al momento della fusione la Principessa scesa dal palazzo abbia versato nella fornace “mezza grembiulata d’oro”. Se le cose sono andate così, si tratta sicuramente della consorte di Ugolino, la Contessa Alessandra Gonzaga appartenente ad un ramo cadetto della grande famiglia di Mantova, nota anche per l’impulso dato per la costruzione del Convento di Santa Chiara di Macerata Feltria che, per donazioni e lasciti divenne uno dei più importanti del Montefeltro. Non si può trascurare che anche due principesse Gonzaga del ramo principale della famiglia erano presenti alla corte di Urbino: Elisabetta vedova di Guidobaldo da Montefeltro ed Eleonora moglie di Francesco Maria della Rovere, successore dell’ultimo rappresentate dell’antica casata dei Montefeltro. Morto precocemente Ugolino Oliva, spettò alla moglie il governo dello stato e la tutela dei quattro figli maschi: Girolamo, Gianfrancesco, Brancaleone e Ludovico Maria. Nel 1524 i giovani Conti Oliva ricevettero da Clemente VII l’investitura diretta a “Vicari” a terza generazione dei Castelli per un censo annuo di una tazza d’argento di 330 grammi. Circa venti anni più tardi, l’11 settembre 1545 il Papa Paolo III approverà una convenzione stipulata fra i fratelli Oliva ed il cugino Carlo II di Piandimeleto. In base all’accordo, venendo ad estinzione una delle due linee della famiglia, la successione della rispettiva porzione di proprietà sarebbe toccata all’altra. La convenzione, preceduta da risse cause e vertenze, riportò la pace nella Casata, che tuttavia si avviava verso la propria estinzione. Con l’ultimo Conte di Piagnano, Girolamo, ci troviamo nel pieno della Controriforma Cattolica. Un vento di terrore agitò la cattolicità allorché il cardinale Carafa, ispiratore dell’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione, ascese al pontificato col nome di Paolo IV. Proprio durante il breve pontificato di questo Papa si consumano gli ultimi atti della dinastia Oliva, di cui rimarrà vittima il Conte Girolamo, che sarà imprigionato nelle carceri pontificie non si sa se per ragioni di ortodossia o per questioni riguardanti il proprio dominio sulla Contea. Egli riuscÏ fortunosamente a liberarsi poiché a causa della morte del Papa il popolo romano, come consuetudine, incendiò le prigioni e il Conte poté tornare libero. Non appena tornato nei suoi domini provvide a stendere un atto notarile dove dichiarò che durante la sua carcerazione, imprecisati nemici avevano tentato di impadronirsi del Feudo. Possiamo supporre che si tratti della Contessa Clelia, vedova del cugino Carlo, Conte di Piandimeleto, che più di ogni altro aveva interesse a riunire, per il figlio Prospero, le due Contee. Così non fu, ed alla morte di Prospero di Piandimeleto e della madre, la Contessa Clelia Salomoni, la Contea di Piagnano passò definitivamente, l’11 dicembre 1574, sotto il dominio della Chiesa. In quella data, un alto funzionario dello Stato della Chiesa saliva a Piagnano, in qualità di Commissario del Papa per prenderne ufficialmente possesso. Lo accompagnava il governatore di Rimini due notai e alcuni uomini d’arme nel caso si dovesse ricorrere alla forza. Radunati al suono della campana i Quattro Uomini della Comunità, il commissario prese possesso del Castello; poi si avviò verso la Rocca dove lo stava aspettando il signor Annibale Oliva; questi, come erede dello zio Girolamo ultimo Conte di Piagnano, dichiarò di essere il legittimo proprietario della Rocca. Il Commissario prese possesso dell’edificio, nominando tuttavia Annibale Oliva castellano e custode della Rocca, in attesa di verificare i suoi eventuali diritti. Il governo di Piagnano fu affidato al Signor Giulio Cesare Segni, governatore di Rimini, che lasciò come Vicario un Notaio suo rappresentante. Vennero quindi pubblicati Bandi con i quali tutti dovettero riconoscere il padrone dello stato nel Pontefice e la Santa sede. Nella stessa giornata la cerimonia si ripeté a Piandimeleto. A Piagnano dopo la devoluzione, continuò a risiedere il ramo principale degli Oliva; ramo che pur non conservando né il Feudo né il titolo comitale, trasmise il nome e parte del patrimonio fino a Maria Virginia, figlia di Annibale Oliva (1631-1671) che a 17 anni andò in sposa a Federico Gozi, facente parte di una famiglia di antica nobiltà sammarinese. L’asse ereditario confluì quindi nella casa Gozi di San Marino. Il Catasto di Piagnano formato nel 1772, per incarico del Comune al geom. Pietro Belli, assegna ai signori Gozi alcune proprietà fra cui tre case coloniche (castello – strada – colombara), il palazzo d’abitazione compreso di giardino e prato. La rocca non fa parte dei beni allodiali e, nel 1779, la Reverenda Camera cede il sito con ruderi e grotta, in enfiteusi perpetua, alla Famiglia Rattini. Girolamo Gozi nato a Piagnano nel 1793 vi risiedette abitualmente e vi morì nel 1870. Di Girolamo Gozi resta traccia in una lapide in suo ricordo nella Chiesa parrocchiale di San Salvatore. Con i figli e i nipoti poco interessati a Piagnano, la proprietà viene progressivamente smobilitata.
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