Castello di Caprara – Gualdo Tadino (PG)
Cenni Storici
Non ci dilungheremo in notizie storiche del castello ma ci limitiamo solo a dire che la costruzione della fortificazione appartiene al conte della Branca Manno di Corrado, feudatario che intorno al 1300 edificò il castello di Caprara.
La fortificazione negli anni seguì le sorti del castello di San Pellegrino di cui era satellite. Vogliamo in questa pagina invece parlare del più grande avvenimento che successe nella sottostante vallata che cambiò le sorti stesse dell’Italia, parliamo della battaglia tra Goti e Romani e che aprì le porte al dominio Longobardo.
LA BATTAGLIA DI TADINA (Giugno 552)
La battaglia tra il nuovo generale bizantino Narsete ( Eunuco ) e il re dei Goti Totila avvenne sulla pianura antistante a Gualdo Tadino che una volta era esteso ai piedi del colle.
Viene narrata diffusamente da Procopio , egli era stato segretario e consigliere legale del predecessore di Narsete, Belisario che aveva seguito nelle varie battaglie precedenti dal 535 al 552.
Quando l’Imperatore Giustiniano, sostituì nel 551 Narsete per concludere la guerra in Italia, Procopio restò a Bisanzio, ma egli era informato dalle notizie ufficiali. Lo afferma all’inizio dell’opera storica in 8 libri.
L’analisi del testo greco e la localizzazione topografica della battaglia è stata accuratamente fatta da Gino Sigismondi nucerino che fa da preziosa guida all’esposizione dei seguenti fatti storici.
I PRECEDENTI
Nel 551 Narsete eletto da Giustiniano capo del corpo di spedizione per liberare l’Italia dai Goti, passò col suo esercito in Dalmazia, traversò il Veneto.
A Verona eluse lo scontro con Teja e raggiunse la città di Ravenna.
Ivi le sue truppe si riunirono con i rinforzi arrecati da altri due comandanti, Valeriano e Giustino e insieme raggiunsero Ariminum, ove i Goti si erano asserragliati per impedire l’avanzata fortificando il ponte di Augusto sul Marecchia.
Dopo breve scontro, lo stesso comandante del presidio, Usdrila perse la vita.
Narsete trascurando la difesa di Rimini per non perdere tempo prezioso, e raggiungere presto il forte dell’esercito di Totila e impegnarlo in una battaglia campale, proseguì la sua marcia.
Passando per Fanum Fortunae Narsete sapeva come la Via Flaminia era presidiata dai Goti e come sarebbe stato impossibile traversare il « Forulum » di Petra Pertusa fortemente presidiato, scelse perciò di attraversare l’Appennino in una via secondaria, anche se più disagiata, più sicura da insidie.
Tra i diverticula sopra descritti, il più accessibile era la valle del Cesano, raggiungere Suasa (S. Lorenzo in Campo), Pergula e la pianura di Sentinum.
E’ qui il probabile accampamento bizantino, da quanto deduce il Sigismondi, che Procopio dice lontano da Taghina 100 stadi.
Calcolando circa m. 185 a stadio, per la via di Helvillum (passo dell’Appennino tra Sassoferrato e Fossato di Vico) i 100 stadi corrisponderebbero a circa 25 km. che è la distanza tra Santinum e Tadina.
Anche Totila Baduila, assoldando più truppe che poté, dopo avere aspettato Teja con la sua cavalleria, anche se mancava ancora l’arrivo di 2000 cavalieri, levò il campo da Roma prendendo la Via Flaminia.
Non sapeva dove il nemico si sarebbe fermato, ma lungo la strada conobbe il diverticulum che Narsete aveva preso, perciò anche lui aspettò allo sbocco di Helvillum.
Qui, nella pianura antistante Tadina egli scelse il luogo della battaglia.
PREPARATIVI DI ATTACCO
Quivi lo raggiunse un’ambasceria di Narsete che lo invitava ad arrendersi perché non avrebbe potuto resistere a lungo contro tutte le forze dell’Impero dei Romani. Al suo sdegnoso rifiuto, gli ambasciatori gli chiesero di fissare il giorno della battaglia, e Totila rispose che avrebbe combattuto fra otto giorni.
Narsete invece, fiutato l’inganno, per evitare ogni sorpresa si fece trovar pronto per il giorno appresso nella pianura tadina, scegliendo la parte orientale pedemontana per esser difeso alle spalle.
Infatti il giorno dopo anche Totila aveva schierato tutto l’esercito in ordine di battaglia.
Nell’ala sinistra dei romani c’era una collina accessibile per mezzo di un sentiero, punto strategico che avrebbe potuto vulnerare alle spalle i soldati romani. Per evitare questo possibile aggiramento nemico, di notte tempo, Narsete fece occupare la collina da una semicenturia di scelti e compatti arcieri veliti, che avrebbero respinto ogni passaggio nemico.
Tra i due campi, che erano distanti circa 100 stadi tra loro alla distanza di non più di due tiri di freccia. Al centro del campo di battaglia scorreva un ruscello, che probabilmente è il fiume Ràsina e il torrente Sciola, affluenti del Chiascio, che hanno una direttrice lungo la Flaminia.
Tutto il mattino passò senza iniziare la battaglia, poiché Totila aveva intenzione di temporeggiare perché attendeva che giungessero gli altri 2000 cavalieri guidati da Teja.
A mezzogiorno, fece indietreggiare alquanto il fronte, per distribuire il rancio ai soldati, e appena che essi ebbero mangiato, li fece schierare di nuovo, in faccia al nemico.
Narsete invece aveva distribuito il rancio senza rompere le righe ordinando che fossero sempre all’ertà ad un improvviso attacco.
DISPOSIZIONE DEGLI ESERCITI
Stavano tutti di fronte gli uni agli altri tanto da rendere più profondo e più esteso possibile lo schieramento. Narsete e Giovanni occupavano l’ala sinistra dei Romani vicino alla collina e insieme con essi il fior fiore dell’esercito romano.
Oltre agli altri soldati infatti dietro ambedue c’erano un gran numero di lancieri, di scudieri, e gli Unni barbari, scelti secondo il merito.
Sull’ala destra erano schierati Valeriano e Giovanni Fahas insieme con Dagisteo e tutti gli altri romani.
Circa 8000 arcieri, a piedi della truppa regolare dei soldati furono collocati su ambedue le ali, 4000 da una parte e tanti dall’altra.
Nel centro dello schieramento Narsete pose i Longobardi, gli Eruli e tutti gli altri barbari, dopo averli fatti scendere dai cavalli e stare a piedi affinché non accadesse, che se fossero diventati vili nella battaglia o volontariamente codardi, potessero mettersi in fuga.
Narsete dispose ad angolo l’estremità dello schieramento sinistro dei Romani dopo avervi collocato 1500 cavalieri.
Diede poi ordine a 500 di essi, se avvenisse che alcuni dei Romani improvvisamente fuggissero, di venir subito in loro aiuto, e agli altri 1000, che appena attaccassero battaglia i fanti nemici, di aggirarli immediatamente alle spalle e prenderli in mezzo.
Totila invece aveva disposta la cavalleria al centro per sfondare l’attacco dei fanti nemici, e dietro lo schieramento dei fanti con l’ordine di non adoperare che le lance, a differenza dei bizantini che usarono tutte le armi secondo il bisogno: spade, lance, frecce, giavellotti, a cavallo o a piedi, avanzando o ritirandosi per fermare l’impeto con gli scudi e aggirare, secondo le necessità.
Stavano i due eserciti di fronte gli uni agli altri tanto da rendere più profondo e più esteso possibile lo schieramento.
Entrambi i comandanti percorrevano avanti e indietro il propri schieramenti, animando i soldati e con la presenza e con le parole li esortavano al coraggio, ma né l’uno, né l’altro per un certo tempo incominciavano la battaglia.
LA BATTAGLIA
Totila cavalcando uno splendido cavallo, andava facendo esercizi come alla giostra con grande abilità in mezzo ai due eserciti: indossava un’armatura tutta laminata d’oro ed era tutto ornato dall’elmo alla lancia di bendoni e pendagli di tanta porpora quanta si ammira in un re… facendo queste cose passò le ore del mattino… (e dopo aver distribuito il rancio) Fattili tutti indossare di nuovo le armi al completo come conviene a soldati, subito scagliò l’esercito contro i nemici, credendo di assalirli all’improvviso e perciò vincerli.
(Narsete li aveva fatti mangiare in piedi schierati) le truppe furono schierate, per ordine di Narsete in forma di mezzaluna.
I cavalieri dei Goti, invece lasciati dietro di sé i fanti, forti soltanto delle lance, con impeto cieco andavano all’attacco, e arrivati allo scontro, colsero il frutto della loro follia.
Scagliatisi infatti contro il centro dei nemici, si trovarono senza accorgersene nel mezzo degli 8000 arcieri, colpiti da ambedue i lati dalle frecce contro di essi e si persero subito di coraggio: gli arcieri infatti, a poco a poco avevano piegato a semicerchio ambedue le ali dello schieramento.
I Goti perciò in questo assalto, persero molti uomini e molti cavalli prima ancora che si scontrassero con i nemici, e avendo subite molte e irreparabili perdite, tardi e a stento arrivarono nello schieramento dei nemici.
Retrocedendo la cavalleria, travolse anche la fanteria gota che la seguiva, provocando la ritirata in massa con l’inseguimento incalzante dei bizantini, e l’accerchiamento della cavalleria che li richiuse ai lati, 6000 goti rimasero sul campo e molti consegnarono se stessi ai nemici.
I soldati romani approfittando del loro terrore, senza alcuna pietà uccidevano sempre quelli che incontravano, senza che si difendessero o osassero alzare gli occhi, mentre si arrendevano ai nemici perché ne disponessero a loro discrezione, tanto la paura si era impadronita di loro e il terrore li dominava.
La battaglia durò tutto il pomeriggio fino a notte e finì quando già si era fatto del tutto buio.
Totila stesso ferito a morte, si ritirò a stento fuggendo con 5 uomini per 84 stadi (circa 15 km.) fino alle alture di Caprara (Caprae), qui il drappello si fermò per curare le ferite del re Totila, il quale non molto tempo dopo cessò di vivere.
Allora quelli che lo seguivano, dopo averlo ivi sotterrato, si allontanarono. Così finirono il dominio e la vita di Totila che aveva regnato sui Goti per undici anni.
La tradizione indica il luogo della sepoltura di Totila in un boschetto detto di « Sepolcretto, Palazzetto di Totila ».
Procopio aggiunge anche che o fu sepolto in fretta senza armi, o ne fu spogliato al sopraggiungere dei Romani che ne fecero la ricognizione del cadavere, e l’armatura fu portata a Bisanzio come trofeo di vittoria.
EPILOGO STORICO
Sconfitto Totila a Tadina (giugno 552), le città umbre innalzarono il vessillo della « respublica romana ».
Il successore Teia, regnò pochi mesi (nell’ottobre fu ucciso a Pavia). Nel 553 Narsete rioccupò tutta l’Italia. Ma nel 567 fu richiamato a Costantinopoli da Giustino II, e rimasto a Napoli, vi morì nel 573. La storia poi ci racconta che approfittando di questa nuova carenza di governo bizantino, altri barbari più potenti invasero l’Italia i Longobardi.
Fonti documentative
A. Fabbi – Antichità Umbre – Pontificio Seminario Regionale Assisi 1971
U. Giacometti – San pellegrino di Gualdo Tadino – Gualdo Tadino 2000
Da vedere nella zona
Chiesa di San Cristoforo – Caprara
Chiesa di Santa Maria di Scirca – Purello
Chiesa di San Pellegrino – San Pellegrino di Gualdo Tadino