Castello di Coceto – Magione (PG)
Cenni Storici
L’origine del nome Coceto, sembra che derivi dal latino cocetum, una mistura composta di miele, latte e semi di papavero.
Il castello si trova ubicato alle sorgenti del torrente Formanuova, affluente di destra del Càina, sul fianco occidentale di Monte Rapille, a mezza costa, il fortilizio si trovava a 432 metri sul livello del mare, in una zona di media ed alta collina, a metà strada tra Perugia e il Trasimeno che nell’ultimo secolo, ed in particolare negli ultimi anni ’40, ha vi sto spostare decisamente a Sud il proprio baricentro sociale economico e demografico, fino a determinare l’abbandono, pressoché totale dell’alta collina che, da sola, rappresenta i due terzi del territorio preso in considerazione.
Importanti reperti etrusco-romani trovati negli anni ’30 dimostrano la forte antropizzazione di questa zona che raggiunse il suo apice nel periodo tardo medioevale, almeno a partire dal 1200, con la costituzione di due importanti comunità, Coceto, e successivamente il Castello di Antrìa, che rappresentavano i veri fulcri dello sviluppo economico e sociale del territorio, con popolazioni che gravitavano prevalentemente al centro di questa grossa area boscosa e un po’ impervia, attraversata però da una antichissima via di comunicazione che collegava il Pian di Carpine (Magione) con La Valle del Niccone e l’alta Valle del Tevere.
Era questa una strada di fondovalle che costeggiando il torrente Formanuova fino alla sua sorgente, arrivava sotto le mura del castello di Coceto, immergendosi in una valle florida, densamente abitata e ricca di case, di molini e di fornaci; nel 1361 si ha testimonianza della presenza di un mulino per i cereali ubicato in prossimità del nucleo abitato, sul Fosso di Coceto.
A metà del suo percorso c’era anche un grosso centro abitato: “Villa Colognolae” o “Colognola“, oggi cancellata e definitivamente scomparsa, ma molto citata nei documenti fino a tutto il 1500.
Coceto, situato ai piedi di Monte Rapille, conosciuto con il nome “l Muracci“, aveva un’economia legata all’agricoltura, al pascolo e allo sfruttamento del bosco, sola la zona più a valle era disboscata e destinata all’agricoltura.
Il castello immerso nella vegetazione boschiva, un tempo dominava la viabilità dell’alta valle torrente Formanuova per un lungo tratto; fu edificato intorno ai secoli X-XI e nei secoli XII-XIII vi si sviluppò la schiatta nobiliare degli Scarinci che, in alcuni documenti, sono indicati con il termine generico di lombardi.
Questo ceppo doveva essere in origine una famiglia di ministeriali dei marchesi e che di tale posizione avevano approfittato per ritagliarsi un’autonoma e un certo potere; infatti in un documento dell’Abbazia di Valdiponte si parla “di Scarincio vessconte, al servizio dei marchiones nel territorio di Colognola, presso Rance“.
Un primo documento in cui compare il nome del castello risale almeno al 1174 quando Scarincio de Tacito (Coceto) è tra i testimoni ad un atto di donazione a S. Maria di Valdiponte; altri contenziosi o atti riguardanti i rapporti tra gli Scarinci e Valdiponte si protraggono fino alla metà del XIII secolo.
Il castello compare anche nel “Libro dei Banditi” del Comune di Perugia dal momento che fu riportata una condanna inflitta a tre residenti in Coceto.
Il nucleo abitato, appartenente al Contado Perugino di Porta Sant’Angelo, era dotato di apparato difensivo fin dal secolo XII, anche se in alcuni documenti successivi non sempre appare indicato come castello, infatti in varie epoche è stato considerato “Villa” (1258) mentre nel 1260 è attestato come castello e paga 21 corbe, stessa definizione la troviamo nel 1282 con 22 fuochi per una popolazione che doveva aggirarsi intorno ai 100 abitanti, mentre nel 1438 ritorna ad essere definito “Villa” con 21 fuochi.
Nel 1410 vi abitavano 150 persone, ma dal 1439 alla fine del ‘400 nonostante torni ad essere un Castello, ha un sostanziale calo demografico, infatti nel 1501 ha solo 4 fuochi corrispondenti una popolazione di una ventina di persone circa.
In questo stesso periodo ebbe inizio anche il degrado del nucleo abitato e delle sue difese, dovuta anche al diffondersi di un’epidemia di peste nera, degrado che dovette giungere a compimento nei primi secoli dell’età moderna.
La ruralizzazione del secondo ‘500 e del ‘600 dovette far riaffluire braccia in questa zona tra i monti; nel 1656, infatti, vi si contano 66 anime.
Coceto risulta abbandonato a cominciare dalla fine del 1700, lo storico G. Fabretti ci dice che già a metà 1800, il castello non aveva più le antiche torri e buona parte delle mura di cinta.
Lungo la fiancata del monte Rapille si notano in mezzo al bosco i ruderi di due grandi casali abitati fino al dopoguerra poi abbandonati per lo spostamento degli abitanti della collina verso le zone industrializzate della valle.
Aspetto
Nonostante il suo originario sviluppo e la rilevante importanza strategica che aveva all’inizio, la sua struttura è oramai ridotta a pochi brandelli di mura e il residuo di una torre nella sezione nord-ovest, mentre il resto degli edifici sono crollati nella ripida scarpata sud-est; il tutto è oramai avvolto nella boscaglia incolta e coperto da ginestre e rovi.
Ad oggi è anche difficilmente avvicinabile, tanto è fitto il sottobosco cresciuto sui ruderi.
Chiesa di Sant’Agnese o Sant’Enea
Di pertinenza del castello vi era la chiesa intitolata a Sant’Agnese, (correttamente Sant’Enea) ora scomparsa; esisteva già verso la metà del XIV secolo, ed era allora membro della Chiesa Priorale, ossia Canonica della SS. Trinità di Preggio, è iscritta per 60 libre, come si accerta da antico catasto che si conserva nell’archivio del Monastero di S. Pietro.
Alla stessa data oltre alla detta chiesa, dedicata a S. Agnese, si ha menzione di un’altra chiesa, al di fuori dell’area castellana, intitolata a S. Angelo di Monte Rapille e dipendente dall’abbazia di Campo Reggiano.
Nel catasto del 1489 (Il, reg.32, c.294v.) la proprietà fondiaria della chiesa è suddivisa in 10 particelle, per una stima complessiva di 110 libre grosse.
Nell’anno 1500 formò il catasto particolare dei suoi beni.
La chiesa di Sant’Enea fu soppressa nell’anno 1826 e quattro anni dopo tutti i beni che le appartenevano passarono alla parrocchia di San Donato di Borgo Giglione, comprese le campane che furono collocate nel campanile di questa chiesa.
La chiesa di San Donato è tuttora esistente.
Personaggi illustri
Presumibilmente nella seconda metà del 1600, a Coceto, sarebbe nato Ippolito Lemmi detto da Coceto, un frate Minore Osservante e pìttore.
Secondo Giuseppe Fabretti, che si rifà alla pubblicazione dell’editore Sgariglia di Foligno del 1778, il frate avrebbe realizzato a Santa Maria degli Angeli tutti i quadri delle Via Crucis, all’interno della Cappella di San Diego, e due quadri posti negli ovali laterali dell’altare, all’interno della Cappella di S. Antonio da Padova; ad oggi però, a distanza di oltre due secoli, e probabilmente in conseguenza del disastroso terremoto che nel 1832 fece crollare la navata centrale della Basilica, la disposizione dei dipinti risulta cambiata e non siamo in grado di dire se quel terremoto mandò in rovina alcune produzioni del pittore.
Sicuramente di Ippolito è un’opera datata 1710 è visibile al centro dell’altare della prima Cappella di sinistra dedicata a San Diego dove campeggia una grande tela rappresentante il Santo che guarisce i malati con l’olio sacro della lampada della Madonna.
Nella Cappella di Sant’Antonio Abate al suo interno, in alto, a fianco dell’altare, esistono due ovati dipinti con affreschi probabilmente sono quelli riferiti al frate pittore.
Forse allo stesso appartengono anche i bellissimi quadri relativi alla Via Crucis che si trovano lungo la navata laterale sinistra della Basilica e che possono essere fatti risalire a quelli notati alla fine del 1700 all’interno della Cappella di San Diego.
Curiosità
Oltre all’allevamento del bestiame, diversi abitanti dell’area di Coceto ed in particolare della vicina zona di Antrìa, si erano specializzati nella concia delle pelli e della preparazione del cuoio tant’è che una lapide sulla parete della chiesa di Antrìa ricorda la concia rinomata di Giovanni di Buonamici che era funzionante nel castello.
Persiste ancora nei pressi di Coceto il toponimo “Concia“, riferito proprio alla presenza in loco di tale occupazione.
Strettamente legata a questa attività, i più anziani del luogo ricordano ancora come, fino agli ultimi anni ’20, le donne della zona andavano nei boschi per recuperare la corteccia fresca delle querce tagliate dai boscaioli; la corteccia veniva poi venduta a Perugia e serviva per ricavarne una sostanza adatta a conciare le pelli.
Anche questo modesto commercio, specifico di questa realtà, serviva al sostentamento nei periodi difficili.
Fonti documentative
Gian Pietro Chiodini – Villantria e il suo territorio; notizie e documenti storici sui paesi di: Villa, Soccorso, Antrìa, Collesanto, Coceto, Borgo Giglione e i centri minori – 1989
Alberto Grohmann – Città e territorio tra medioevo ed età moderna (Perugia, secc. XIII – XVI) Tomo II: Il territorio – 1981
Sandro Tiberini – Le Signorie Rurali nell’Umbria Settentrionale Perugia e Gubbio, secc. XI-XIII – 1999
Francesco Raggetti e Silvio Sorcini – Perduti nel tempo, Castelli in rovina nei territori soggetti a Perugia nel Medioevo Volume III – Parte seconda – 2022
http://www.magionecultura.it/default3.asp?active_page_id=168&idL=36 articolo di Giovanni Riganelli
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