Castello di Biscina – Gubbio (PG)
Cenni Storici
Le origini del castello restano sconosciute, nemmeno le origine del nome sono note, si suppone che il termine Biscina derivi dal fiume Chiascio sottostante che in quel tratto assume un corso tortuoso tanto da farlo sembrare una “biscia”.
Il nome stesso nel corso dei secoli è stato scritto in diverse forme che qui ricordiamo:
Bisina, Bissina, Biscina, Byscina, Bescina, Pisina, Pissina, Piscina, Pisscina, Pesina.
Dal 975 al 1345, insieme a Giomici, Petroia, Peglio, Collalto, Valcodale e Mondoglio, era feudo dei Bigazzini di Cooccorano che, in qualità di piccoli sovrani, dominavano tutta la valle del Chiascio battendo anche moneta.
Nel 1258 Ugolino Albertini Signore di Coccorano, sottomette alla città di Perugia i suoi castelli del territorio eugubino tra i quali quello di Biscina.
Dai conti di Coccorano, il castello passò a un loro discendente, Giovanni (chiamato appunto di Biscina), uomo senza scrupoli e di carattere violento.
Nel 1345 Giovanni divenne sovrintendente della fabbrica di San Lorenzo di Perugia; morì assassinato nel 1352; qualcuno dice da un suo figlio illegittimo, altre fonti attestano il delitto ad alcuni contadini del castello di Caresto.
Nel 1356 il castello era sotto la Chiesa Romana che dopo averlo restaurato, fu donato da Innocenzo VI ne fece dono al famoso giureconsulto perugino Baldo degli Ubaldi e ai figli Francesco e Zenobio.
Passò quindi tra le proprietà, del genero un certo Giovanni Tolomei di Siena.
Nel 1360, Il castello di Biscina, di Giovanni da Siena, per la distrazione di una guardia notturna che si era assentata per amoreggiare con “la vaga“, fu conquistato da un gruppo di uomini che fecero azioni di guerriglia contro Gubbio.
Soldati del castello di Colpalombo lo riconquistarono poco dopo e lo restituirono al Comune di Gubbio.
Nel 1360 passò da Giovanni da Siena al francese Piero Bramonte, infine, come lascito testamentario toccò all’ordine religioso di S. Antonio di Vienna.
1379, «In questo anno era padrone di Biscina fra Giovanni di Guidotto Gran Maestro di S. Antonio del Regno di Napoli.
Frà Giovanni mise il feudo sotto la protezione di Perugia, obbligandosi a mandare ogni anno per la festa di S. Ercolano, un pallio di seta del valore di 12 fiorini d’oro.
I magistrati di Perugia si obbligavano come contropartita a difendere lui e gli abitanti del feudo».
Dopo la breve parentesi sotto la pertinenza di fra Giovanni di Guidotto da Pistoia gran maestro dei Cavalieri di Sant’Antonio nel 1383 divenne feudo dei Gabrielli di Gubbio che ne rivendicarono il possesso in quanto un Gabrielli aveva sposato la sorella del conte Giovanni di Filippo di Biscina.
Il 23 settembre 1388 nel castello di Biscina, alla presenza di Baldo di Rinaldo II Brunamonti della Serra, Cante II Gabrielli ricevette la comunicazione ufficiale da due ambasciatori inviati dal conte Antonio da Montefeltro che il castello era sotto la giurisdizione del Comune di Gubbio e, quindi, ricadeva sotto il governatorato del conte di Urbino.
Nel 1431 passò sotto Guidantonio da Montefeltro.
Numerosi sono i documenti raccolti circa l’elezione dei capitani, dei castellani, le spese di restauro, di fortificazione, dei corrieri, tutte spese a carico del Comune di Gubbio.
Il castello di Biscina risulta abitato almeno fino al mese di settembre del 1420 da Ludovica di Cante.
A seguito però degli eventi dal 1419-1420 dovette rientrare anch’esso tra i beni espropriati dal Conte di Urbino ai ribelli della famiglia e concessi a uomini di comprovata fedeltà; primo fra tutti Bernardino della Carda, che, subentrò temporaneamente ai Gabrielli dal ramo di Frontone.
Alla morte di Luigi nel 1466, la proprietà della Biscina passò a Federico dei Porcelli figlio di secondo letto dl Checca nonché parente più prossimo di Luigi, morto senza eredi legittimi.
Da una causa civile (1552) per diritti di successione fra eredi avviata da Pierleone dei Porcelli di Carbonana, vengono escussi vari testimoni (Federicus de Castro Biscine, Berardinus Antonii, Sante Simonis de Castro Fratticciole, Alovisantonius de Saxoferrato) dai quali si apprende che nel 1467 era già di proprietà di Alovisius Francisci de Actis di Sassoferrato (fratello di Donna Checca Francisci, de Actis e moglie di Jacobus de Porcellis di Carbonana).
Alovisius Francisci de Actis è signore di Biscina nel 1467 e muore nel 1470 senza figli legittimi.
Ha un solo figlio, Berardino nato da una sua relazione con una donna coniugata di nome Magdalena.
In questo anno (1480) avvenne un episodio che fu determinante per i signori del Castello di Biscina. Berardino, il figlio spurio di Alovisius Francisci de Actibus de Saxoferrato, mentre ritornava a Biscina da Urbino, ove aveva una occupazione nella Corte del Duca Federico, si rifocillò in una “osteria” presso Ponte Riccioli.
Qui lo attendeva in un agguato Grifone dei Baglioni di Perugia, che, con un “giannettone“, preso da uno dei suoi 12 uomini di scorta, colpi Berardino; questi si salvò grazie ad una “corazzina“.
Galasso, guardia di Berardino, vedendo a terra il suo padrone, con un colpo di “partigiana” uccise Grifone Baglioni.
Berardino capì immediatamente gli effetti che il suo gesto avrebbe prodotto per cui fuggì a Cantiano, e da qui comunicò al Duca Federico II da Montefeltro l’accaduto; questi provvide a farlo trattenere e trasferire poi nella Rocca di Gubbio.
Braccio I Baglioni, padre dell’ucciso, uno degli uomini più potenti dell`epoca e persona di poche parole, minacciò di distruggere il castello di Biscina e di uccidere Federico de Porcellis, “consobrino” di Berardino.
Il Duca Federico da Montefeltro, non volendosi inimicare i Baglioni, molto diplomaticamente, espropriò Federico de Porcellis del Castello di Biscina, prese sotto la sua giurisdizione il castello e mandò Berardino presso alcuni suoi amici di Milano.
Promise la permuta del castello di Biscina con quello di Moncerignone, in territorio di Montefeltro, o, in tempi migliori, la restituzione.
Nel 1482 muore a 60 anni, a Ferrara, Federico da Montefeltro.
Gli succede il figlio Guidobaldo da Montefeltro di 10 anni, che fu affidato alle cure di Ottaviano degli Ubaldini, e fu sollecitato più volte da Federigo Michelangioli Federici (nipote di Federico Jacobi de Porcellis) a restituire il castello avito.
Gli eredi del castello di Biscina tra i quali soprattutto Michelangelo di Carbonana, ritornano alla carica per definire il diritto sul loro castello.
Ma nel gennaio 1497 nella lotta tra l’esercito della Chiesa e gli Orsini, il duca Guidobaldo da Montefeltro marito all’epoca di Elisabetta Gonzaga, fu fatto prigioniero, tra Bracciano e Sutri e fu rinchiuso nella Rocca di Soriano.
La taglia iniziale per la sua liberazione fu esorbitante: 10.000 ducati d’oro e 2 castelli uno dei quali era Biscina.
In molti sì adoperarono per il suo riscatto.
La somma pattuita non fu così pesante come all’inizio ma fu necessario vendere molti beni per disporre di questa cifra.
Si offri allora Messer Bartholomeo Bartolini di Roma, che in cambio della Biscina «dette salvo el vero 2000 ducati» ottenendo anche proprietà nei dintorni come Can grecale, el Ponte de Madonna; proprietà che «al momento attuale valgono almeno vinte milia ducati».
Nel salone d’onore, il 6 luglio 1498, venne firmata la pace fra il Comune di Perugia e Guidubaldo che poneva fine alla grave controversia sorta fra le due parti per il possesso della torre di Coccorano.
Il 10 marzo 1499 Guidobaldo da Montefeltro, riconosciuti i notevoli meriti, “dona”, il castello di Biscina a messer Bartolomeo Bartolini “Castrum, sive Fortilitium Biscinae positum inter confinia Perusiae et Eugubinae Civitatum, cum Arce, Palatio, Domibus, Terris, Possessionibus, Poderibus .cultis et incultis, arativis et prativis, nemoribus, silvis, vineis, molendino, turribus, domibus, in dicto Mplendino, et supra illud existentibus, aquarum decursibus, fornacibus, capannis et aliis domibus, etiam illis, quae vulgariter nuncupantur l’Ostaria della Biscina, et toto eius territorio et districtu, ac omnibus juribus et pertinentiis illius… etc.”, e lo nomina Conte.
Morti il Conte Bartolini e il suo unico figlio Ippolito, che morì nel 1560 durante un torneo per onorare le sue nozze nel castello di Biscina, colpito per errore da una lancia scagliata da Pier Domenico Reali, il feudo di Biscina passò alla sorella del conte Bartolomeo, Costanza, che aveva sposato il conte Roberto della Branca.
Costanza, rimasta vedova e senza figli, andò ad abitare con la sua sorella Francesca che aveva sposato Giammaria della Porta, conte di Frontone.
Costanza, rimasta vedova e senza prole, con testamento datato 1° gennaio 1570, lasciò la proprietà al nipote Giano I Della Porta.
Con testamento del 1 gennaio 1570 Costanza lascia il feudo di Biscina al nipote Giulio I della Porta figlio della sorella Francesca e di Giovanni Maria I Della Porta, segretario particolare di Francesco Maria I della Rovere che nel 1530 gli aveva anche donato il castello di Frontone.
Giulio Della Porta nel 1589 acquistò dal cognato conte Orazio di Carpegna, marito di Laura Bartolini (sorella di Francesca) il palazzo Della Porta per 3300 scudi.
Orazio di Carpegna assunse nel 1615 il comando di 3000 soldati nella spedizione militare in Piemonte inviata dal duca Francesco Maria II della Rovere.
La contea di Biscina appartenne ai conti della Porta dal 1570 al 1920; Giovanni Maria IV, ricoprì la carica di presidente della Cassa di Risparmio di Gubbio dal 1892 al 1899.
Il castello di Biscina fu acquistato nel 1950 dall’ing. Aldo Tamai che lo rilevò da una Società Immobiliare Svizzera.
Nel 1972, deceduto l’Ing. Aldo Tamai , è passato al figlio Stefano che con molta competenza ha provveduto al suo restauro.
Il castello ha subito ingenti danni durante il terremoto che ha colpito il comprensorio nel 1984 e dal 2007 ed è stato oggetto di un progetto di restauro totale a carico dei nuovi proprietari (i sigg. Frondizi, Manuali e Ciaccasassi); l’edificio è stato destinato ad una riqualificazione come albergo-centro congressi.
Lo stesso è inserito nel “Percorso Francescano” che collega Assisi a Gubbio.
Oggi i lavori si sono fermati e sta vivendo un lento declino; in un fabbricato adiacente c’è la direzione di una Azienda Agraria omonima specializzata nell’allevamento di bestiame.
Aspetto
“Sorge alla sommità di un colle dal quale si domina un lungo tratto del fiume Chiascio.
Le dimensioni e la complessità dell’impianto, risultato di aggiunte successive, nonché il grado di lavorazione della pietra utilizzata, fanno del castello di Biscina uno del più Importami insediamenti militari dei dintorni. Protetto verso l’esterno da solide muraglie caratterizzate da poche e minime aperture, e dalla stessa torre possente e altissima, si apre invece verso l’interno con una maggiore articolazione dei prospetti che affacciano sulla corte.
Il prospetto nord del castello è forse il lato più compatto e impenetrabile: ben due torri dell’impianto originario proteggono l’ingresso alla corte.
A destra la maggiore ancora intatta, coronata da merli guelfi, a sinistra quella che rimane della seconda torre attualmente coperta a tetto“. (A. Vagnarelli)
San Francesco e il castello di Biscina
Secondo alcuni studiosi nelle vicinanze del castello di Biscina pare sia avvenuta l’aggressione da parte di alcuni briganti a San Francesco che spogliato delle vesti e fuggito da Assisi, vocato a nuova vita si dirigeva verso Gubbio.
L’episodio narrato dalle Fonti Francescane e da Fra Tommaso da Celano, che qui riportiamo integralmente, pare sia avvenuto intorno all’anno 1208 ed il monastero di cui si parla e che lo ospitò potrebbe trattarsi di quello di Caprignone, oggi scomparso, ma esistente a fianco alla chiesa ai tempi del Santo.
Riportiamo integralmente il testo del racconto fatto da Fra Tommaso da Celano discepolo di San Francesco.
“Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese.
Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia.
L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro: “Sono l’araldo del gran Re; che vi importa?”.
Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo: “E tu stattene lì, zotico araldo di Dio!”.
Ma egli, guardandosi attorno e scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose.
Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero di cucina.
Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio.
Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera tonaca.
Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli”.
Fonti documentative
P. L. Menichetti – Castelli, Palazzi Fortificati, Fortilizi, Torri di Gubbio dal secolo XI al XIV – 1979
1998 – Itinerari del Sacro in Umbria a cura di Mario Sensi – Il Sentiero Francescano da Valfabbrica a Gubbio – Anna Rita Vagnarelli
D. Amoni – Castelli, Fortezze e Rocche dell’Umbria – Quattroemme 2010
S. Merli e A. Augenti – Il Castello di Carbonana: Storia Archeologia Arte – 2016
Fausta Casolini Traduzione di: Fra Tommaso da Celano: Vita di San Francesco d’Assisi e Trattato dei Miracoli, Vita Prima , Parte Prima Capitolo VII (Come preso dai briganti fu gettato nella neve e come si diede a servire i lebbrosi) – Porziuncola 1976