Abbazia di Santo Stefano de Arcellis – Gubbio (PG)
E’ tutto ciò che rimane di una importante “villa“, S. Stefano de Arcellis, che ha avuto il massimo splendore nel XIV secolo.
Cenni Storici
Le più antiche notizie relative a questa località, situata in territorio eugubino non lontano da Carbonesca su di una altura che sovrasta a meridione il corso del Chiascio, si hanno a partire dal secolo XIII.
Tale insediamento era classificato nelle carte eugubine e anche perugine come villa, vale a dire come agglomerato abitativo privo di cinta muraria e in genere di modeste dimensioni.
Di esso si ha notizia per la prima voltain un atto del 7 maggio del 1258, quando Ugolino di Albertino conte di Coccorano, anche a nome dei suoi fratelli, sottomise al comune di Perugia, del quale era alleato nell’ambito del conflitto che opponeva allora questo comune a Gubbio, i suoi castelli e possedimenti tra cui lo stesso Coccorani, Biscinae, Rettole, Collaltum e appunto S. Stephanus de Arcellis con le famiglie e ogni altro possesso, con il patto di riaverli, a guerra ultimata con gli Eugubini, “nello stato in cui ora si trovano“.
Alcuni decenni più tardi, nel 1284, al momento della divisione del patrimonio comune tra i componenti della famiglia dei detti conti, effettuata tramite un patto tra i vari consanguinei e congiunti, si decise, tra le cose di cedere al comune di Gubbio il dominio sulla villa di S. Stefano, in cambio della ratifica da parte del detto comune di quanto stabilito dall’accordo precedente.
Anche se tale ratifica non pare essere ancora avvenuta nel 1292, la documentazione successiva mostra in ogni caso come la località di cui qui si tratta nel secolo XIV fosse ormai inserita a pieno titolo tra le terre soggette alla piena autorità del comune eugubino, il quale nel 1383 vi esigeva gabelle, infatti si legge che “Suppolinus capitano del castello di Caresto deve esigere le gabelle in villa S. Stefano de Arcellis”.
La posizione dominante del castello di Caresto si denota nei documenti successivi dove in un primo atto del 1389 troviamo testualmente “Meus Garognole et Nicolaus de Cesena stipendarii Com. Eug. positi ed deputati ad custodiam Palatii S. Stephani de Arcela” e subito qualche mese dopo “Nicolaus de Cisena et Meus Gharognole castellani Palati Arcellarum” per arrivare al 27 novembre dello stesso anno con l’unione amministrativa al castello di Caresto “Unio villae S. Stefani de Arcellis cum castro Caresti”.
Risulta inoltre che in quegli anni esisteva nel luogo un palazzo fortificato, custodito, come si è detto, tra il 1389 e il 1391 per conto del comune da un castellano; alla difesa di esso erano anche tenuti gli uomini della villa, i quali nel 1390 promettevano di salvaguardare il “palatium seu fortilitium palatii Arcellarum comitatus Eugubii ad honorem et statum d. comitis Antonii” [si trattava del conte Antonio di Montefeltro che aveva in quel periodo esteso il suo dominio alla città di S. Ubaldo].
Accanto alla villa esisteva anche un insediamento religioso intitolato a S. Stefano: esso viene citato per la prima volta dalle fonti nel 1295, quando “Dompnus Guidus” preposito del “monasterium S. Stephani de Arcellis” versava nelle casse pontificie a titolo di decima 6 libre, 18 soldi e 8 denari di denari ravennati; altri versamenti allo stesso titolo per 12 libre e 10 soldi ravennati vennero effettuati tra il 1333 e il 1334, questa volta dal procuratore del vescovo di Gubbio “pro prioratu ecclesie S. Stephani de Arcellis”.
Queste notizie pongono immediatamente due problemi: in primo luogo quale era la natura dell’insediamento religioso in questione, se si trattava cioè di un monastero o di una chiesa; in secondo luogo se esso aveva il carattere di ente autonomo o dipendeva da un altro soggetto più importante.
Alla prima domanda non è possibile dare una risposta certa, anche se la tradizione erudita eugubina, rappresentata dall’Armanni e dal Piccotti, ce lo presenta come un antico romitorio divenuto poi Abbadia, cioè abbazia; di fatto però, dal secolo XIV in poi di S. Stefano si parla come di chiesa centro di un priorato, vale a dire di un territorio in cui si addensavano i possessi di un ente ecclesiastico superiore intorno ad una chiesa da esso dipendente amministrata da un chierico, denominato appunto priore, che si occupava dell’officiatura della chiesa stessa e dell’amministrazione del patrimonio.
Per cui sembra evidente che, relativamente al secondo quesito che ci si è posti, bisogna rispondere che almeno a partire dal ‘300 questo ente ecclesiastico non era autonomo ma sottoposto ad un dominus eminente: tuttavia anche a questo proposito dobbiamo riconoscere i limiti delle nostre conoscenze, in quanto S. Stefano di Arcelle non figura tra le dipendenze di alcuna signoria clericale eugubina, che si tratti di monasteri o di chiese.
È però vero che, come sopra si è visto, nel 1333 il vescovo eugubino pagava tramite un procuratore la decima papale anche a nome del priorato di S. Stefano di Arcelle, per cui si dovrebbe supporre che in quel momento esso dipendeva dal presule cittadino.
D’altra parte tuttavia pare che pochi anni dopo, cioè nel 1348, il neoeletto abbate del monastero di S. Maria di Valdiponte, in diocesi perugina, rivendicando ogni diritto tanto spirituale che temporale su tutta una serie di chiese dipendenti, ponesse tra di esse anche il detto priorato, per cui anche sotto questo aspetto la questione rimane aperta.
Resta comunque il fatto che, abbazia o priorato che fosse, nel XVI secolo la chiesa di S. Stefano di Arcelle con l’annesso patrimonio costituito da alcuni poderi passò sotto le dipendenze del monastero benedettino di S. Pietro di Gubbio che ne sarebbe rimasto possessore sino al 1861, quando tutti i suoi beni sarebbero stati confiscati dallo Stato italiano.
In questo periodo l’agglomerato che prendeva il nome dalla chiesa di fatto scomparve e al suo posto rimase solo il palatium padronale, inglobante l’edificio di culto e quindi divenuto il centro amministrativo e religioso della piccola “tenuta”, nella quale l’insediamento poderale disperso era subentrato alla forma abitativa accentrata, pur se priva di fortificazioni.
Tale situazione è testimoniata dai documenti catastali del XVIII-XIX secolo e anche dagli inventari che ci sono pervenuti a partire dal 1637 sino al 1770 contenenti, oltre all’elencazione degli oggetti contenuti nella residenza padronale e nella chiesa annessa al momento della consegna di essa al “fattore” incaricato dall’abbate di S. Pietro dell’amministrazione della proprietà, anche la descrizione degli spazi in cui la detta dimora si articolava; essa, anche se non sempre facilmente interpretabile, risulta comunque assai utile per la ricostruzione quanto meno in linea di massima dell’originaria dimensione del manufatto.
A questo proposito, la documentazione ci consente di delineare un complesso edilizio composto nella parte settentrionale dalla chiesa, a cui aderiva il palazzo vero e proprio, articolato in un pianterreno e un seminterrato, con cucina, sala di soggiorno, cantina e locali di servizio, aperti su di un cortile interno, più due piani superiori contenenti anche le stanze da letto per l’amministratore e il personale di servizio, insieme ad altri vani di destinazione non chiara.
Inoltre sul lato sud sono attestati una colombaia ed una cisterna, andati completamente distrutti ma comunque riconoscibili sul terreno.
Come sopra si è detto con la nascita dello Stato Italiano tutti i possedimenti degli enti ecclesiastici furono incamerati e venduti all’asta; a questa sorte naturalmente non sfuggì nemmeno S. Stefano di Arcelle, i cui edifici e le cui terre il 25 luglio 1874 furono aggiudicati al marchese Luciano Alessandro Del Gallo di Rocca Giovane.
È probabile tuttavia che i nuovi proprietari non si prendessero molta cura dell’antico palazzo abbaziale, il quale infatti l’11 settembre 1909 venne dichiarato diruto dalla Commissione mandamentale di Gubbio per il Catasto e per ciò passato dal catasto urbano a quello rustico.
Nei decenni successivi sul luogo dell’antico insediamento monastico fu costruita una casa colonica destinata al custode della tenuta di Magrano che venne poi definitivamente abbandonata negli anni ’60 del secolo scorso.
Aspetto attuale
Il fabbricato, inserito in una proprietà privata, al momento è abbandonato e fatiscente, rimangono in piedi alcuni muri e la casa colonica molto malandata essendo stata abbandonata negli anni 60 del secolo scorso.
La chiesa è crollata e gli affreschi che c’erano si sono staccati o si sono dilavati.
Sono ancora integri invece i sotterranei voltati a botte.
Durante un tentativo di sondaggio per una eventuale fase di recupero, è venuto alla luce un muro di contenimento esterno dell’Abbazia e le fondamenta di una torre forse adibita a colombaio.
Il proprietario sig. Fausto Fioriti di Carbonesca, persona di straordinaria gentilezza e cortesia che vivamente ringrazio attraverso questa pagina, mi ha personalmente accompagnato nella visita e mi ha confermato la sua disponibilità al recupero del bene, anzi ha avanzato anche un progetto che attualmente è fermo per l’enorme investimento economico che comporta e assolutamente al di fuori della sua portata.
Ha anche tentato un finanziamento pubblico, ma che copriva a malapena un quarto della somma necessaria.
Vista la sua disponibilità e il suo attaccamento a questa struttura, si fa appello a chiunque sia interessato a valutare una proposta di collaborazione per rimettere in piedi un bene patrimonio di tutta la collettività.
Per arrivare
Premesso che trattandosi di proprietà privata occorre sempre chiedere il consenso al Sig. Fioriti Fausto a Carbonesca.
Per una eventuale visita, la strada da percorrere, oltre che visibile dalla mappa che segue, è una deviazione dalla strada provinciale che da Casacastalda conduce a Carbonesca e Padule di Gubbio, all’altezza dell’Agriturismo Santo Stefano, però una volta giunti li c’è appunto il cancello della bella struttura recettiva.
Fonti documentative
Relazione tecnica di un restauro – Messa a disposizione dal sig. Fioriti Fausto
P. L. Menichetti – Castelli, Palazzi Fortificati, Fortilizi Torri di Gubbio dal sec. XI al secolo XIV – 1979