Borgo di Vico di Sopra – Fiordimonte (MC)
Cenni Storici
Posto a 600 metri di altezza, alcuni elementi fanno supporre al 1500 la datazione del borgo, ma ci troviamo in mancanza totale di documenti su questo comune. Appena fuori del borgo troviamo due chiese, la chiesa di San Gregorio martire, sorge separata dal paese, in cima, tra gli alberi. Restaurata da poco (e in modi talora discutibili), ci accoglie con l’aspetto tipico di tante cappelle rurali delle nostre terre, quell’aspetto quasi fuori dal tempo che non sapresti dire se risalga al Cinquecento o magari all’Ottocento. Della costruzione di cui ci parlano i rarissimi documenti duecenteschi non resta nulla. È il titolo stesso della chiesa, però, a rimandarci indietro nel tempo. Essa è dedicata non al più noto dei santi di nome Gregorio, cioè Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, bensì al meno conosciuto martire di Spoleto. Al tempo della persecuzione dell’imperatore Diocleziano contro i cristiani, Gregorio, prete spoletino, che aveva rifiutato di rinnegare la sua fede in Cristo, dopo infinite torture fu decapitato; una pia donna provvide a seppellirne il corpo presso la città, dove oggi sorge la basilica di San Gregorio Maggiore. Purtroppo è impossibile dire quando il suo culto sia arrivato a Vico (che ne possiede anche una reliquia), certo è che esso testimonia una volta di più i continui scambi di varia natura tra l’Umbria e le Marche nel medioevo, ed anzi ci ricorda quanto sia fuorviante proiettare nel passato i confini moderni, soprattutto riguardo ad una zona “di frontiera” come la nostra. È il Quattrocento il primo secolo che ci abbia lasciato un segno visibile nella chiesa. Si trova sul muro di fondo, a destra, ed è quanto resta di un San Martino a cavallo che divide il mantello con un povero. Dall’iscrizione in basso, che per fortuna si è salvata (“Hoc opus fecerunt fieri homines ville Vici sub anno Domini MCCCCLXXXXIIII”), apprendiamo che a commissionare l’affresco furono gli abitanti di Vico nel 1494. I caratteri della scrittura ed i motivi della cornice permettono di attribuire questo misero frammento al Maestro di Arnano, un bravo pittore (lo stesso che otto anni prima aveva lavorato a Taro) allievo di Giovanni Angelo d’Antonio, il grande artista camerinese del ‘400. Quasi un secolo passa tra il San Martino del Maestro di Arnano e i due affreschi che lo affiancano. Quello centrale raffigura il Crocifisso tra la Madonna e san Gregorio martire (sull’identità del santo – che ha sì la palma simbolo del martirio e la spada della decapitazione, ma non gli abiti da sacerdote – ci toglie ogni dubbio l’iscrizione “Sanctus Gregorius martyr”). La data 1582 è interessante perché rinvia a quello che possiamo considerare quasi l’atto di commissione del dipinto: il 26 agosto di quell’anno, infatti, il vescovo De Buoi in visita alla chiesa ordinò che la parete sopra l’altare fosse ornata “con qualche pittura adatta e con immagini di santi”. Detto, fatto. Eseguì l’opera un altro pittore di cui ignoriamo il nome, un modesto artefice legato agli Angelucci (famiglia di pittori originari di Mevale di Visso, in Valnerina) che tre anni più tardi lascerà una Madonna del Rosario nella chiesa di Capriglia. Di maggior valore doveva essere l’affresco a sinistra. S’intravedono ormai soltanto i resti di un santo a cavallo e di una martire: San Martino e santa Lucia, assicura un antico inventario. Il poco che si può giudicare, soprattutto la testa del santo e l’animale, è di qualità davvero notevole: Simone De Magistris da Caldarola, che tra il 1580 e il 1582 decorava magnificamente l’abside principale del santuario di Macereto, in quell’occasione potrebbe aver fatto una puntata anche qui, poi la Madonna del Bottone si trova a metà strada tra Vico di Sopra e Vico di Sotto, su un piccolo poggio che sovrasta la strada per Fiastra, e prende nome dal toponimo con cui si indicava la zona. Già nel ‘600 si parla di una “maestà”, cioè un’edicola stradale, con questo nome; la sua trasformazione in chiesa, con la graziosa facciata adorna di un portale timpanato e di due finestrelle, un tempo intonacata in bianco e rosso, pare risalire al secolo successivo. L’interno è occupato quasi per intero dal grande altare decorato a stucco, incorniciato da due massicce colonne. Alle pareti si trova ancora qualche ex voto, che rischia di perire con tutto l’edificio, se non s’interverrà presto per salvare questa semplice, commovente testimonianza della devozione del nostro popolo.
Dott. Matteo Mazzalupi