Cappellone Farfense – Santa Vittoria in Matenano (FM)
Cenni Storici
Risaliamo in vetta al Monte Matenano per l’erta del viale ombreggiato che si snoda sul lato orientale del tronco conico emergente al fianco destro della Collegiata. Qui giova ricordare quanta parte della storia paesana fu vissuta da monaci e magistrati, da paesani e forestieri, da soldati e devoti che vi salirono nei momenti lieti di feste religiose e famigliari, nei momenti tristi di lutti, di assedi e di malattie, dal X al XVIII secolo. Alle pendici di questo colle, quasi corona al monastero di S. Vittoria, sorgevano la chiesa parrocchiale della Ss. Trinità, la chiesa di S. Giacomo con l’ospedale, un tempo intitolato a S. Anatolia, e nella parte più alta il Cimitero. Man mano che si sale si allarga l’orizzonte; nelle giornate limpide e serene si scorge anche qualche tratto di mare. A levante, ti colpisce il progressivo degradar di colli e di colline, Monteleone, Montelparo, Monterinaldo, mentre Fermo, Monterubbiano, Montefiore e Ripatransone seguono la cresta dell’ondulata linea dell’orizzonte. A mezzogiorno la vallata dell’Aso, e i comuni della sua sponda destra: Montalto, Montedinove, Force e il monte dell’Ascensione (m. 1103); più arretrati la Montagna di Fiori (1914) e il gruppo del Gran Sasso (2914). A ponente, in primo piano i castelli di Montefalcone e di Smerlilo, il bosco di faggi e castagni con il Convento francescano di S. Giovanni in Luogo di Sasso; dietro, la Catena dei Sibillini, con le cime del Monte Vettore (2478), della Sibilla (2173) e della Priora (m.2332). A Nord Ovest il fiume Tenna con Monte S. Martino, Penna S. Giovanni, Falerone e Montegiorgio; più lontani, il Monte S. Vicino e il M. Conero. È un panorama che di giorno ti incanta e, in una notte lunare, ti suggestiona con le ombre delle valli e il luccichio di grappoli di luci distribuite pei colli e nel firmamento. A pieni polmoni si respira l’aria balsamica; qui ci si rigenera nell’anima e nel corpo. Gli elci che contornano i viottoli della parte più alta ricordano i Caduti nella prima guerra mondiale; la parte più alta del colle forma il Parco della Rimembranza; sotto la spianata fu scavato il serbatoio dell’acquedotto comunale (1929). La Chiesa della Resurrezione, domina la vetta del Monte Matenano. È chiamata così perché nel sotterraneo, che funge da ossario, sono raccolte le ossa dei morti in attesa della “Resurrezione della carne” e sull’Altare maggiore è stata riprodotta, in alto rilievo, la Resurrezione del Cristo. Ma il popolo continua a chiamarla “Il Cappellone”, perché in essa è stata conservata quella parte della chiesa monastica che, in seguito alla trasformazione del sec. XVI per sistemarvi il Coro dei canonici, fu della “Cappellone” perché costruita nell’ampolloso stile barocco. Sul lato sinistro è stata conservata la Cappella degli Innocenti, il più eloquente testimone per la ricostruzione della Chiesa del Monastero, preziosissimo residuo per la documentazione di una scuola d’arte fiorita in seno al monastero farfense. La chiesa monastica, costruita nel sec. X, e demolita nel 1771, perché pericolante e fatiscente, si sviluppava nello spazio divorato dalle frane della grande Ripa, con prosecuzione verso sud, sull’asse longitudinale della chiesa della Resurrezione. La ricostruzione planimetrica è stata fatta in base a notizie conservate nell’Archivio della Collegiata. Si presentava come costruzione in stile romanico a tre navate: la centrale rialzata e coperta a capanna. L’ingresso doveva dare nella spianata; ne aveva un altro sul lato boreale, congiunto con la scalinata che partiva dalla chiesa di S. Giacomo. Il presbiterio rialzato aveva sotto di sé la Cripta e sopra la Torre, costruita dall’abate Pietro nel 900: misurava m. 6 x 6,30. La chiesa era lunga m. 37,80 e larga m. 14,70. Sul lato sinistro si sviluppava il monastero sufficientemente ampio per ospitare una dozzina di monaci, come d’uso nelle comunità benedettine. La chiesa della Resurrezione si deve alla munificenza della Signora Vittoria Perfetti che, a sue spese, dopo il 1771, fece prolungare di alcuni metri il corpo della chiesa verso nord; innalzare la facciata in stile neo-classico e coprire il tutto con tetto a capanna. Nell’interno il Cappellone conserva, nel volto sopra il presbiterio, gli stucchi barocchi realizzati dal Malpiedi di S. Ginesio e le pitture di Francesco Braschi che svolgono temi riguardanti l’Eucaristia: la Manna per gli ebrei nel deserto, il pane di Elia, la Cena del Signore, e la deposizione dalla Croce. Risalgono alla metà del sec. XVII.
L’Oratorio degli Innocenti – Frà Marino Angeli da Santa Vittoria
L’oratorio degli Innocenti si presenta oggi quale vivo, palpitante squarcio di vita e di squisita sensibilità artistica del quattrocento, l’interno era un tempo interamente dipinto. La figura e la personalità artistica del monaco pittore, per tanto tempo in ombra, sono state comprese e rivalutate grazie agli attenti studi di Don Giuseppe Crocetti che hanno gettato ampia luce sulla biografia, sulla formazione culturale ed artistica oltre che sulle opere le quali direttamente o indirettamente hanno risentito dell’arte di Frà Marino Angeli. Per la porticina a sinistra si accede all’Oratorio farfense”, ove sono affreschi del sec. XV, di buona mano e in discreto stato di conservazione. Nei documenti è anche denominata “Cappella degli innocenti”. Si presenta come costruzione gotica a due campate, con costoloni mistilinei che formano nel soffitto otto vele, tutte affrescate. Misura m. 6,45 x 3,35; in altezza sviluppa solo m. 5,05. Il pavimento attuale è sopraelevato, rispetto a quello originale. Due pareti sono in bianco, perché ricostruite; nelle altre sono affrescate storie tratte dal Vangelo. L’insieme è molto interessante e merita di essere esaminato in tutti i suoi particolari. A sinistra dell’ingresso, nella lesena, una pietra con la data 1368 – MCCCLXVIII -, ricorda probabilmente l’anno in cui, per ragioni di statica e di estetica, alla chiesa romanica furono aggiunti lesene, costoloni e volte secondo lo stile gotico. Sopra la pietra sta la figura di S. Clemente con triregno ed abiti pontificali; più in altro quella del monaco francese S. Leonardo, il cui culto si affermò come liberatore dei prigionieri e dei carcerati; è contraddistinto dal ceppo dei prigionieri, che tiene in mano. Nell’Annunciazione le due figure campeggiano entro due archi posti sul primo piano del quadro, sostenuti da esili colonnette. La Vergine Maria è seduta, le mani al seno, dall’aspetto pudico, raccolta in preghiera: figura leggiadra nelle sue membra sottili che le vesti coprono con grazia e con rispetto. L’Arcangelo Gabriele, vestito con dalmatica rossastra, si inginocchia alzando la destra col dito proteso, mentre con la sinistra sorregge un giglio. Il suo saluto è affidato all’agile cartiglio che si libra tra le due figure, all’altezza delle teste. L’architettura è animata dal disegno in prospettiva e dai panni stesi sulla balconata. In alto la figura dell’Eterno dal quale si parte un raggio del suo Spirito diretto ad adombrare la Vergine. L’esecuzione è accurata, accarezzata in tanti particolari, più che in tutti gli altri affreschi. Nel muover delle mani c’è una purità, un istinto di eleganza che è difficile descrivere; il tutto è un invito a mistica contemplazione nell’armonia delicata offerta dal giusto dosaggio di tanti colori.
Tratto dalla guida Storico-Turistica