Badia di San Sebastiano – Alatri (FR)
Descrizione territoriale
L’antica Aletrium, città degli Ernici, guarda da un’altura isolata la valle del Cosa.
Le sue poderose fortificazioni, consistenti in una cinta esterna e una interna che racchiude la spettacolare acropoli (la Civita), rappresentano uno degli esempi meglio conservati della tecnica poligonale.
I percorsi intorno ai due anelli permettono di apprezzare la raffinata tecnica e l’imponenza di alcuni tratti, alti fino a 15 metri, e di godere di straordinari panorami sulla vallata e sui monti circostanti.
Il centro storico, protetto dalle mura, custodisce monumenti medievali di grande pregio: sull’acropoli sorge la concattedrale di San Paolo apostolo, che conserva la reliquia di un miracolo eucaristico della prima metà del Duecento e le spoglie della suora infermiera beata Raffaella Cimatti (m. 1945).
Nella collegiata romanico-gotica di Santa Maria Maggiore si venera la Madonna di Costantinopoli e il polittico della Natività in legno policromo.
Seguono l’imponente Palazzo Gottifredo e la chiesa di San Francesco, con facciata gotica e interno barocco, che conserva un mantello del Santo.
Nell’antica carcìa delle Piagge è la chiesa di S. Silvestro, molto antica (fine secolo X), di impianto romanico, a navata unica; è citata nel 1220 e in una bolla del 1252 con la quale papa Innocenzo IV ordinava al priore di San Silvestro di restituire i territori usurpati alla certosa di Trisulti.
La sua cripta, piccolo spazio ipogeo coperto da volta a crociera e sorretto da possenti pilastri, risale al IX secolo, molto prima cioè della costruzione soprastante.
Alatri (m 502) presenta molti ricordi del passaggio di San Benedetto in viaggio da Subiaco a Montecassino (gennaio 529): la Porta di San Benedetto nella cinta muraria esterna, la campana di San Benedetto nella chiesa di S. Stefano; anche l’Ospedale Civile è intitolato a San Benedetto.
La presenza delle monache benedettine ad Alatri è ininterrotta dalla fondazione dell’ordine.
Il monastero di via dei Cappuccini sarebbe stato fondato al tempo del passaggio di San Benedetto ad Alatri.
A ricordo del fatto resta una campana donata da Benedetto all’abate Servando per ricambiarlo dell’ospitalità ricevuta, campana oggi conservata nel monastero delle benedettine.
In questo esse abitarono fino alla loro soppressione nel 1515.
Nel 1561 la comunità fu ricomposta entro le mura cittadine, presso la chiesa dell’antico ospedale dell’Annunziata.
Nel 1926 le monache lo riscattarono per evitare che alla morte dell’ultima consorella il monastero passasse in proprietà del comune.
Più tardi l’arrivo dell’attuale famiglia delle Benedettine.
Ma il ricordo principale della sosta del santo ad Alatri è legato soprattutto alla Badia o Protocenobio di San Sebastiano, nella campagna circa 4 km a est dal centro di Alatri, in località Gaudo e alle pendici del monte Pizzuto e dei Monti Maggiori.
Lì il santo, in viaggio da Subiaco a Cassino, fu ospitato per qualche giorno dall’abate Servando, fondatore della Badia.
Cenni storici
Essa fu edificata tra la fine del V secolo e l’inizio del VI sui resti di un sito romano.
In origine il complesso ospitò una delle più antiche comunità cenobitiche d’Occidente e probabilmente Benedetto vi conobbe la Regula Magistri, una normativa claustrale ivi redatta e osservata, ispirata sia alle regole di Sant’Agostino, riprese da San Cesareo di Arles, sia alla regola di San Pacomio; ad essa probabilmente si ispirò nella stesura della propria Regola monastica.
La Badia fu voluta da Liberio, patrizio romano e diacono sotto Teodorico, prefetto delle Gallie e già Prefetto del Pretorio d’Italia, che la fece edificare sulle rovine di una sua villa rustica, non molto lontano e a valle della sorgente di Servidè o Silvidè (da Silva Dea, cioè Diana, alla quale il bosco circostante era consacrato).
A parere del Moricca, altri però non concordano, il nobile Liberio potrebbe identificarsi con quello a cui nel 526 Cassiodoro indirizzò l’Epistola VIII, 6 e a cui Ennodio scrisse molte lettere (v. GM, 53/35 nota).
Liberio nominò primo abate di S. Sebastiano il diacono Servando e lo mise a capo di una comunità di monaci.
Come riferisce S. Gregorio Magno, a fine 528 o a gennaio 529 egli ospitò Benedetto da Norcia, in viaggio verso Montecassino con i discepoli Placido e (forse) Mauro.
In occasione di quella visita Benedetto, per ringraziare Servando dell’ospitalità, gli fece dono di una campana che ancor oggi si conserva presso il monastero delle monache Benedettine di Alatri.
In seguito il diacono Servando “aveva abitudine di andare a trovare il santo in visita di amicizia; frequentava così il monastero di lui e si intratteneva con lui in colloqui pieni di dottrina celeste. Servando era a Montecassino presso Benedetto quando questi vide una grande luce nella notte e vide l’anima del vescovo di Capua, Germano, portata in cielo dagli angeli in forma di sfera di fuoco” (v. GM 53/35).
Poco dopo la morte di Servando, la sua badia di Alatri avrebbe aderito al monachesimo benedettino.
Appartenenti a questo periodo non restano che poche strutture, un tratto di muro, parte delle cantine e una tomba risalente al VI secolo contenente le spoglie di due monaci.
L’importanza della costruzione funebre, di recente scoperta dall’archeologa E. Fentress, potrebbe far pensare che in essa furono seppelliti proprio l’abate Servando e il suo successore.
Successivamente l’eremo fu abbandonato fino al 1233 quando, completamente ristrutturato in stile romanico, vi si insediarono le monache Damianite di Santa Chiara, che rimasero fino al 1442.
Gli edifici di maggior pregio, tra cui la chiesa nuova, risalgono proprio all’epoca del primo insediamento delle suore Clarisse.
Nel 1442 papa Eugenio IV soppresse per decreto il monastero delle Clarisse e stabilì che da allora la proprietà sul vasto patrimonio terriero della Badia e sulle relative rendite, assieme alla carica onorifica di Abate, si concedesse a dei prelati in commenda.
Nel 1450 Niccolò V la concesse in commenda all’umanista Giovanni Tortelli, responsabile della Biblioteca Vaticana, che vi soggiornò per un periodo di riposo e di “otium” letterario durante il quale compose la “Ortographia“, un repertorio grammaticale e lessicale che permise le prime traduzioni dal latino al greco, tra cui i Dialoghi di Platone, che favorì la diffusione del Platonismo in Occidente.
Nel XVII secolo restavano nel monastero solo quattro anziane suore che nel 1653 papa Innocenzo X Pamphily con “motu proprio” allontanò per presunta cattiva condotta; concesse il complesso in patronato al cardinale Doria Pamphily suo parente, che vendette tutto il possibile destinando i guadagni alla chiesa romana di S. Agnese in Agone, costruita per sua volontà come cappella di famiglia.
I Doria-Pamphily mantennero i diritti sulla Badia fino al 1853, quando il principe Andrea concesse i beni di essa in enfiteusi a Salvatore Vienna, possidente di Torrice e Alatri.
Nel 1908 gli eredi del Vienna, come previsto dal diritto civile, acquistarono la piena proprietà della Badia.
Aspetto
Oggi resta un edificio di grande suggestione dalle linee medievali, suddiviso in tre porzioni, con decorazioni duecentesche raffiguranti la vita di Cristo e della Madonna.
Il complesso architettonico di San Sebastiano non presenta elementi di particolare pregio.
Gli edifici, frutto di accrescimenti costruttivi durante circa dieci secoli, si presentano nella loro austera semplicità in stato di leggero degrado.
Se si escludono le tracce degli antichi affreschi della chiesa primitiva e il pregevole ciclo degli affreschi della scuola del Cavallini nella chiesa nuova, gli ambienti di maggior pregio sono il refettorio, con soffitto a volte a costoloni a sezione quadrata, sorretto al centro da un unico pilastro, e l’attuale oratorio (in origine Sala dell’Abate o del Priore), dotato di tre lucifere a sguincio sul lato di ponente e di un soffitto a volte a crociera con arco trionfale al centro.
L’accesso principale al protocenobio è un portone sulla parete nord attraverso il quale si raggiunge la piazza o secondo chiostro, antistante la chiesa nuova.
L’altro accesso, di servizio, si trova sul prospetto di ponente e immette, tramite un grande ambiente, sul braccio occidentale del primo chiostro delimitato da uno zoccolo sovrastato da quattro belle trifore e due bifore.
Gli edifici del complesso, ora di proprietà privata, non sono in buono stato ma la struttura è abitata e spesso visitata.
In origine poteva accogliere una comunità non superiore ai 12 elementi, che aveva scelto la vita appartata, lontano dai centri abitati.
Dall’ingresso principale si accede a un piccolo vestibolo, nel cortile interno, decorato da eleganti bifore; è il chiostro piccolo o meglio la piazza inclusa tra gli edifici, attigua all’ingresso della chiesa nuova.
Quest’area è divisa dal chiostro grande da una quinta al cui centro si apre una grande finestra al primo piano, soprastante il vestibolo di passaggio dal quale si dipartono due rampe di scale divergenti.
Il tutto è una soluzione architettonicamente originale, coerente con i rimaneggiamenti compiuti dall’erudito Giovanni Tortelli quando tramutò la badia in villa rinascimentale.
La minuscola chiesa nuova consta di un piccolo vano quadrangolare coperto da volta a crociera.
Sul fondo si eleva l’altare marmoreo che, secondo le epigrafi laterali certamente anteriori al sec. XIII, fu eretto da frate Thomas in onore dei santi Sebastiano e Servando.
L’interesse maggiore è dato sicuramente dai pregevoli affreschi del XII e XIII secolo di scuola umbro-laziale (attribuiti alla scuola del Cavallini) raffiguranti la vita di Cristo e di Maria; tra i più importanti, sulla parete d’ingresso, un’Assunzione di Maria con il Figlio e gli Apostoli e, in fondo al presbiterio, due scene della Passione e Morte di Cristo.
Sulla parete opposta, una scala di legno sale all’oratorio delle monache, accanto al quale è un’ampia sala capitolare e la dispensa, strutturata intorno al piccolo chiostro altomedievale, con le meravigliose trifore romaniche.
Il chiostro ha il braccio occidentale delimitato per circa metà lunghezza da uno zoccolo alto m 1,40 sormontato da 4 trifore con colonnine semplici e capitelli a motivi vegetali che sorreggono la lunetta; il braccio meridionale è delimitato dal portico con pilastri ottagonali sormontati da brevi capitelli medievali.
Le due fontane del chiostro sono di costruzione recente.
Sul muro esterno della badia, l’11 novembre 2017, all’inaugurazione del sentiero intitolato a don Giuseppe Capone che in 3 km collega l’Acropoli di Alatri alla badia, è stata affissa una lapide che ricorda l’incontro avvenuto nel 528 d. C. tra San Benedetto e il primo abate del cenobio, il diacono Servando.
La lapide dice:
“Protocenobio di San Sebastiano / fondato nel VI secolo da / Liberio e Servando / e visitato nell’anno 528 da / Benedetto da Norcia / “il quale ebbe in San Servando da Alatri / l’aiuto e l’ispiratore di una Regola / che farà del monachesimo occidentale / la grande riserva spirituale della Chiesa. CAI G. Capone“.
Nota
il testo è di Stanislao Fioramonti, le foto sono di Francesco Fioramonti.
Fonti documentative
C. Scaccia Scarafoni – Memorie della Badia di S. Sebastiano – in ASRSP, 39 (1916).
Cartellone in loco della Via Benedicti intitolato Badia di San Sebastiano, “firmato” da Regione Lazio, Provincia di Frosinone e CAI G. R. Lazio;
S. Gregorio Magno – Benedetto da Norcia – Libreria S. Scolastica, Subiaco 1964 (abbreviato GM).
Mappa
Link alle coordinate: 41.716500 13.375866