Abbazia di Santa Maria Arabona – Manoppello (PE)
Cenni Storici
L’abbazia di Santa Maria d’Arabona fa parte della fitta rete di abbazie che erano state create dai monaci cistercensi; si trova nel paese di Manoppello in provincia di Pescara, di origine romana ma importante centro durante l’epoca longobarda.
Sorge in posizione collinare nel Parco Nazionale della Majella, probabilmente ove era un tempio pagano dedicato alla Dea Bona.
Tale ipotesi non trova però conferma né a livello documentario né archeologico dato che gli scavi condotti in occasione del restauro del complesso, realizzati tra il 1948 e il 1952, non hanno rilevato alcuna traccia di strutture antiche.
La costruzione iniziò probabilmente in seguito a una donazione del 1197 effettuata dai fratelli Gentile e Maniera di Palearia della Valle Siciliana, conti di Manoppello e signori di Guardiagrele, i quali concessero i terreni e altri beni in luogo qui dicitur Arabona insieme ad un mulino, pascoli e foreste al monaco Pietro del monastero cistercense di Sant’Anastasio alle Acque Salvie.
Nel 1208 la donazione fu confermata dal conte Gentile di Palearia con l’aggiunta di altri beni, a favore della chiesa oramai esistente, infatti, nell’atto è specificato ecclesia S. Maria de Arabona.
In tale data i lavori per la costruzione dell’abbazia erano quasi sicuramente in corso, furono poi interrotti, lasciando l’edificio incompiuto.
Nel corso del XIII secolo l’abbazia crebbe di importanza per merito degli Angiò, arrivando ad amministrare anche la potente vicina abbazia di San Clemente a Casauria. Nel 1259 il monastero di Santa Maria Arabona ottenne da Papa Alessandro IV il privilegio di Badia Nullius Diocesis, concessione che la rendeva esente da ogni giurisdizione vescovile, consolidando i poteri dell’Abate dell’Abbazia con piena autonomia sui monaci, sul clero e sui fedeli.
Nello stesso 1259 venne fondata anche un’abbazia figlia, Santa Maria dello Sterpeto, nei pressi di Barletta, che però ebbe vita breve, fu chiusa nel 1374.
In pochi anni l’abbazia si arricchì con molteplici annessioni, tra cui Santo Spirito in Rivamare, Santa Maria di Bucchianico, SS. Trinità di Castro Bono, Santa Maria di Pietrafitta della contrada Montagnano di Sulmona.
Dopo il terremoto del 1349 furono eseguiti lavori di ripristino, ma anche in questo caso furono sospesi prima del completamento dell’opera: la chiesa rimase mutila delle due campate che dovevano darle la classica forma a croce latina e anche il chiostro non fu mai realizzato.
Nel 1412 i monaci cistercensi lasciarono Arabona, occupata poi dal Conte di Ferrara, nel 1587 Papa Sisto V la affidò ai Conventuali della Basilica dei Dodici Apostoli di Roma, nel 1799 tutti i beni della Badia dislocati nei territori di Chieti, Manoppello e Ripacorbaria furono venduti dalla Regia Corte ai Fratelli Defendente e Giacomo Zambra di Chieti, i quali ottennero nel 1806 la concessione in perpetuum della Chiesa, salvando così l’Abbazia dalla svendita dei beni ecclesiastici e lasciandola aperta al culto, trasformando il convento in residenza signorile.
L’abbazia però decadde a seguito delle demaniazioni napoleoniche del 1809 e di quelle postunitarie, solo nei primi anni cinquanta del secolo scorso fu restaurata e riaperta al culto il 25 settembre 1952.
Successivamente, nel 1968 la famiglia Zambra la donò ai Salesiani, dal 1998 è sotto il diretto controllo della diocesi teatina.
Aspetto esterno
L’abbazia si presenta ancor oggi incompiuta, l’esterno costruito interamente in conci di pietra, si presenta alto ed imponente; la parete rivolta ad est, presenta uno splendido rosone posto in corrispondenza dell’abside, con i petali scanditi da sedici piccole colonne delle quali alcune lisce altre contorte, sulla stessa facciata si aprono cinque monofore disposte su due file.
Sulla parete settentrionale è presente un altro rosone in corrispondenza del quale c’è una porticina che doveva condurre verso un cimitero di cui non si hanno tracce.
La torre campanaria, che si eleva di fianco, soluzione insolita per un’abbazia cistercense, è di più tarda costruzione, anch’essa è rimasta incompiuta.
La facciata principale, mai eseguita, doveva essere rivolta a ovest, oggi una parete di mattoni maschera il vuoto lasciato dall’interruzione dai lavori e presenta un ingresso in direzione del giardino.
Il portale presenta un archivolto che chiude una doppia lunetta su mensola, motivo di derivazione cistercense databile alla fine del Trecento.
Una lapide sulla facciata posticcia ricorda che la chiesa è stata riaperta al pubblico il 25 settembre 1952 alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Interno
L’interno a tre navate è caratterizzato da pilastri, arcate e volte ogivali.
La porzione più antica è quella dell’abside, di forma rettangolare, affiancato da due coppie di cappelle che affacciano direttamente sul transetto.
L’interno risponde in tutto alle regole borgognone: i piloni sono a fascio e le campate coperte da volte ogivali segnate da costoloni.
La decorazione scultorea si accompagna ai partiti architettonici, con una grande varietà di elementi floreali, la decorazione plastica dei capitelli suggerisce la presenza di due botteghe dai diversi orientamenti stilistici; una maggiore aderenza al repertorio cistercense-borgognone la si trova nel coro e nel braccio meridionale del transetto, eseguiti tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, mentre lungo la navata emerge una più spiccata adesione al linguaggio del gotico maturo ed insieme una ripresa di motivi locali.
Nel coro la copertura è realizzata con una volta a crociera costolonata, nella navata centrale mancano i costoloni, segno secondo alcuni di una successiva ricostruzione. Altra differenza tra il Capocroce e il corpo longitudinale si nota nel tipo di arco utilizzato, acuto nel presbiterio, a tutto sesto nella suddivisione delle tre navate. La scelta del tutto sesto può come uno dei tanti “ricordi” romanici che spesso si registrano nelle fabbriche abruzzesi.
La pianta doveva essere a croce latina, il mancato completamento dei lavori l’ha fatta rimanere a croce greca.
L’incrocio dei bracci è sottolineato da una campata quadrata più alta e coperta da una maestosa volta suddivisa dalle nervature in otto spicchi, che nel progetto iniziale doveva sostenere un tiburio con funzione di campanile.
Si accede oggi all’abbazia attraverso la Porta dei Morti, aperta nella parete settentrionale, che immette direttamente sul transetto sinistro.
Appena a sinistra si trova la Cappella dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, chiusa da un piccolo recinto che reca lo stemma con la croce dell’Ordine, replicata anche sull’altare; sulla parete destra si trova una statua lignea di San Rocco.
Sulla parete di fondo si apre una monofora, a sinistra della quale è un affresco di San Sebastiano e a destra Sant’Antonio da Padova. Sulla lunetta superiore è affrescato il Compianto sul Cristo morto, con la Madonna che sorregge il corpo appena deposto dalla croce ed accanto San Giovanni e Santa Maria Maddalena, dipinta in abito “moderno“.
Sono opere riferibili ai primi anni del XV secolo.
Sulla parete destra una targa ricorda che il cardinale Giuseppe Caprio, Gran Maestro dell’ordine, ha assegnato la cappella alla sezione abruzzese dell’ordine stesso; sotto si trovano due vaschette per le abluzioni (piscines), elemento costantemente presente nelle chiese cistercensi.
Superata la successiva cappella si accede al presbiterio, ove la calda luce che penetra dal grande rosone e dalle monofore illumina il tabernacolo duecentesco in pietra ornato da rilievi floreali, poggiato al muro e sorretto da due esili ed eleganti colonnine con alta base e capitelli a foglie, in uno dei quali è inserito un Agnus Dei.
La cassa del tabernacolo è definita da tre lastre chiuse da una cornice piatta; la copertura piramidale è arricchita da un variegato repertorio gotico di guglie, pinnacoli, timpani gattonati,
Il vicino cero pasquale, alto ben sei metri, anch’esso duecentesco, è sorretto da un’alta base con raffigurati due cani e un leone rampante, ve ne era probabilmente anche un secondo, ora perso.
Il fusto della colonna è ornato da un raffinato rilievo di tralci di vite, un alto abaco separa il capitello gotico dalla lanterna composta dalle dodici colonnine, simboli dei dodici apostoli, ognuna delle quali mostra nel fusto una diversa interpretazione del tortiglione; al centro emerge il capitello, sorretto da una colonna decorata, ancora una volta, a foglie di vite, sul quale trovava posto l’alto cero pasquale, simbolo della figura di Cristo.
La parete di fondo conserva affreschi datati 1373 raffiguranti una santa coronata con un libro in mano, probabilmente Santa Caterina d’Alessandria, con a destra in basso il committente, il Crocifisso, la Madonna col Bambino che ha in braccio un cagnolino, la sottostante scritta firma e data l’affresco, “Antonius de Adria 1373“.
Anche la crocifissione è opera di Antonio di Atri importante pittore abruzzese, più incerta è l’attribuzione allo stesso artista della santa coronata, sembrerebbe opera di un artista meno dotato.
Sulla parete destra del presbiterio, in una nicchia, si trovano si trovano due vaschette per le abluzioni.
La seconda cappella del transetto destro ospita la sepoltura di Defendente Zambra detto Dino, ultimo rampollo della famiglia proprietaria dell’abbazia, prematuramente scomparso nel 1944 all’età di ventidue anni e in odore di santità.
Del convento rimane la sola slanciata aula capitolare, a due navate di tre campate, divise da pilastri monolitici serrati da colonnine con capitelli a crochet del tipo di Fossanova.
Adiacente l’Abbazia si estende un giardino molto ampio con numerosi alberi e una fontana centrale ricca di ninfee.
Fonti documentative
:
Cartellonistica in loco
https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Santa_Maria_Arabona
https://www.beniculturali.it/luogo/abbazia-di-santa-maria-arabona#descrizione
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.