Abbazia di Santa Maria di Rambona – Pollenza (MC)
Cenni Storici
Come una scoperta: Il turista che giunge da Fabriano o da Ascoli, da Macerata o da Foligno, dall’Appennino o dal mare, in questa patriarcale porzione di terra marchigiana, scoprirà una campagna silenziosa, dolce ed intatta, formata da colorite colline disseminate di pittoresche piccole fattorie. Descriverne la sua bellezza è cosa difficile; non una zolla incolta, gli orti abbondanti ed i campi color del frumento caldi di colore e pieni di lavoro; i salici lungo le sponde dei suoi fiumi e gli alberi da frutta, ordinati e sorridenti; le case del colore giusto fumano liete nei loro focolari e vien voglia di fermarsi a godere un poco questa visione che non ci è più familiare.
Lungo la valle del Potenza sorgono i resti restaurati ed in parte manomessi dell’Abbazia di Rambona. Per l’esattezza Santa Maria di Rambona del comune di Pollenza antico paese del maceratese che vive tranquillo sul colle vicino.
Essa venne fondata dai monaci benedettini che vivevano nei pressi in un laborioso Cenobio-Convento, del quale non si ha più traccia. Un feroce incendio lo distrusse e non venne mai più ricostruito.
La costruzione della Badia di Rambona avvenne nel nono secolo per volere della regina Ageltrude, pare su i resti di un tempio pagano dedicato alla dea Bona.
A questa Dea, purissima figlia di un re del Lazio di nome Fauno, adorata per la sua integerrima castità, i romani avevano dedicato vari templi; e sugli avanzi di uno di questi, probabilmente demolito dalle orde barbariche, i laboriosi monaci costruirono la Badia, solo per il culto, senza annesso convento né abitazione per la custodia.
Il nome Aradeae Bonae – Ara Bona, divenne presto Rambona.
L’Abbazia fu eretta in zona agreste tranquilla, lontana dai movimenti bellici più risonanti e dalle strade consolari, per il timore che i tempi incutevano.
In mezzo a ruderi e sugli stessi, proprio per poter disporre di più materiale a portata di mano. Tutt’attorno nella zona, anche recentemente, furono trovati i resti di un tempio di ordine corinzio e di altri edifici, per cui è logico pensare che la costruzione avvenne usando gli avanzi di agglomerati precedenti.
Fra i monaci del Cenobio vi erano artigiani, artisti e uomini di cultura che si sarebbero occupati quest’ultimi solo dei codici e della biblioteca.
Ma quelli dediti alle costruzioni, quando trovavano della materia buona, come certi marmi o certe pietre, cercavano di usare tutta la loro esperienza ed il loro buon gusto per comporre con arte difficilissima il meglio che potessero ottenere.
In quel periodo l’estro dell’architetto era avvilito e immiserito, spaventato e pressato da necessità contingenti; gli anonimi mastri murari pensavano certo più alla funzionalità che alla leggiadria delle forme e all’arricchimento delle superfici.
Inoltre risentivano della modestia dell’arte catacombale lineare ed umile a loro pervenuta ed avevano per forza assimilato quella primitiva e rozza che da tempo era stata imposta dagli invasori.
Quando invece nel secolo undicesimo si cominciò a trasformare la chiesa per accontentare le varie esigenze che il culto richiedeva, si continuarono ad usare materiali e ruderi rinvenuti nei dintorni, ma con un gusto migliore, più raffinato, essendo nel frattempo giunti mutamenti artistici attraverso ogni contrada.
Si era avuto sentore di un’architettura romanica e si affacciava il desiderio sempre latente di tornare ad un’arte se non ricca perlomeno più classica.
Cosî, malgrado la povertà del momento non permettesse di costruire colonnati bassorilievi ed opere d’arte, ci si apprestava ad unire i ruderi esistenti con una grazia prima sconosciuta, con raffinatezza ed ambizione veramente artistiche. E la costruzione della Cripta di Santa Maria di Rambona avvenne in questo periodo e nello spirito di questa rinascita.
Il Presbiterio dell’Abbazia venne rimosso, la Cripta ne occupò la parte inferiore e sopra crebbe un presbiterio con fattezze più armoniche, migliorato nelle tre absidi semicircolari.
La cripta suggestiva e di rara potenza espressiva, ci dice tutto sul gusto incredibile di questi modesti architetti che tanto mirabilmente hanno innalzato questo capolavoro.
Divisa in tre navate con le sue intime volte sostenute da dodici colonne e da sei mezze colonne ci sorprende per il calcolato effetto scenografico che la disposizione di esse consente.
La determinazione di non metterle perfettamente in fila, le scelte di esse nei colori caldi al centro e sfuggenti ai lati, tutto ci insegna che nulla è stato lasciato al caso.
L’accostamento delle varie forme fuso da l’invenzione di capitelli differenti ma omogenei ci fa capire subito che siamo in presenza di un’opera degna della più alta considerazione.
La parte aurea formata dalle orizzontali e dalle verticali, la sapiente distribuzione dei vuoti e dei pieni riescono a creare quelle zone d’ombra segrete e struggenti che ci lasciano pensierosi e stupefatti.
I capitelli sono stati creati con l’intento di amalgamare un’opera formata da materiali eterogenei e di colore diverso, che sapientemente distribuiti, riescono a raccontarci, se li scrutiamo con attenzione, con quanto amore e saggezza siano stati accostati.
Il solo altare visibile da ogni angolazione è un felice rifacimento del 1929 anno in cui si fecero i migliori e più consistenti restauri.
Anticamente la cripta comunicava con la chiesa superiore a mezzo di scale che sono state tolte rendendo così indipendente questa da quella.
Si ottenne in questo modo maggiore spazio ma si dovettero aprire nella Cripta due porte, una a nord ed una a sud, per consentire ai fedeli l’ingresso e l’uscita e fu necessario anche costruire una orrenda scala, che possiamo vedere sul lato sud dell’edificio, per permettere l’accesso alla chiesa superiore, consistente nel solo presbiterio dell’Abbazia dopo che in una delle trasformazioni avvenute sin dal ‘500 si era ricavato nella navata centrale ed in quella sinistra della vecchia Abbazia una villa privata, cedendo, certo in momenti di nera carestia, una parte della chiesa a signorotti del luogo e ricavando nella superstite navata destra l’abitazione del monaco addetto alla custodia della Cripta, che si è salvata così da altre distruzioni e saccheggi fors’anche perché base statica di tutto l’edificio.
Anche oggi questa abitazione è la casa del parroco Don Lorenzo Serpilli.
A questo punto il nostro pensiero va riconoscente a queste sentinelle nel tempo che con la loro modestia ci hanno risparmiato le rovine che il difficile periodo barocco rovesciava su tutti i monumenti con l’intento di abbellirli ed onorarli.
Le vicende storiche che si susseguirono nei secoli, contribuirono a portare questo artistico monumento incontro a traversie, le più disparate.
Esso passò dai monaci Benedettini ai Cistercensi, passò da Abbazia a Parrocchia di anime, perdette i benefici territoriali, li riebbe e li perdette ancora, proprio nei momenti di maggiore necessità, sicché arriva a noi con sulle spalle la distruzione dei secoli, l’accanimento dello scisma che nel XVI secolo oscurò le province marchigiane, i triboli e gli stenti che ne hanno impedito la necessaria manutenzione e la buona conservazione.
Dell’antico complesso che formava la Badia di Santa Maria di Rambona, oggi rimangono le tre absidi, un poco manomesse, con parziali rifacimenti e qualche asportazione, il presbiterio che è divenuto una chiesetta rurale e la sottostante Cripta quasi intatta e pregevolissima.
Per un lungo periodo che dal quattrocento porta alla metà del settecento, a Rambona esisteva una importante fiera, che essendo esente da dazi e tasse varie riscuoteva grande successo nel popoloso comune di Pollenza che allora si chiamava Monte Milone dal nome del fondatore Milone, uomo intraprendente che aveva costruito le prime case attorno alla romanica chiesa con ospizio, unica costruzione sul colle ove ora sorge l’attuale Pollenza.
A questa fiera franca accorrevano mercanti da Lucca, Firenze, Pisa, Campobasso, Bologna, Roma, Napoli, Sulmona, Ancona, Pesaro e naturalmente da tutti i paesi limitrofi.
Essa è ancor oggi chiamata fiera di Rambona ma si svolge a Pollenza dove venne trasferita alla fine del secolo scorso; si svolge in agosto ed in forma ridottissima.
Il giorno di ferragosto invece nella chiesa di Rambona si festeggia l’assunzione di Maria Vergine e si celebra la festa del grano.
Santo Amico, vissuto intorno al mille fu un esemplare cittadino del Cenobio ed oggi le sue spoglie sono custodite nell’Abbazia.
Il giorno 25 di aprile in suo onore si svolge una piccola processione con la partecipazione delle sue reliquie mentre ogni cinque anni la processione allarga il percorso per le varie contrade della parrocchia, percorrendole con l’urna contenente il suo corpo.
L’ultima in ordine di tempo è avvenuta nel 1975.
Oggi la chiesa, assolutamente isolata, ha l’aspetto allampanato e stupito della parrocchia agricola delle nostre contrade marchigiane pur consapevole di essere mèta di un turismo studioso, sensibile e preparato.
Le siepi polverose, il parroco timido ed appartato i contadini laboriosi e genuini in una collina verde non abbandonata ma scalfita con cura dagli aratri, ci mostrano un angolo di terra diverso e piacevole. La cripta nella sua silente bellezza ci invita alla riflessione.
Quasi ci costringe. Beato il turista che riesce a passare qualche tempo nella sua quiete sincera. Le ombre magnifiche creano un’atmosfera senza eguali, e d’attorno ci giunge il rumore del nulla: il tempo si è fermato a Rambona.
La luce fioca ci attanaglia e ci propone in un caledoscopio di ricordi un modo di vivere diverso da quello di ogni giorno.
Riusciamo nell’astratto del luogo a concentrarci e sentiamo indistinto ma concreto lo scalpiccio di quei monaci laboriosi aggirarsi tutt’attorno come fossero presenti.
Un ringraziamento ci giunge alle labbra per aver potuto godere un momento così bello e solenne, consci subito dopo di dover tornare ai nostri doveri quotidiani ma felici di sapere che ritornando potremo sempre realizzare ancora questa atmosfera di sogno.
Considerevoli restauri ancora ben visibili oggi, furono effettuati nel 1900. In quella occasione si cinsero le absidi con cerchi di ferro e si contenne la muratura con chiavi e tiranti.
Altri restauri ben condotti avvennero nel 1929, su progetto di Giuseppe Fammilume, studioso maceratese, al quale dobbiamo anche la sistemazione dell’attuale altare della cripta di elegante e discreta struttura.
Durante quei lavori venne anche rimossa una via crucis di scarso valore artistico che interrompeva l’armonia di così pure linee architettoniche; in oltre, piccoli reperti romani rinvenuti nei dintorni dell’Abbazia, furono disposti in una parete interna vicino alla porta sud, da dove si accede alla cripta.
L’Abbazia di Rambona e la sua cripta di Cesarini da Senigallia