Abbazia di Santa Maria in Pantano – Massa Martana
Cenni Storici
Sorge sul luogo in cui era stata costruita la “statio di Vicus Martis Tudertum”, località lungo il percorso della via Flaminia che rappresentava lo scalo della città di Todi sull’arteria Romana. Della statio ricordata dalle fonti letterarie e illustrata negli “Itinera picta” restano poche tracce sufficienti tuttavia a definirne l’importanza. L’abitato si estendeva alle spalle della chiesa S. M. in Pantano.
La chiesa è una delle più antiche ed interessanti dell’Umbria. Una tarda leggenda la vuole edificata nel V secolo dal magister militum Severo sui ruderi di un edificio o di un tempio pagano della Civitas Martana.
Ed in effetti la chiesa è annidata nel vano di un edificio tardo imperiale, del quale sono visibili le murature laterali in opus reticulatum con ricorsi di mattoni, nella fiancata destra della chiesa; opus che ricorre anche nel muro esterno, parallelo alla stessa fiancata.
Molto più probabilmente la chiesa fu edificata ad unica, grande aula absidata tra il VII e il VIII secolo, aggiungendo all’edificio romano la parte presbiteriale e absidale, leggermente sopraelevate e con le murature in opus spicatum.
Tra il X e l’XI secolo l’aula venne divisa in tre navate, forse per diminuire la portata della travatura. Le pareti divisorie delle navate, alleggerite in alto da finti matronei, poggiano su quattro arcate sorrette da colonne in travertino dai capitelli a tronco di piramide rovesciata, della stessa epoca.
Tale divisione non fu completata nella parte absidale, lasciando così indenne l’antica abside che risulta tuttora più grande della navata centrale. L’abside, scandita esternamente da ampie arcate che richiamano motivi in uso nella laguna veneta, per la rozza tessitura muraria ad opus spicatum, può considerarsi la più antica dell’Umbria, dopo le chiese paleocristiane. Annesso alla chiesa fu poi costruito un monastero, retto dai benedettini che bonificarono e resero fertile la località, spesso inondata dal torrente Tribbio, come chiaramente indica il toponimo in pantano.
Da un documento farfense del 1115 apprendiamo che la chiesa era occupata dai benedettini ed era alle dipendenze del monastero di Farfa, al quale era stata donata nel 1104 dal conte Rapizzone insieme ad alcune terre e castelli.
Un altro documento dell’imperatore Enrico V confermava a Farfa il possesso della chiesa nel 1118.
Nel 1275 l’abbazia risulta pagare una decina di 14 lire e 10 soldi “et unum florenum aureum et X cor”. Gli interventi dei benedettini modificarono la primitiva aula absidata in una basilica di mole maggiore, talché gli ampliamenti sono riconoscibili, sia dal diverso tipo di muratura, sia dai diversi livelli del piano di calpestio.
Aspetto esterno
La facciata, del XIV XV secolo, non lega bene con i muri romani laterali, ed è caratteristicamente pendente in avanti; un portale ad arco acuto, in conci alternati bianchi e rossi con cornice marmorea, ed un bel rosone a triplice incasso ne abbelliscono la semplice struttura rettangolare.
Il rosone rammenta stilisticamente quello del duomo di Todi, e risale alla fine del XIV secolo.
A destra della facciata, attigua ad un alto muro romano, si eleva una torre quadrata con coronamento ad archetti medioevali del XIV secolo.
A sinistra della chiesa, sul muro esterno dell’ex monastero, è murata un’urna funeraria romana con bassorilievo raffigurante il Sacrificio di Ifigenia: da sinistra si scorge una figura maschile nuda che tira a sé una figura con l’himation sul capo (forse Agamennone), poi un albero stilizzato, un uomo che tiene per i capelli una figura più piccola che fugge (forse Ifigenia), un’ara con dei simboli e tre guerrieri con lancia.
Da notare che la torre e la facciata della chiesa di Santa Maria in Pantano non sono in linea con la strada moderna ma con quella a destra che segue il percorso dell’antica via Flaminia.
Aspetto interno
Nell’interno, diviso in tre navate, si conservano urne cinerarie, frammenti decorativi romani e numerose iscrizioni.
Troviamo inoltre un grande capitello corinzio riutilizzato come sostegno dell’ultima arcata di destra e un grande cippo con l’iscrizione che ricorda i Vicani Vici Martis riutilizzato come base per l’altare maggiore.
Al centro della parte bassa, quella tardo romana, recenti lavori di restauro hanno messo in luce due diversi tipi di pavimentazione, uno formato da tessere di mosaico di colore grigio, l’altro costituito da quadri silicei color lavagna risalente probabilmente ai secoli VIII-IX.
Interessanti anche gli affreschi delle pareti. Su quella di sinistra alcuni frammenti e un bel Crocifisso ligneo del XIII secolo; sulla prima colonna di destra una sinopia con Santo che tiene un papiro; sull’altare della navata destra Madonna con il Bambino tra Santa Barbara e Sant’Antonio Abate del XV secolo, opera di Niccolò di Vannuccio; sulla parete posteriore un affresco con raffigurati Sant’Antonio Abate, San Pietro, San Fortunato e Sant’Onofrio del XIV secolo; al centro dell’abside Madonna con il Bambino (sec. XIV-XV), al quale furono aggiunti posteriormente San Felice e San Benedetto. Sulla sinistra una Crocifissione con San Severo e San Francesco (sec. XVII).
Fonti documentative
www.comune.massamartana.pg.it
“Abbazie Benedettine in Umbria” di Francesco Guarino e Alberto Melelli edizione Quattroemme
Nota di ringraziamento
Si ringrazia la Diocesi di Orvieto – Todi per la disponibilità e per aver concesso le autorizzazioni alla pubblicazione.