Castello di Massa Fermana (FM)
Cenni Storici
Massa Fermana nella storia e nelle personalità.
Studio di NEPI Gabriele
Massa Fermana è un comune di 990 abitanti (anno 2012) e il suo centro abitato si trova a m.349 sul livello del mare.
Fa parte dell’Archidiocesi di Fermo.
Come per molti altri paesi del Piceno anche l’origine di Massa si perde nella notte dei tempi.
La più antica memoria scritta risale al secolo XI, quando il suo castello era compreso nella giurisdizione ecclesiastica dei vescovi di Fermo, e sotto il dominio di alcuni signori, collegati con Fermo[1].
Le mura e torri, che un tempo difendevano Massa, danno la dimostrazione della sua potenza, dell’importanza strategica e politica del castello nel contesto delle lotte tra i vari signori della Marca.
Alcuni baroni aggiunsero al proprio nome quello di Massa e la prova è data da un sigillo, rinvenuto presso le mura castellane, su cui risultavano il nome di Fidesmondo da Massa e uno stemma.
Un altro sigillo delle XIII secolo, reca il nome di Guglielmo da Massa, turbolento, feroce oppressore del paese.
Egli, con le sue continue violenze, costrinse la popolazione del castello a chiedere la protezione di Fermo.
I Fermani, nel 1252, ottennero un atto di sottomissione e che il castello e il suo territorio fossero sotto la giurisdizione dello Stato Fermano.
Gli eredi suoi ed altri signori restarono con Fermo, ma talora cercavano vantaggi tra i ghibellini. Nell’anno 1256, il Rettore della Marca Anibaldo di Trasmondo concesse il perdono per riappacificarli con la Chiesa, ai dissidenti della zona tra cui: Gentile da Mogliano, Ruggero da Falerone, Guido da Sant’Angelo, Fidismondo da Monteverde, Claudio da Petriolo, Anselmo da Smerillo, Gualtieri da Loro e Andronico da Montevidone Corrado e i signori di Massa[2].
Ottennero poi i privilegi della parte guelfa dal papa Niccolò IV marchigiano nativo da Lisciano di Ascoli (1288-1292) con la conferma dei loro possedimenti e titoli.
Nel XIII secolo avvennero varie spartizioni di eredità che indebolirono la potenza dei signori di Massa in discordia fra i componenti (pergamena 1674 dell’anno 1314).
Questi perdettero il castello di Carassai, che fu venduto al Comune di Fermo, il castello di Gabbiano venne distrutto dai nemici della famiglia medesima e scomparve.
Nel 1327 i notabili di Massa vollero rinnovare la dedizione del castello a Fermo con un nuovo atto di che sancisse una unione più stretta, a tale scopo, l’allora sindaco del paese, Tebaldo di Jacopo, venne inviato presso i Priori di Fermo per stipulare il documento concordato che venne ufficialmente redatto il 27 marzo dello stesso anno (pergam. 1678).
Massa poté costituirsi a libero comune, e godere dei privilegi ed esoneri fiscali connessi con la perpetua cittadinanza Fermana, secondo lo Statuto dei Fermani e con l’onore di cui si fregia tuttora.
I cittadini di Massa poterono così sottrarsi all’odiata dominazione di signori di varia estrazione e il paese legò il suo futuro alla città di Fermo.
Successivamente, quando Fermo venne colpita dall’intervento del pontefice Giovanni XXII (1316-1334) per avere aderito all’impero e all’antipapa Niccolò V, e quando la città venne oppressa dalle dominazioni di Mercenario da Monteverde, di Gentile da Mogliano, di Rinaldo da Monteverde, anche Massa dovette subire gli stessi soprusi.
Nell’anno 1379 i Fermani, di conseguenza anche gli abitanti di Massa, riacquistarono la piena indipendenza con l’aiuto di Ancona, Recanati e Camerino.
Nel 1396 però Massa cercò di sottrarsi dalla tutela fermana, già soggetta a signorie crudeli; anzi alcuni facinorosi provenienti da Mogliano e da vari altri castelli saccheggiarono il 27 maggio parte della città.
Si giunse alla riconciliazione il 12 luglio per amnistia concessa dal papa Bonifacio IX.
Fermo comunque riuscì, con accorta politica, a tenere legato a sé il castello di Massa anche durante la signoria imposta da Ludovico Migliorati dal 1406, in avversione al papa Gregorio XII.
Il 23 ottobre 1413 Massa fu recuperata da Carlo Malatesta, difensore del legittimo Papa, in un’epoca di due antipapi.
Nel 1418 poi fu assalita dai militari di Braccio da Montone.[3] Il territorio di Massa subì scorrerie da parte dei soldati del capitano Francesco Sforza, divenuto, nel 1433, signore di Fermo dopo aver conquistato gran parte della Marca e sconfitto gli eserciti pontifici.
Liberatisi dal dominio sforzesco, i Fermani si posero sotto l’egida della Chiesa e il pontefice Eugenio IV (1431-1447) confermò allo Stato Fermano e ai suoi castelli tutte le franchigie di cui godevano. Massa ebbe però la quiete che desiderava ma, come altri castelli, fu flagellata nel 1460 una triste pestilenza.
All’inizio del XVI secolo, due nuovi tiranni s’impadronirono di Fermo: Oliverotto Eufreducci e poi successivamente il nipote Ludovico.
Il primo fu fatto strozzare dal duca Valentino a Senigallia nel 1503 perché sospettato di tradimento nei confronti dello stesso Borgia; il secondo venne ucciso nel 1520, nei pressi di Fermo, in una battaglia combattuta contro le porte del vescovo Nicolò Bonafede.
Sotto il pontificato di Paolo III (1534-1549) Fermo, nel 1537 perse il ruolo di capoluogo, dato a Montottone come Stato Ecclesiastico nell’ Agro Piceno, ottenne nel 1547 la restituzione dei diritti. Nel 1538 Massa definì con atto pubblico i suoi confin con Montegiorgio (pergam 1680).
I Fermani nel 1550, per evitare alla città stessa di ricadere nelle mani di tiranni e di fazioni, chiesero e ottennero di essere governati da un parente prossimo del Papa.
Gli abitanti di Massa talora non furono pienamente soddisfatti del governo fermano, ma non ricorsero mai alla violenza né si ribellarono; pertanto goderono di un lungo periodo di pace e di tranquillità.
Nel 1797 giunsero a conquistare le Marche le truppe napoleoniche che tornarono nel 1808 a imporre il Regno napoleonico d’Italia.
Nella nuova organizzazione politica e amministrativa il castello di Massa venne unito o “appodiato” al municipio di Montappone.
Nel 1816, con il ritorno del governo pontificio, gli venne restituita all’autonomia comunale.
Nel settembre del 1837, a Massa esplose un’epidemia di colera che durò solamente 14 giorni, ma provocò 25 morti.
Caso veramente eccezionale per quei tempi, il morbo non venne riscontrato in nessun altro comune della provincia; esso rimase circoscritto al territorio di Massa, e inoltre non si poterono stabilire le cause che lo provocarono.
Molto importante fu per Massa Fermana il convento di San Francesco, in origine dedicato alla SS. Annunziata, eretto in un declivio del colle denominato Monte Stalio, circondato, a quel tempo, da una vasta selva.
La tradizione vuole che a scegliere tale luogo per costruirvi il convento, fossero San Francesco stesso con i suoi compagni Masseo e Ruffino, verso l’anno 1215, ed è certo che venne costruito con il generoso concorso degli abitanti di Massa.
Nella riforma francescana qui i frati Minori seguirono l’Osservanza della Regola predicata da San Bonaventura, San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capistrano, San Giacomo della Marca e da altri insigni per santità e cultura.
Nel corso dei secoli vennero celebrati in questo cenobio alcuni capitoli provinciali dell’ordine francescano e il convento stesso ottenne privilegi spirituali da vari pontefici.
Carlo Crivelli a Massa Fermana
Nella seconda metà del ‘400, il pittore veneto Carlo Crivelli, dopo essere stato alla scuola dello Squarcione ed avere avuta chiara conoscenza e stima del Mantegna, emigrò nella parte meridionale della Marca d’Ancona, e, facendo la spola tra Ascoli e Fermo, ebbe a lavorare o per conventi di religiosi o per famiglie patrizie.
Rare volte uscì dalla consueta disposizione dei polittici, ma la sua mente fu sempre in moto alla ricerca della più delicata varietà, rimanendo amabilmente ingenuo e commosso osservatore della natura, sempre intenta a sbocciare e a fiorire i suoi profumati e coloriti prodotti.
Cambiò il tipo delle sue Madonne come se una successione di impressioni della ricca avvenenza femminile scuotesse a mano a mano il suo cuore avido di quelle contemplazioni, imprimendo ad esse ora una grazia soave ora un senso di severità e di fissità malinconica che affila i lineamenti, mentre le mani virginee sfiorano carezzevoli e protettrici il Bambino.
Nei quadri laterali alternò papi e vescovi, contriti ma ieratici, in ricchi piviali, a vecchi monaci emaciati dalle mortificazioni; vergini pudiche e gentili; a giovani santi baldi ed abbigliati, mentre nel timpano circondò di donne, o sfigurate da uno spasimo o sfiorate da un dolore pacato, il cadavere di Cristo sedente nel sepolcro.
Con colori armoniosi, che hanno carattere netto e puro come smalto giapponese, arricchì le stoffe di arabeschi; cinse di perle il collo delle immagini, incastonò gemme nei diademi; levigò i marmi verdi e violacei dei troni; fece scintillare le limpide ampolle iridescenti deposte sui gradini, con schegge di diaspro, e recanti i gambi dei fiori in vasi; distese ricchi festoni di frutta usati in alto a completare il preziosismo decorativo.
Diede grande valore alla linea che rimane nitidamente dura, senza sperdersi nelle sfumature del chiaroscuro; ma in quella secchezza seppe far lampeggiare vivide sensazioni.
Tutte queste qualità peculiari di Carlo Crivelli si riscontrano nel superbo polittico, firmato e datato 1468, che si ammira nella chiesa prepositurale di Massa Fermana proveniente da San Silvestro in quel comune, commesso al Crivelli, secondo Amico Ricci, da un conte fermano Azzolino, opera considerata come la più antica della serie marchigiana.
La parte superiore è costituita da tre cuspidi residue delle cinque originarie; al centro è l’Ecce Homo, emergente dal sepolcro, dal volto macilento e dalle membra scarne.
Nei pannelli laterali è raffigurato l’evento della Annunciazione che si svolge negli interni di un castello dalla merlatura ghibellina; a destra: l‘Arcangelo Gabriele dalle ali screziate in stato di volo e dalle vesti e dalle chiome svolazzanti; a sinistra: la Madonna dal verginale viso e dalle diafane mani piegate.
Il complesso mediano è formato da cinque quadri colorati nel terzo inferiore e dorati nella parte superiore.
In quello centrale si staglia la Madonna col Bambino, raggomitolato nell’ampio manto materno, voltata di tre quarti, seduta in un trono sormontato da due saporose frutta.
Nel viso ovale di lei è soffusa una serena spiritualità.
Nei quadri laterali di destra, sono il papa S. Silvestro in ricchi paludamenti pontificali e S. Francesco con i segni delle stigmate, in quelli di sinistra S. Lorenzo in dalmatica e S. Giovanni Battista coperto di vello.
Nella predella si susseguono, da sinistra verso destra, distribuite in quattro piccoli pannelli, con accentuato movimento e con intensa espressione patologica l’Orazione nell’orto, la Flagellazione, la Crocifissione, la Resurrezione.
In tutto il politico, realizzato con forti contrapposizioni cromatiche, con nobili accenti di carattere e di vitalità e con squisito senso di eleganza nel definire le sagome delle figure, le movenze, gli ambienti, è diffuso il senso di plasticità notevole e ieratica del Crivelli, pur nelle accentuazioni naturalistiche della scuola romana.