Castello di Pettino (o Castiglione) – Campello sul Clitunno (PG)
Cenni Storici
Situato 1.074 s.l.m. sul versante orientale del monte Serano (1.426 m) in un antico testo chiamato anche “Pictinus” (Pettino), l’etimologia del nome potrebbe rifarsi al greco “Petino“: uccello.
I primi abitanti, probabilmente di origine greco-pelasgica, si sono insediati ai piedi del Serano.
Non si conoscono le fasi costruttive della fortificazione del Castiglione, né la data della sua erezione, ma si presume che questa sia avvenuta intorno al XIII secolo e altrettanto si presume che questa fortificazione sia stata eseguita dalla famiglia Gentili, primi feudatari, che in quei tempi aveva vasti possedimenti sull’altopiano e per difenderli dalle mire di Spoleto pensò ad una solida struttura di difesa.
Infatti nel 1314 Spoleto invase Pettino che fu incendiato e abbandonato dai suoi abitanti tanto che il Comune di Trevi nel 1394 richiamò cercò di richiamarli affinché coltivassero le terre e facessero rifiorire l’altopiano e per evitare altre razzie mise venti uomini armati affinché proteggessero i contadini e le loro terre.
Le polemiche con Pettino avevano una loro precisa ragione nella difesa dell’integrità del districtus spoletino, collegate, peraltro, allo sfruttamento delle risorse montane, soprattutto quelle derivanti dal possesso dei pascoli.
Pettino rappresentava una lontana propaggine del dominio trevano che si insinuava all’interno della giurisdizione spoletina.
E proprio con il Comune di Trevi, Spoleto ebbe numerosi contrasti sui territori confinanti.
Nel frattempo i Gentili, feudatari della zona nel 1379 si erano impegnati a ricostruire le torri del castello con l’obbligo verso il comune di mantenerle e custodirle.
La custodia della torre era affidata a due persone che ricevevano un salario mensile di tre fiorini d’oro al mese ciascuno.
I Gentili ritenendo tale obbligo troppo gravoso supplicarono il Comune di poter vendere le torri, casaloni, case ed altre pertinenze, per 20 fiorini d’oro, ai signori Gioachino, Francesco, Vicorbano e Tomasso del sig. Simone Manenteschi che ebbero il mandato della comunità di riadattarle.
Stessa sorte toccò alla torre del Castiglione che custodiva al suo interno anche l’antica chiesa locale.
Le terre passate ai Manenteschi furono acquistate o affittate dagli abitanti originari alla cifra di 150 fiorini di cui una parte andava al mantenimento delle cose comunitarie amministrate da massari e un camerlengo eletti tra i residenti una volta l’anno.
I forestieri non solo non avevano diritto al voto, ma era anche vietato di comprar le terre in Pettino, di lavorarle, di edificarvi le case e di estrarvi il grano sotto pena di scudi 50, come ancora di abbeverare i bovi nelle fontane se non pagata una certa somma all’Università.
Il Castiglione di Pettino nel 1419 contava numerose famiglie raccolte sotto la guida spirituale della chiesa castellare di Sant’Angelo.
Nel 1499 Pettino fu riconosciuto come quinta e ultima balìa del terziere di castello, anche se aggregato a Trevi fino ad allora non era riconosciuto come entità territoriale distinta.
Tra il XIV secolo ed il successivo la zona fu dominata da famiglia del luogo, i Manenteschi.
Due capitani appartenenti alla famiglie Francesco e Vicourbano, nel 1427 tentarono di farsi signori di Trevi, ma furono catturati e uccisi dal popolo, le loro terre furono sequestrate e le case distrutte.
Nel 1513 alla morte del papa Giulio II, gli spoletini si organizzarono in armi e mossero verso Trevi con i quali avevano da sempre covato ostilità per motivi di confini e arrivarono alle mura della città distruggendo e bruciando quanto incontravano, inoltre distrussero i mulini e il primo di marzo si inoltrarono fino a Pettino dove razziarono bestiame e saccheggiarono il paese e il territorio.
Riguardo alla situazione demografica possiamo dire che a Pettino nel 1432 vi erano 54 famiglie originarie, 42 nel 1544, 110 nel 1632 per arrivare nell’anno 1724 quando se ne contavano soltanto 8.
Fra i personaggi di spicco si ricorda Francesco di Simone della nobile casa Manenteschi detto “da Pettino” per avere qui molti possedimenti; fu un valoroso soldato di Braccio da Montone, prefetto dei genovesi e di Martino V; venne trucidato il 29/8/1427, insieme al fratello Vicourbano e la sua armata, da Pietro Gaviglia castellano della torre e delle guardie di Trevi, mentre tentava un assedio per di impossessarsi della città e diventare signore di Trevi.
Le loro terre furono confiscate e le case scaricate.
Una altro personaggio illustre è Melchiorre della famiglia dei signori Minerva, detto anche Barnabeo da Pittino, che grazie al suo coraggio, nell’anno 1439 Spoleto lo elesse capitano generale di 300 cavalieri e 200 fanti a servizio della S. Sede per sterminare Corrado Trinci per privarlo del dominio di Foligno che deteneva.
Nell’organizzazione comunale del Regno d’Italia Pettino fu frazione di Trevi fino al 2 novembre 1925, quando un Regio Decreto ne sancì il distacco e il contestuale passaggio al comune di Campello sul Clitunno.
Verso la fine del XIX secolo le famiglie del posto fondarono l’Università Agraria di Pettino allo scopo di poter sfruttare meglio il territorio.
L’istituzione è ancora oggi in vita, e amministra i beni comuni attraverso la Comunanza Agraria che gestisce una superficie complessiva di ha 838,22 di cui la superficie forestale è di ha 394,36 mentre il pascolo e il cespugliato copre 438,34 ha.
Nel 2003 si costituì la pro loco di Pettino allo scopo di valorizzare il territorio dal punto di vista culturale e ambientale.
La valle di Pettino è segnalata dall’ENEA per il suo valore naturalistico, principalmente per la presenza di una estesa lecceta mista con caducifoglie, tra le meglio conservate (molto compatta) e più rappresentative (dal punto di vista floristico) dell’Umbria.
Delle varie feste che venivano celebrate, rimane ancora oggi la Festa di San Paterniano, che si celebra tutti gli anni il 10 luglio o la domenica successiva.
In occasione di questo evento, confraternite in costume e semplici pellegrini (provenienti da Pettino e dalle vicine Cammoro e Orsano) si dirigono verso la chiesa omonima, dove si trova, nelle vicinanze, anche una fonte ritenuta miracolosa.
Di origine più recente sono la Festa della montagna e la Sagra della lenticchia.
Aspetto
Visto dall’alto, il paese si presenta in cinque gruppi di case sparse.
Arrivando da Campello le prime case prendono il nome di Colle, subito dopo c’è il Palazzo, il Castiglione, Fiorenzuola e Bregnole.
Nella parte più a monte del paese si possono vedere vaghi resti di un ampio fortilizio.
Questa struttura era imponente, infatti i ruderi abbracciano una larga estensione tanto da circondare tutta la cima del colle su cui sorge.
Fino a qualche anno fa erano ancora presenti dei brandelli di mura nella parte alta, oggi purtroppo si scorge solo pietrame sparso.
In cima al fortilizio è stata posizionata una croce a ricordo dell’antica chiesa castellare di Sant’Angelo.
Attorno al paese, oltre al menzionato Serano, vi sono i Monti Carpegna (1334 s.l.m.) e Vergozze (1331 m s.l.m.).
Castelliere di Monte Serano
Già nel 1982 lo studioso Francesco di Gennaro durante un sopralluogo inviava alla Soprintendenza archeologica per l’Umbria una lettera in cui segnalava la presenza di un castelliere delimitato da due recinti concentrici sulla vetta del monte Serano.
Tale deduzione era avvalorata da ritrovamenti di impasti di argilla, vasellame e ceramica non tornita venuti alla luce durante gli scavi per il posizionamento dei paletti dei recinti del bestiame.
Tali reperti furono attribuiti ad una frequentazione dell’area nella tarda età del bronzo.
Nel 2006 a ridosso del Castelliere preistorico è stato costruito un osservatorio meteorologico che ha in parte occupato l’area del castelliere.
Chiesa dei SS. Quirico e Giulitta
La prima chiesa del territorio, come detto, era all’interno del Castello e dedicata a Sant’Angelo, poi, una volta che il castello è andato in rovina il nuovo edificio fu ricostruito nella piana in una posizione centrale rispetto ai cinque gruppi abitati.
La data di edificazione del nuovo edificio dedicato a San Quirico e Giuditta (nel codice Pelosius detto S. Chierico) è incerta, si sa però che è stata soggetta a diversi ampliamenti e ricostruzioni, l’ultima delle quali risale al 1871 per volere del cappuccino Padre Bernardo Maria da Pettino.
Secondo il Natalucci, storico di Trevi, la struttura versava in pessime condizioni tanto che fu restaurata nel 1723 grazie all’insistenza di mons. Anton Francesco Valenti che vi fece affiancare la casa per il parroco.
L’edificio esisteva già nel 1577 quando per la sua cura versava libre 122.14 aumentate poi a 127.10; il semplice beneficio in onore di S. Martino era jus patronato de’ signori Contucci con l’obbligo di una messa il mese.
La chiesa è da sempre il punto d’incontro degli abitanti della frazione.
Nel paese l’unica festività che si svolge ancora con solennità, arricchita da processione, è quella dei santi patroni Quirico e Giulitta che cade il 15 luglio ma a volte viene spostata nella domenica successiva.
Aspetto esterno
La chiesa presenta una facciata con tetto a capanna sul cui lato sinistro si eleva un massiccio campanile che spartisce l’edificio sacro dalla casa parrocchiale.
Il portale squadrato è sovrastato da un’oculo circolare.
Interno
La chiesa con una semplice navata con copertura a botte, presenta un impianto cinquecentesco con rifacimenti, ampliamenti e restauri di epoche successive, l’ultimo dei quali è testimoniato da un’iscrizione al centro di una tabella dipinta sulla parete destra che recita:
“Questa Chiesa fu restaurata e decorata a spese del Parroco Medei Don Giovanni, con contributo della Comunanza e il generoso concorso dei Parrocchiani. A.D. 1952. DECORÒ SOC.TÀ COOP.vA PITTORI FOLIGNO“.
L’interno è scandito in campate da semipilastri e arconi.
Le pareti sono decorate da motivi geometrico-floreali realizzati a stampini, i pilastri presentano decorazioni a finti marmi e le cornici degli archi sono ingentilite da motivi nastriformi di ispirazione rinascimentale.
I tre altari sono dedicati: quello di sinistra a Sant’Antonio Abate, quello di destra alla Madonna e quello centrale ai Santi Quirico e Giulitta.
Alla sinistra dell’ingresso vi si trova un’acquasantiera in pietra e all’inizio della parete destra un fonte battesimale anch’esso in pietra riferibile al secolo XVI.
Sulla parasta un dipinto rappresenta un cartiglio che ricorda una data del restauro del 1952 fatto da Don Giovanni Medei.
Segue l’altare della Madonna sovrastato dalla statua della Vergine mentre alla destra dell’altare c’è la statua di Santa Rita da Cascia e a sinistra su un piedistallo la statua della Maddalena orante.
Nella parete sotto l’arco vi è dipinto una Corona in una croce di luce.
Sull’altare maggiore sono conservate le statue dei due santi titolari, madre e figlio infante martirizzati nel IV secolo, qui raffigurati stanti con la palma del martirio; queste campeggiano in una struttura a forma di tempio.
Sulla volta la colomba dello Spirito Santo contornata da angeli di cui due in primo piano reggono un festone con la scritta: GLORIA IN EXCELSIS DEO.
Sulla parete sinistra del presbiterio è collocata la tela di modesta fattura raffigurante la Madonna Addolorata: la Vergine in atteggiamento orante è circondata dai simboli della passione di Cristo e affiancata da un Angelo che in volo sostiene un cartiglio con la scritta EIA MATER FONS AMORIS.
In basso a destra, sotto una piccola veduta di città caratterizzata da una porta urbica e da un’architettura a pianta centrale, è la dedica in caratteri corsivi:
“Fece Fare MARIA CHIACCHIERINI DAL PITTORE DRC“.
Scendendo nella parete sinistra troviamo l’altare di Sant’Antonio abate con una statua che lo rappresenta con il bastone, la campanellina, un libro nella mano destra e l’immancabile maialino ai suoi piedi; su una mensola a destra dell’altare una statua di Sant’Antonio da Padova.
Nella parete sotto l’arco vi è dipinto il Sacro cuore in una croce di luce.
Nello spazio successivo della parete una nicchia contiene un confessionale.
In controfacciata la cantoria su un ballatoio sorretto da mensole e due colonne mentre nella volta d’ingresso compare un mazzo di gigli in un fascio di luce portano la scritta: MATER PURISSIMA.
Chiesa di Sant’Emidio
Chiesa di S. Emidio: situata in località Colle, risale al XVIII sec..
Fu voluta dai Conti Valenti di Trevi.
Il Natalucci riferisce che la Chiesa di S. Emidio è ius patronato dei signori Valenti; risulta ben fornita ed adornata; ha un solo altare costrutto nel 1743 in onore del medesimo santo dal conte Giacomo di tale famiglia.
Attualmente è aperta solo in occasione della ricorrenza del Santo Patrono il 24 agosto festa di Sant’Emidio.
Nella parete esterna si nota un piccolo campanile a vela e una lapide che ricorda l’attribuzione all’edificio alla famiglia Valenti e l’anno di edificazione, il tutto sovrastato dallo stemma dei Valenti.
All’interno troviamo una minuscola navata con una parete d’altare adornata con una grande tela che raffigura la Madonna tra le nuvole con il Bambino in grembo e ai suoi piedi Sant’Emidio e altro Santo Vescovo.
Nella controfacciata si intravedono tracce di una decorazione floreale e nella parete destra una piccola campanellina e un acquasantiera con una vistosa decorazione.
Fonti documentative
Durastante Natalucci – Historia Universale dello stato Temporale ed Ecclesiastico di Trevi – 1745
AAVV – Spina e il suo territorio Storia Ambiente e tradizioni Popolari – Pro Loco Spina di Campello a cura di Giuseppe Guerrini e Luigi Rambotti
Mario Tabarrini – L’Umbria si racconta; Dizionario – 1982
http://www.protrevi.com/protrevi/serano.asp
Mappa
Link alle coordinate Chiesa dei SS. Quirico e Giulitta: 42.863368 12.816923
Castiglione: 42.861336 12.819830
Chiesa di Sant’Emidio: 42.862945 12.812468
Castelliere del monte Serano: 42.866032 12.799783