Botte Di Varano e Collettore Romano – Serravalle di Chienti (MC)

Opera idraulica realizzata nel XIV secolo e tuttora funzionante, affiancato ad un precedente collettore romano che si può tranquillamente definire un capolavoro di alta ingegneria idraulica.

 

Cenni storici

In località Fonte delle Mattinate in Comune di Serravalle del Chienti, in occasione dei lavori per la costruzione di una nuova galleria di convogliamento delle acque della Piana di Colfiorito o del Casone, resasi necessaria per la parziale ostruzione, a causa del sisma del 1997, della rinascimentale “Botte di Varano“, si è individuata, e quasi totalmente esplorata, una notevolissima opera idraulica di epoca romana, in uso dal periodo repubblicano fino al tardo impero, realizzata allo stesso scopo due millenni fa.
Il manufatto in opera quadrata, lungo circa un chilometro, ha il suo imbocco sul margine nord-orientale della Piana di Colfiorito, e, attraversando un rilievo collinare che la delimita, va a sboccare in un’angusta forra formata dal tratto iniziale del corso del fiume Chienti. Il collettore è stato realizzato quasi totalmente in galleria, senza l’ausilio di pozzi di traguardo, e sicuramente portato a termine con due scavi che partendo dai due estremi si sono raccordati in un punto.
Il percorso della galleria non è diritto, ma segue un andamento a “ S “ ciò per facilitare l’incontro dei due scavi.
Il condotto è costruito con blocchi di travertino spugnoso di provenienza locale non in senso stretto, accuratamente squadrati, così come i conci che formano la volta, disposti a secco; la luce interna è di m 2,60 di altezza per m 0,85 circa di larghezza e mantiene un piano inclinato con una pendenza uniforme per tutta la sua lunghezza dello 0,2 %.
Opere del genere sono ben note nel mondo romano, ma non frequenti di queste dimensioni: si rimanda, per opere analoghe, a quella per la regolamentazione del Bacino del Fucino.
La scelta del materiale lapideo, rispetto ad altri tipi di pietra pure disponibili nella zona, non appare casuale: era evidentemente previsto che la natura stessa del travertino, con lo scorrimento e la percolazione delle acque, favorisse la saldatura dei blocchi tra loro, com’è effettivamente avvenuto.
L’ingresso sulla Piana, documentato con un limitato saggio, presenta caratteristiche monumentali ed è affiancato da due contrafforti, sul tipo di quelli ai lati dei “chiavicotti” che attraversano le sostruzioni della via Flaminia nel tratto appenninico umbro-marchigiano; è verosimile che avanti a tale imbocco si trovasse un invaso ove dovevano confluire canali di drenaggio, probabilmente disposti a spina di pesce, sul tipo di quelli ancora oggi esistenti.
Per tale opera, che risulta di altissima ingegneria, anche perché apparentemente realizzata senza l’ausilio di pozzi di traguardo, come usualmente in casi analoghi, non possediamo finora dati stratigrafici per la cronologia di costruzione, ma appare logico che essa vada collegata al momento dello sviluppo della città di Plestia, e quindi in periodo agusteo o poco dopo, quando il deflusso controllato delle acque della Piana di Colfiorito (il Lacus Plestinum, appunto, che conosciamo dalle fonti letterarie), per evitarne impaludamenti o alluvioni, era essenziale per lo sfruttamento agricolo intensivo, ma anche per le comunicazioni viarie dell’area.
Il collettore rimase in uso per alcuni secoli, finché un movimento del terreno, non sappiamo se dovuto ad un cedimento differenziale del sottosuolo, oppure direttamente od indirettamente da un sisma, ne causò una dislocazione notevole, alternandone perfino la pendenza originaria nell’ultimo tratto verso la Piana, e danneggiandone quindi gravemente, o addirittura impedendone, il funzionamento.
Un tentativo di riparazione, del quale restano evidenti tracce, fu effettuato raggiungendo il manufatto con un grande scavo a cielo aperto, ben visibile stratigraficamente; tale tentativo ebbe però poco successo, in quanto, a causa della persistente alterazione delle pendenze, il condotto si ostruì poco dopo definitivamente.
Mentre la datazione radiometrica effettuata sui residui organici inglobati dalla concrezione calcifica depositatasi all’interno del collettore indica per l’ultimo disuso dell’opera un periodo variabile tra il VI ed il VII secolo d.C., incerta resta la datazione dell’intervento di riparazione, ma è certo che esso deve collocarsi in un momento in cui ancora era attivo un potere centrale capace di accollarsi, sia dal punto di vista finanziario che organizzativo, tale operazione.
È senza dubbio collegata all’impaludamento dell’area la leggenda del passaggio degli apostoli Pietro e Paolo a Plestia, una leggenda che non sappiamo a quando risalga, ma che va per certo spiegata con il desiderio di attribuire radici apostoliche all’evangelizzazione della zona.
Essa servì a spiegare la distruzione della città di Plestia e l’allagamento del piano, attribuendoli alla vendetta divina nei confronti di una città dove nessuno aveva voluto accogliere i due Apostoli.
Si narra infatti che gli stessi cacciati da tutti si rifugiarono sul monte Trella per passare la notte, ma improvvisamente furono svegliati da boati, fragore di tempesta e da un forte terremoto e alle luci dell’alba trovarono la città rasa al suolo.
 
 


 
 
La “ Botte di Varano “ è un complesso emissario artificiale sotterraneo di circa 200 m di lunghezza che fu fatto scavare da Giulio Cesare Varano nel XV secolo su progetto di ingegneri idraulici fiorentini con lo scopo di bonificare l’altopiano di Colfiorito.
Ignoriamo, allo stato attuale delle ricerche, se la costruzione della “Botte“, tenesse in qualche modo conto della passata esistenza del condotto romano, cui corre pressoché parallela, ma è in ogni caso interessante epocale di interventi analoghi, effettuati nello stesso sito con le stesse finalità e, in pratica, le stesse tecniche, nonché come, ancora una volta, la realizzazione di “grandi opere“, spesso tanto deprecate, abbia però permesso la scoperta di realtà archeologiche che mai sarebbero venute in luce.
Del Condotto romano non si rintraccia menzione nel trattato di Mengozzi (1781), che invece descrive la Botte, il “meraviglioso sotterraneo condotto (…) capace quasi di due carrozze nell’imboccatura, ed in alcuni siti più di 20 uomini profondo“.
Il manufatto, più conosciuto sotto il nome di Botte del Casone, continua il Mengozzi, ha una direzione “tortuosa e obliqua” ed è di una “magnificenza” tale che “meritamente può dirsi Regis opus“, opera regale.
Tuttora le acque che vengono raccolte dai canali che si diramano su tutto l’altopiano, danno origine al fiume Chienti a monte di Serravalle.
 

Fonti documentative

Mara Silvestrini – Un’Opera idraulica romana presso la “ Botte “ dei Varano – tratto da “ Un Prco per gli altipiani “ Cassa di Risparmio di Foligno Spa 2005
F. Bettoni M.R.Picuti – La montagna di Foligno, Itinerari tra Flaminia e Lauretana – Edizioni Orfini Numeister 2007

https://it.wikipedia.org/

 

Da vedere nella zona

Parco naturale della palude di Colfiorito
Museo archeologico
Basilica di Plestia
Castelliere e Santuario di Monte Orve
 

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