Castello di Melonta o Castellaccio – San Venanzo di Orvieto (TR)
Cenni Storici
Nella tavoletta IGM (1: 25.000) il sito viene denominato Podere Castellaccio.
Nell’elenco dei siti archeologici del comune di San Venanzo, in località Cannella il Podere Castellaccio ospita una struttura di fortificazione.
Quasi certamente il toponimo sta ad indicare i resti imponenti del castello di Melonta, appellativo quest’ultimo che deriva dal vicino rilievo.
Nel 1895 fu fortuitamente rinvenuta sulla cima del Monte Melonta la metà spezzata di un disco in pietra di circa 75 cm., recante un’iscrizione incisa, frammentaria:[than]achvil nuzarnai.
Non si hanno ulteriori dati di rinvenimento e manca una ricognizione scientifica dell’area, in cui scavi clandestini hanno peraltro rintracciato materiali dal periodo tardo villanoviano all’arcaismo; la tenue indicazione topografica è tuttavia sufficiente per collocare il reperto in un punto significativo del paesaggio antropico della zona.
Il Monte Melonta domina infatti dall’alto dei suoi 623 m.l.m. il medio corso del torrente Chiani, che scorre immediatamente ai suoi piedi a 210 m.l.m. nel paesaggio particolarmente stretto e tortuoso che permette alle acque oggi incanalate della val di Chiana meridionale di confluire nel Paglia ai piedi di Orvieto.
In altre parole il monte si colloca in posizione centrale e ben visibile in un passaggio obbligato e difficile nella via naturale di collegamento Sud-Nord tra il sistema del Tevere-Paglia e il sistema del Chiana-Arno.
L’iscrizione è stata datata tra VI e V sec. a.C.
Il nome Melonta prende origine dalla conformazione del luogo:
*mel
Radice indoeuropea *mal / *mel / *mlo = emergere, innalzarsi
Latino moles = ammasso
Celtico *mello = collina, * molos = mucchio
Sardo millone = monumento, mucchio di sassi
Albanese mal = monte
L’intera area ha avuto una forte colonizzazione etrusca, e anche qui ne restano tracce, vista anche la sua vicinanza alla più importante città della zona, Volsinii attuale Orvieto, dove sorgeva il famoso santuario dei popoli etruschi, quel Fanum Voltumnae, più volte citato da Livio; vista la sua potenza ricordiamo che Orvieto fu l’ultima città etrusca a cedere al dominio romano, quando ormai la conquista del territorio umbro era definitiva.
Nel 1292, all’interno del contado di Orvieto, Melonta appartiene al piviere di Montelungo.
Nel XIV secolo è un possesso dalla casa Monaldesca: Pepo di Pietro Novello di Monaldeschi del Cane viene detto signor di Melonta e Bagni.
Come riportato nelle “Historie” di Cipriano Manenti, le Riformanze, riportano che nel mese di novembre fra le spese dell’anno 1347 è ricordata la demolizione della torre che era di proprietà dell’Arciprete Monaldo Monaldeschi, del palazzo del Visconte Trevinano e della torre di Melonta.
“pro diruendo turrim que olim fuit Archipresbiteri et palatium viscontis de Trevinano et turrim Melonte et actandum Turrim Montis” (Rif. ad an., c. 11).
Questa decisione fu presa in seguito ad un attacco sferrato contro la città di Orvieto da parte dei Monaldeschi della Cervara compiuto in una di notte di maggio del 1347 con l’aiuto della fazione dei Beffati provocando morte e devastazione nella città.
Nel 1391 nel mese di ottobre il castello fu messo al sacco dai Bretoni e nel 1467 è ancora in mano ai Monaldeschi.
Il 7 giugno 1559 la nobile famiglia Pollidori di Orvieto comprò la tenuta del castello di Melonta con il dominio e la giurisdizione, dal “nobili set provvidus vir” Agesilao Monaldeschi.
Nella prima rappresentazione a stampa del territorio orvietano del 1583 di Egnatio Danti per Monaldo Monaldeschi della Cervara il castello di Melonta viene rappresentato su di un poggio a nord del torrente Mucaione.
La fortificazione compare nella successiva carta del Magini e in quella del 1640.
All’interno del “Catasto Tiroli” di Orvieto (1764-1768) conservato presso l’archivio di Stato di Roma a S. Ivo a La Sapienza è presente una mappa di Melonta.
Aspetto
I ruderi del castello appaiono ancora imponenti nonostante che la maggior parte della fortificazione sia andata perduta; si nota comunque l’ampia estensione territoriale che occupava, infatti i resti di fabbricati sono sparsi per tutta la collina facendo capire che doveva trattarsi di un agglomerato urbano di notevoli dimensioni.
Sono leggibili, nella folta boscaglia che vi è cresciuta attorno, ancora brandelli di imponenti mura nella parte sommitale, sicuramente riferite al mastio del castello, nonché cisterne intonacate per la raccolta delle acque e civili abitazioni provviste anche di piccoli annessi utilizzate come stalle.
Sono reperibili qua e la cocci e vasellame vario di uso domestico e tra il pietrame sparso si notano numerosi frammenti di laterizi utilizzati per le coperture dei tetti e pietre ben squadrate.
Alla base del castello proprio a ridosso delle mura nella parte est, un fabbricato isolato fa pensare ad un edificio di culto, forse una chiesa che con il tempo poi è stata soppalcata e adattata a civile abitazione; la facciata, con la porta affiancata da due finestrelle tipiche degli edifici di culto che permettevano ai viandanti di osservare l’immagine sacra quando la porta era chiusa, fa proprio pensare all’uso a scopo di culto della struttura, anche se all’interno non resta traccia del suo passato sacro.
Purtroppo tutto il complesso è rovinato completamente e il sito è diventato una cava di pietre pronte per la costruzione di altri edifici anche a notevole distanza.
Stando ai racconti dei vecchi i carrettieri facevano la spola per il trasporto del pietrame e come se non bastasse l’area è stata ripetutamente battuta da ricercatori abusivi alla ricerca di tesori e antichi monili.
Ora il bosco fa da padrone e la fitta vegetazione ha quasi completamente reso invisibile il manufatto.
Nota
Il testo è stato realizzato da Marcello Labate che ringrazio.
Fonti documentative
Dell’historia di Casa Monaldesca. Nella quale si ha notitia di molte altre cose accadute in Toscana, & in Italia – Gioseppe degl’Angeli, Ascoli Piceno 1580.
Breve historia sopra l’albero, et vite delli Signori Monaldeschi d’Orvieto, cavata dall’historia, & dall’albero di Pietro Alberigo, et Scipione Amirato, & altri autori, e scritture – Pietrogiacomo Pietrucci, Perugia 1582.
Monaldo Monaldeschi della Cervara, Commentari historici sui particolari successi della città di Orvieto (rist. anast. Venezia, 1584).
E.- Orvieto à la fin du XIII siècle. Ville et campagne dans le cadastre de 1292 – Parigi, 1986. Carpentier
F. Bianco – Il Liber de confinibus di Orvieto (1278) – in Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria, vol. CXIII, fasc. I-II, tomo I. Perugia 2016.
Armando Cherici – Sui dischi-donario di Monte Melonta, Orvieto, Pieve a Socana e sulla via del Falterona - in Annali della fondazione per il museo “Claudio Faina”, Vol. IX, Orvieto 2002, pagg. 581-584.
Estratti dalle “Historie” di Cipriano Manenti – 1920 tratte dal sito : https://archive.org/details/rerumitalicarums1551murauoft/page/446/mode/2up?q=Melonta&view=theater
Sitografia
Siti archeologici ed elementi del paesaggio antico, comune di San Venanzo, in www.umbriageo.regione.umbria.it
orvieto.fandom.com
Oronimi in www.robertobigoni.it