Casa di San Domenico – Capodacqua di Foligno (PG)

La casa non esiste più, ma la devozione popolare ha accatasto le poche pietre rimaste come memoria e ha trasportato quella principale nella chiesa parrocchiale.

 

Cenni storici

Domenico da Foligno (+ 1031), detto pure di Cucullo o di Sora, luoghi dove viene particolarmente venerato, vide la luce a monte Colfornaro (ora di San Domenico), località di Capodacqua, figlio di Giovanni dottore in Legge ed Apa o Ampa, sotto il pontificato di Agapito II, regnando l’Imperatore Ottone I e li visse fino alla fanciullezza.
Sulla cima di quel monte che sovrasta l’abitato di Capodacqua, ancora oggi esistono i ruderi di una antica costruzione che, secondo la tradizione, fu la casa della famiglia di San Domenico.
A seguito del recente terremoto che ha sconvolto l’Umbria e le Marche, sono caduti anche le ultime porzioni di muro, tant’è che, ormai quello che resta si può vedere dalle foto della galleria.
La pietra di un muro, segnata da una croce, alla quale si sarebbe appoggiata la madre del Santo, all’atto di partorirlo, mentre era sola in casa, è stata portata nella chiesa parrocchiale dove è ora esposta in una nicchia della parete sinistra.
Su san Domenico ci sono pervenute due Vite: una scritta, forse intorno al 1067, da un suo discepolo, di nome Giovanni, cui ha allegato una raccolta di miracoli, l’altra, firmata dal retore Alberico di Montecassino, fu compilata intorno al 1060 per correggere alcune inesattezze trovate in un precedente lavoro, perduto.
Dette Vite, concordano nel dire che Domenico nacque a Foligno, ancora molto giovane, entrò nel mondo monacale di San Benedetto, e ricevette gli ordini minori nel monastero di S. Silvestro “curasero“, posto nei pressi del guado del fiume Topino, sulla sponda opposta al sito dove era stata eretta la tomba del martire Feliciano.
Dell’antico monastero, non c’è più traccia e non ci sono notizie certe sulla sua ubicazione.
Lo Iacobilli riferisce che, mentre all’epoca in cui scrive (1628) il monastero è dentro la città , con il titolo di S. Spirito, ai tempi di Domenico, si trovava fuori dalle mura.
Il giovane Domenico Ben presto si staccò dalla sua famiglia e dalla terra natia nella quale non mise più piede pur avendo vissuto per più di 80 anni, lasciò quindi il monastero, forse perché, al pari di s. Romualdo e s. Giovanni Gualberto, aveva subito l’influsso negativo dalla vita rilassata di quei monaci; girovagò per la Sabina, finché, approdò in un luogo detto “S. Ammone” o “la Pietra del Demonio” nel monastero di S. Maria.
A 23 anni nel 974 prese i voti e divenne effettivamente monaco benedettino ed infine sacerdote e, dopo aver raggiunto la perfezione eremitica nella vita cenobitica a Montecassino, con il permesso del proprio abate salì sulla vetta di un monte per vivere da eremita.
Operò nell’Appennino Abruzzese e in Ciociaria, da nord verso sud, fino alla Campania e dopo aver girato per trovare un luogo che gli assicurasse solitudine e raccoglimento, giunse a Cocullo.
La gente del posto era molto povera e dormiva in rozze capanne o all’aperto.
Frequenti erano i casi di persone morsicate da serpenti e da vipere di cui la zona era piena, com’è piena tutt’ora.
San Domenico operò molti miracoli liberando poveri disgraziati che erano stati morsi dalle vipere o da cani rabbiosi, liberò anche alcune donne che, dormendo in aperta campagna, avevano avuto il latte materno succhiato dalle serpi.
Quando se ne andò da Cocullo contro la volontà popolare, le persone gli chiesero di lasciare una reliquia e lui lasciò un suo dente a protezione contro i morsi di animali rabbiosi, velenosi o pericolosi.
San Domenico morì il 22 Gennaio 1031 all’età di 80 anni e mezzo.
Al santo è riconosciuta una forte capacità e taumaturgica e terapeutica conto il mal di denti ma soprattutto conto il morso dei cani e dei serpenti velenosi, che alla sua presenza perdono la loro aggressività ecco perché devozionalmente gli abitanti di Cocullo lo cingono di serpi durante la processione in onore del loro santo protettore.
La festa dei serpari a Cocullo è sicuramente la più famosa celebrazione folcloristica in Abruzzo e allo stesso tempo la più misteriosa dato che l’origine stessa del rito è ancora incerta.
La devozione per San Domenico, protettore dal morso dei rettili, si intreccia con il rito arcaico dei “serpari“, manipolatori dei serpenti.
La figura dei serpari ha origine dal “ciarallo“, una figura sacra molto radicata nell’Italia meridionale nel tardo medioevo.
Il ciarallo esercitava proprie tecniche segrete di cattura e di maneggiamento dei serpenti.
Oggi i serpari conservano dei loro predecessori le antiche tecniche, ma la figura sacrale si è mutata in una forma laica di partecipazione al rito e rispetto della natura.
Quello di Cocullo è un evento in cui le usanze pagane si fondono con la tradizione cristiana, del resto, la tradizione ofidica ha origini pre-cristiane, nella zona della Marsica, allorchè esisteva il culto per la dea Angizia, considerata la dominatrice dei serpenti.
Gli abitanti di Cocullo nutrono una profonda devozione per il loro Patrono, tant’è che anche gli emigrati in Canada, celebrano la festa il giorno 1 luglio, a Mary Lake (Ontario).
La comunità di Capodacqua custodisce una reliquia di San Domenico, costituita da un frammento di osso e da un frammento della mitria abbaziale.
 

Le leggende

II Calcione
Trentacinque anni dopo la morte di San Domenico, un importante uomo di lettere, il monaco Alberico, venne incaricato di scrivere la Vita di Domenico dai monaci di Montecassino.
Egli si recò a Sora nel 1067 (San Domenica era morto nel 1031) e incontrò gli anziani monaci che avevano vissuto con San Domenico.
Tra i vecchi monaci, c’era il vecchio Giovanni che era stato affidato a San Domanico da ragazzo, lo aveva sempre seguito come un discepolo ed era vissuto con lui fino all’ultimo dei suoi giorni; Giovanni ora era in età molto avanza, quasi decrepito, sdentato e balbettante.
Tra le notizie che Giovanni raccontò ad Alberico, una é questa: quando era ormai anziano, oltre ai doni offerti dai contadini locali, San Domenico riceveva omaggi anche da importarti Signori: una Signora di nome Giseltrude, moglie del Nobile Signore Randisio di Valva, portava a San Domanico dei doni in cibo, tra cui, in particolare, un dolce che la gente chiama CALCIONES, (calcione), che era fatto in forma di lune comicolate.

Le fave fiorite
San Domenico, perseguitato da alcuni uomini malvagi fu costretto a fuggire da quel territorio.
Con la sua mula, giunto davanti a un vasto campo, dove un contadino stava seminando le fave, San Domenico disse a quell’uomo: “Se tra poco giungeranno qui degli uomini armati e ti domanderanno di me, rispondi loro di avermi visto mentre seminavi le fave
Va bene!” rispose il contadino, e San Domenico si rifugiò con la mula in un casolare che sorgeva poco lontano.
Dopo un poco, ecco subito arrivare un gruppo di scalmanati con spade e bastoni.
E’ forse passato di qui un monaco con una mula?” domandarono subito al contadino che lavorava.
Si” rispose questi, “quando è passato, io ero appunto a seminare lì le fave“, e volgendosi, accennò loro la parte del campo già seminato.
A quel cenno, gli uomini si voltarono a guardare e, oh meraviglia! Videro le fave, allora seminate, nate, cresciute e tutte fiorite.
Anche il contadino a quel prodigio, restò a bocca aperta e pieno di stupore.
Confusi allo spettacolo di quelle fave fiorite, quegli uomini tornarono al loro paese e cessarono di molestare San Domenico.
(da Debenedetti, Quaglia — I miracoli di San Domenico — Sora – 1959)

Il Farro
(dalla “Vita di San Domenico da Fuligno“, P.Gasparo Spitilli, 1604)
Dopo aver fondato il Monastero di San Pietro, vicino a Villalago, San Domenico si ritirò in eremitaggio alla falda del monte Argoneta, in un luogo detto Plataneto.
Qui, San Domenico, il Servo di Dio, tanto amico della solitudine, si costrui da se stesso una piccola cella e in essa un altare ad onore della Santissima Trinita.
Dal Monastero di San Pietro gli mandavano ogni settimana alcuni determinati pani che appunto gli bastavano a mantenere il meglio che si poteva la debolezza della natura.
Ma le Domeniche, e le altre feste, per farle più lautamente, oltre al pane, aggiungeva al suo pasto un poco di farro preparato con sale o con altro vile condimento.
 

Le Tradizioni

A Cocullo San Domenico si fermò per sette anni, lasciando un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, divenute delle reliquie.
Per questo la mattina della ricorrenza, nella chiesa a lui dedicata, i fedeli tirano con i denti una catenella per mantenere i denti stessi in buona salute e poi si mettono in fila per raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del santo (ovvero i calcinacci).
La terra sarà poi tenuta in casa come protezione dagli influssi malefici, sparsa nei campi per allontanare gli animali nocivi oppure sciolta nell’acqua e bevuta per combattere la febbre.
Secondo la tradizione locale e le agiografie dei discepoli di San Domenico, riportate anche dall’Antinori, il santo cavandosi il dente e donandolo alla popolazione di Cocullo, fece scaturire in essa una fede che andò a soppiantare il culto pagano della dea Angizia, protettrice dai veleni dei serpenti, e venerata dalla precedente popolazione italica dei Marsi, tra cui quello dei serpenti.

Il ferro di cavallo
Appeso al simulacro di San Domenico che si venera a Castelpizzuto c’è un piccolo ferro di cavallo con cui i fedeli si fanno il segno della croce e si toccano parti del corpo a fine protettivo.
Tale oggetto simboleggia il ferro della mula del santo, ricordato in un episodio agiografico così tramandato:
San Domenico era povero e viveva di carità, girando il mondo a cavallo d’una mula di nome Giulia.
Un giorno, l’animale perse il ferro d’uno zoccolo, così il santo dovette fermarsi da un maniscalco.
Costui riferrò la mula e poi chiese d’essere pagato.
Il santo gli rispose che non aveva denari ma che avrebbe pregato per lui.
“Non m’accontento delle tue preghiere, replicò il maniscalco, se non paghi dovrai rendermi il ferro”.
Allora il santo, irritato, ordinò a Giulia di restituirlo e la mula, scalciando con violenza, fece staccare il ferro che andò a colpire il maniscalco nel bel mezzo della fronte, uccidendolo.
 

Festa di San Domenico

A Capodacqua di Foligno, suo paese natale, il Santo viene festeggiato due volte all’anno: in occasione del Martirologio, il 22 gennaio, e della ricorrenza della Traslazione delle Spoglie, la seconda domenica di Pasqua, mentre a Cocullo la caratteristica processione con il Santo addobbato di serpenti si svolge il primo maggio.
 

Fonti documentative

http://www.sandomenicoabatevillalago.it/sda/contenuti/capodacqua.html

https://coculloproloco.it/2017/12/28/01-la-figura-di-san-domenico-abate/

https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_di_Sora

http://www.stradadeiparchi.it/primo-maggio-cocullo-un-piccolo-borgo-caratteristico-situato-nel-cuore-dello-scenario-montano-aquilano-si-celebra-la-festa-san-domenico-abate-la-processione-dei-serpari-le-celebr/

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