Abbazia di Santa Maria in Falleri – Fabrica di Roma (VT)
Cenni Storici
L’abbazia di Santa Maria di Falleri sorge all’interno della cinta muraria di Falerii Novi, città fondata nel 241 a.C. per i deportati della vicina Falerii Veteres (oggi Civita Castellana) distrutta dai Romani perché ribellatasi.
Alla fine del X secolo o al principio dell’XI gli abitanti del nuovo centro si trasferirono nella vicina Civita Castellana e probabilmente in quella occasione i Benedettini si insediarono a Falerii Novi e vi eressero un monastero.
Secondo alcuni autori la chiesa di Santa Maria esisteva già e costituì il primo nucleo del nuovo complesso, altri ne datano invece la costruzione al XII secolo, attribuendola ai Cosmati, su commissione cistercense, o ai Cistercensi stessi, una cui colonia proveniente da Saint Sulpice si trasferì nell’abbazia nel 1143.
Questa data è quanto riporta l’unico documento scritto che attesta l’Abbazia, ma l’attribuzione all’ordine cistercense come presente in questi territori, risale al 1179 quando papa Alessandro III conferma possessi e diritti ai monaci di Falleri.
In ogni modo, non ci sono elementi certi che facciano pensare a un cambio di ordine monastico nel corso del tempo, né a livello di documentazione né a livello di osservazione diretta del monumento.
Il completamento dei lavori deve essere avvenuto verso la fine degli anni ottanta del XII secolo, quando Lorenzo e Jacopo apposero la loro firma sul portale d’ingresso all’edifico religioso.
Questi due personaggi appartenevano alla famiglia dei Cosmati famosi marmorari romani, che di li a poco realizzeranno il pavimento e il portico del Duomo di Civita Castellana.
Questa diatriba fra benedettini e cistercensi non ha mai trovato fine e finora la versione più accreditata anche se dubbia è che una colonia di monaci cistercensi provenienti da Pontigny, edificò tra il 1143 e il 1145 d.C., nel vecchio sito di Falerii Novi, ormai in stato di abbandono, il complesso abbaziale che ancora oggi possiamo in parte ammirare.
La cinta muraria dell’antica città si presentava come un perfetto recinto fortificato per l’abbazia, mentre tutto il terreno al suo interno venne bonificato e destinato al pascolo di bovini.
La comunità monastica, il cui ordine si basava sulla vera spiritualità, arrivò nel territorio falisco per un motivo ben preciso, quello di riportare stabilità religiosa a Civita Castellana, favoriti soprattutto dall’elezione a papa di Eugenio III (1145-1143) già abate cistercense a Roma, che favorirà in tutti i modi l’ordine in generale e l’abbazia di Faleri in particolare.
Stessa politica sarà adottata dai pontefici successivi: Adriano IV (1154-115 9), Alessandro III (1159–1181) Innocenzo III (1198–1216).
Negli anni 1183 e 1186, come riportato da due lapidi di cui una oggi perduta, furono consacrati due altari nelle cappelle del transetto.
Concessioni, benefici, protezione apostolica alla comunità religiosa rispondevano ad una precisa strategia politica, nella quale era inclusa non solo Santa Maria in Falleri, ma anche gli altri monasteri cistercensi viterbesi, che rappresentavano punti fermi e sicuri del potere papale in un territorio come quello del Patrimonio di San Pietro, non sempre schierato a favore della Curia romana, ma a volte fedele all’Impero.
L’enorme importanza e ricchezza acquisita portò ad una corruzione dei costumi ed a conseguenti richiami da parte del Capitolo Generale di Citeaux, ma questo non perfetto rispetto della regola non impedì a Santa Maria in Falleri di avere una propria filiazione a Roma in San Sebastiano alle Catacombe nel 1260.
Comunque, tra il XIII e il XIV secolo, l’ordine cistercense fu investito da una grave crisi spirituale ed economica.
Questa situazione riguardò anche il complesso di Falleri che nella seconda metà del 1300 venne abbandonato e trasformato in semplice tenuta agricola.
La sua proprietà iniziò a passare di mano in mano: prima fu affidata nel 1355 da papa Innocenzo IV al monastero di San Lorenzo al Verano perché fosse riformata, poi nel 1392 i suoi terreni passarono all’Ospedale di Santo Spirito in Saxia che lo gestì fino al 1536 circa, mentre la chiesa e l’abbazia cadevano in Commenda.
Già a questa data probabilmente i Cistercensi non vi risiedevano più e nel 1571 il complesso monastico era in rovina, come osservava il vescovo di Gaeta durante la visita Apostolica a Falleri.
Dopo una serie di passaggi di proprietà, nel 1649 l’abbazia e il suo territorio risultavano proprietà della Camera Apostolica e nel 1786 papa Pio VI li concesse in enfiteusi al Comune del vicino paese di Fabrica che ne divenne poi proprietario.
Successivamente si alternarono diversi proprietari che ne modificarono la struttura originaria in particolare il monastero che divenne una residenza privata caratterizzata da stemmi e iscrizioni indicanti i proprietari.
Tra i nomi più illustri, possiamo ricordare il Cardinal Sclafenato e il Cardinal Sanseverino.
La chiesa fu definitivamente chiusa nel 1649.
Aspetto esterno
Fortunatamente la chiesa, a livello architettonico, ha mantenuto nel corso degli anni, la sua struttura originale per lo più integra, nonostante le vicissitudini subite.
Il complesso abbaziale di Santa Maria in Falleri, come gran parte delle altre costruzioni cistercensi, presenta caratteri tipici dell’architettura di questo ordine.
La chiesa è orientata con l’ingresso maggiore ad ovest e la zona delle absidi ad est in modo da poter sfruttare tutta la luce solare nel corso del giorno.
Le cinque absidi, esternamente sono molto particolari, perché presentano forme diverse tra loro: la centrale maggiore è semipoligonale con lesene decorate da semicolonnine terminanti con capitelli, mentre le altre minori sono semicircolari e coronate con cornice ad archetti pensili.
Questi motivi ornamentali saranno presi ad esempio per altre chiese sorte o completate successivamente, come il Duomo o San Gregorio a Civita Castellana.
L’edificio è costruito in tufo e marmo, presenta una pianta a T, essendo l’abside poco aggettante dal transetto.
La facciata doveva presentare tre oculi circolari in corrispondenza delle navate e un portico che fu distrutto per apporre il portale cosmatesco.
L’ingresso, è caratterizzato da un portale marmoreo a triplo rincasso con colonnette angolari, realizzato da Lorenzo e Jacopo, come attesta l’iscrizione in alto a sinistra, finanziato da Quintavalle, personaggio che forse va identificato come appartenente ad una famiglia notarile di Civita Castellana.
Sulla destra della chiesa due rampe in pietra fanno accedere al piano superiore degli edifici abbaziali, che non formavano però una corte, mancando il completamento a sud.
Interno
La pianta dell’edificio religioso è a tre navate, di cui la centrale è il doppio di quelle laterali caratterizzate da un sistema alternato di pilastri maggiori cruciformi, pilastri minori quadrati (nelle prime due campate verso l’ingresso) e (nelle due campate verso il transetto) colonne.
Queste ultime, sono realizzate con l’assemblaggio di pezzi di riuso, presi dai resti della città romana e riadattati al nuovo utilizzo.
Di particolare pregio i quattro capitelli, tutti differenti tra loro, di cui i primi due che si incontrano, sino stati rilavorati prima di essere posti in opera, mentre degli altri due, quello a destra di chi guarda realizzato ex novo in periodo medievale.
L’ultimo capitello è un elemento molto interessante perché mostra figure umane scolpite e abbigliate come soldati romani.
La parte più affascinante della costruzione, è però rappresentata dalla zona del transetto, dove, a sorpresa, si aprono ben cinque absidi e non tre come ci si aspetterebbe.
Questo modello architettonico, può essere considerato un unicum in Italia, dato che altri esempi non ce ne sono, e la tipologia è prettamente francese.
In Francia esistono altri edifici cistercensi terminanti a cinque absidi come l’abbazia di Flaran, ma comunque sono tutti successivi al caso in esame.
Ogni abside aveva il suo altare, con targa che ricordava a chi era dedicato e la data della consacrazione.
La zona del transetto ha generato tra gli storici delle teorie di pensiero differenti.
L’anomalia del numero maggiore di absidi rispetto a quello delle navate, ha fatto credere ad alcuni studiosi, che la costruzione della chiesa fosse stata iniziata in un primo momento dai monaci benedettini e che solo successivamente ci sia stato il passaggio ai cistercensi che l’hanno portata a termine.
In realtà, come dimostrato dagli studi fatti successivamente, le absidi e in generale tutta la zona del transetto, rappresentano il momento più alto di elaborazione del linguaggio borgognone-cistercense con richiami a modelli transalpini nella volta a botte cinghiata e nel cantiere delle Tre Fontane a Roma, per la disposizione geometrica delle finestre.
Nella parete di sinistra si aprono finestre di luce ridotta mentre le absidi hanno monofore a strombo unico.
Il transetto è voltato a botte ma sull’incrocio tra navate e transetto non c’è tiburio o campanile come invece spesso accade nelle chiese cistercensi.
Per quanto riguarda il pavimento, molto probabilmente era realizzato in semplice terra battuta, mentre la copertura del soffitto, era sicuramente prevista con una volta a botte ma non si hanno indizi certi per poterlo confermare.
Solamente nelle navate laterali, dopo i crolli avvenuti alla fine del 1700, sono rimaste in situ parti di copertura a botte che potrebbero confermare questa ipotesi.
Alcuni studiosi hanno anche proposto un tetto realizzato con capriate lignee.
Effettivamente il restauro eseguito alla fine degli anni Ottanta, ha riproposto un tipo di copertura che ricorda in parte la volta e in parte le capriate, proprio per riproporre tutte le soluzioni in merito.
Il pavimento è stato, invece, realizzato in peperino.
Essendo stata edificata nel XII secolo sui resti dello città romana di Falerii Novi la Chiesa di S. Maria di Falleri, ubicata nelle immediate adiacenze di porta Giove ha riservato delle sorprese, infatti durante gli interventi di restauro della Chiesa, condotti dal 1990 dalla Soprintendenza per i beni Ambientali e Architettonici del Lazio, i sondaggi che sono stati effettuati all’esterno, e lungo la navata sinistra e nella zona absidale hanno consentito una più chiara lettura dell’impianto originario dell’edificio, caratterizzato da una pavimentazione in cocciopesto o in semplice battuto, di cui è stato lasciata in visto un breve tratto nel braccio settentrionale dei transetto.
Dell’altare collocato nell’abside principale, ancora in situ alla fine del secolo XVIII, rimangono le fondazioni, davanti alle quali é stato individuata una piattaforma, destinato forse o sorreggere il pulpito di legno, noto da documenti d’archivio del 1792.
Alcune sepolture erano state ricavate nel piano pavimentale, mentre annesso esternamente al complesso abbaziale era un cimitero in fosse terragne, disposte su più livelli e particolarmente addensate.
Lo scavo ha messo in evidenza come la costruzione medioevale abbia sfruttato sistematicamente i resti della sottostante città romana, asportando le strutture preesistenti solo per la messa in opera delle fondazioni dei pilastri e dei muri perimetrali.
In sintonia con le regole architettoniche dell’ordine cistercense, transetto della chiese è risultato appoggiato sul decumano dello città antica, la via Cimino con direzione 0-E, nella quale si immette un asse viario minore nord-sud.
All’interno dell’insula delimitata da queste due strade si inseriscono i resti estremamente superficiali di alcuni ambienti di abitazione (almeno 12), che hanno avuto più fasi edilizie dall’età tordo-repubblicana alla prima età imperiale.
Gli ambienti della domus sembrano articolarsi intorno ad un atrio con impluvio.
I vani risalenti alla fase tordo-repubblicane, delimitati da muri in opera quadrata di tufo intonacati, sono pavimentati in battuto bianco con inserti di tessere di basalto, in cocciopesto rubricato e in opus signinum con inserti musivi, mentre quelli della prima età imperiale sono caratterizzati da pavimenti in mosaico bianco-nero.
Sul iato sud-est dell’atrio è un vano di servizio con pavimentazione in tubetti di terracotta.
Gli schemi decorativi adottati nei campi dei pavimenti a mosaico rientrano in un repertorio che trova il suo primo impiego tra lo fine del I sec. a.C. e l’inizio del I d.C. in emblemata e soglie, come mostrano esempi ostiensi e pompeiani.
L’interno dell’edificio ecclesiastico, ospita inoltre, l’Ara marmorea di Cornelia Salonina con
dedica alla moglie dell’Imperatore Galliena, fatta eseguire dalla popolazione falisca per ringraziare dell’attenzione ricevuta, e il cippo in peperino con dedica ai Lari protettori dei viandanti ritrovato nel territorio di competenza di Falerii Novi; vi è conservato anche un cippo con dedica ai Lari che delimitava un crocicchio di strade.
Ara marmorea di Cornelia Salonina
Non è nota l’epoca in cui fu rinvenuta la base marmorea con iscrizione dedicata a Cornelia Salonina moglie dell’Imperatore Gallieno (253-268), ma ma le sue origini sono certamente ricollegabili alla città romana di Falerii Novi, dalla quale fu asportata, a quel che si conosce, proprio dai pressi della Chiesa di Santa Maria in Falleri.
Sin dagli anni ’30 il basamento era sormontato da una croce di ferro tra via Faleriana e via Vignanellese.
Nel 2004 il piedistallo è stato rimosso dalla sua sede a seguito di lavori stradali e questa circostanza ha offerto l’occasione per un progetto di recupero del monumento sia sul piano conservativo sia sul piano espositivo.
La superficie della base marmorea si presenta molto rovinata e non solo a causa dell’effetto degli agenti atmosferici; infatti l’iscrizione appare volutamente scalpellata in conseguenza della “Damnatio memoria” seguita alla morte dell’imperatore Gallieno.
Ciononostante il testo dell’iscrizione è ben leggibile e, per il suo contenuto appare di grande interesse storico.
“Corneliae Saloninae sanctis simae Aug(ustae) coniugi victoriosissimi Galliaeni Aug(usti) matri castrorum Senatus col(oniae) Faliscor(um) dev(otus) numini maiestatis(ue) eius curante Tyrio Sep(timio) Azizo v(irio) p(erfectissimo) cur(atore) operum et reip(ublicae), “A Cornelia Solonina, moglie del vittoriosissimo Augusto Gallieno, signora della città, il Senato della colonia dei Falisci devoto alla sua santità e maestà, grazie all’intervento di Tyrio Settimio Azizo, uomo perfettissimo e curatore delle opere e della cosa pubblica“.
Si tratta di una dedica pubblica alla moglie dell’Imperatore, oggetto di una particolare devozione da parte del “Senatus coloniae Faliscorum” testimoniata da altre due iscrizioni sostanzialmente identiche su altrettanti basi che, con quella esposta, molto probabilmente fungevano da piedistalli di statue, situate forse nel Foro, nel teatro o in un altro spazio pubblico della città.
L’iscrizione presenta diversi elementi di interesse, che discendono dallo speciale rapporto di Gallieno con Falerii Novi, della quale era probabilmente originaria sua madre, Egnatia Mariniana, e dove potrebbe essere nato egli stesso.
Le testimonianze epigrafiche note mettono in evidenza la concessione di particolari favori e atti di munificenza dell’Imperatore nei confronti della città, che, grazie al suo diretto interessamento, aveva ottenuto nuovamente il titolo onorifico di “Colonia Faliscorum“, così prestigioso da essere ripetutamente menzionato anche nelle dediche a Solonina.
A Falerii Novi, che, nel corso del III sec. d.C. attraversava un momento di crisi economica e urbanistica, Gallieno intervenne attivamente sul piano finanziario, stabilendo uno specifico programma di costruzioni o ricostruzioni, da lui affidato ad un funzionario amministrativo di sua nomina, un “Curator rei publicae, Tyrius Septimius Azizus“.
Uomo di fiducia dell’Imperatore, la sua attività, certo svolta lodevolmente, emerge da diverse iscrizioni pubbliche di Falerii Novi, e alla sua cura si deve anche la realizzazione delle dediche a Cornelia Solonina.
Cippo con dedica ai Lari
Il cippo con dedica ai Lari fu ritrovato, verso la fine dell’800, dal Conte Giuseppe Cencelli all’interno della sua tenuta; la descrizione riportata nel Corpus inscriptionum Latinarum poco dopo la scoperto ci fornisce dati precisi sulla sua originaria collocazione, a quattro miglia da Falerii Novi e a mille passi da Fabrica di Roma.
Dopo la scoperta, il Conte aveva ritenuto di trasferire il prezioso oggetto nel suo Palazzo urbano, facendolo conservare all’interno del giardino.
Considerato per molti anni irreperibile, il cippo è stato riconosciuto nel 2006, dopo che l’Amministrazione comunale si è trasferita nel Palazzo, acquisendo anche tutti i reperti contenuti nella storica residenza.
Oggi la superficie rovinata consente solo una lettura parziale dell’iscrizione, che ci è pervenuta invece integralmente nella trascrizione ottocentesca e c’era scritto: “VOTO SUSCEPTO LARIBUS CONPILABUS VIALIBUS IMITALIBUS SACRUM” (Voto eseguito ai Lari Compitali e delle vie e dei sentieri Sacro).
Le poche lettere visibili sono di diversa grandezza e presentano solchi poco profondi.
Nella prima riga era un piccolo segno divisorio a forma di edera posto tra i primi due termini, attualmente non visibile ad occhio nudo.
Il testo è pertinente ad un voto eseguito in onore dei Lari Compitali, dei Lari protettori delle vie e dei sentieri.
L’iscrizione rappresenta un esempio di richiesta di tutela dell’intera viabilità del territorio: i compitales preservavano gli incroci (compitum significa crocicchio) e i quartieri da questi delimitati, i viales le vie ed i viandanti, i semitales proteggevano i sentieri, cioè le strade minori.
I Lares avevano la funzione di proteggere i limiti della comunità, preservando il suolo nelle sue varie suddivisioni, dalla casa, agli isolati, ai rioni, alle vie, fino ai limiti dell’intero ager.
Nelle iscrizioni romane il culto dei Lari è ben attestato, tuttavia molto rara è l’attestazione epigrafica dei semitales: allo stato attuale delle conoscenze vengono menzionati esplicitamente soltanto su un’epigrafe rinvenuta a Roma e nel nostro cippo.
Il cippo era posto al lato dell’antica via Ferentana, proveniente da Ferentium, a sei Km da Falerii e poco più di un Km da Fabrica di Roma; a poca distanza dall’iscrizione erano state ritrovate alcune sepolture definite “volgari“.
Stando all’autore una delle diramazioni della strada Ferentana scendeva fino a Fabrica di Roma e probabilmente fino a Falerii Novi.
Recenti ricognizioni hanno consentito di localizzare il punto della originaria ubicazione del cippo nell’area compresa tra il fosso Cencianello e il fosso del Procoio, dove si estendeva la proprietà Cencelli.
L’area è interessata da una serie di preesistenze antiche, testimoniate da tombe a camera, cunicoli e ambienti ipogei, collegate forse alla presenza di una villa rustica.
I numerosi basoli sparsi sul terreno documentano il passaggio di strade lastricate.
Tutta questa zona è attraversata da un’antica via di crinale ad andamento est-ovest, la quale incrocia ancora oggi una strada, chiamata “Scudicetti“, che prosegue in direzione di Fabrica di Roma, ricalcando almeno parzialmente l’antica via Ferentana.
E’ dunque molto probabile che il cippo si trovasse in prossimità di quest’area, che risponde alle distanze indicate dalle ricerche ottocentesche.
II cippo ai Lari riveste grande importanza, poiché conferma l’esistenza di un complesso sistema viario di collegamento tra la città di Falerii Novi ed il territorio circostante.
A causa delle profonde trasformazioni del territorio, risistemato e utilizzato ad uso agricolo ed in parte lottizzato, non è possibile rintracciare con certezza i percorsi delle vie, ma si può ipotizzare che esso fosse percorso da strade lastricate e sentieri, che razionalizzavano l’agro falisco romanizzato e agevolavano spostamenti e collegamenti.
La difficoltà di penetrazione dei nuovi territori conquistati, sui quali incombeva la terribile e impenetrabile selva cimina, esigeva tutela e protezione.
E’ significativo che lungo uno dei percorsi che conduceva al Monte Cimino, in località Collicciano presso il rio Corniente, tra Canepina e Soriano, sia stata rinvenuta un’altra ara con dedica ai Lari, forse anche questi semitales alla luce della testimonianza del nostro Cippo.
La dedica del Procoio documenta inoltre quanto profonda sia stata la romanizzazione del territorio falisco anche nell’ambito religioso, con l’accoglimento non solo dei culti “ufficiali“, ma anche di quelli pertinenti alla sfera domestica.
Fonti documentative
COMUNE DI FABRICA DI ROMA PROVINCIA DI VITERBO Falerii Novi – La Via Amerina – Santa Maria in Falleri
Cartellonistica in loco
https://www.cistercensi.info/abbazie/abbazie.php?ab=1026