Abbazia di Santa Croce – Sassoferrato (AN)

Una chiesa molto particolare che merita un viaggio.

 

Cenni Storici

Sassoferrato è un paese dell’entroterra marchigiano situato sul versante orientale degli Appennini , situato in cima ad un altopiano ai cui piedi giacciono i resti dell’antica città di Sentinum dove, nel 295 a.C., ebbe luogo la celebre battaglia delle nazioni, in cui l’esercito romano sconfisse i Galli Senoni e i Sanniti.
Nei pressi di Sentinum, in posizione sopraelevata, si trova l’abbazia di Santa Croce, posizionata esattamente lungo quella che anticamente fu la Protoflaminia.
Infatti, nel periodo susseguente alla battaglia, col conseguente insediamento di una colonia romana (Sena Gallica, 283 a.C.), si rese necessario ampliare la rete di strade per migliorare il collegamento fra Roma e la costa adriatica grazie alla costruzione dell’asse stradale Forum Flamini – Camerinum – Sentinum – Sena Gallica, nota appunto come Protoflaminia; una strada che da Roma portava a Senigallia che conduceva piuttosto velocemente e comodamente fino alla costa adriatica ed ai suoi porti e risultava particolarmente adatta al passaggio delle truppe, dei coloni e delle merci.
Premesso ciò possiamo immaginare l’importanza strategica della posizione dell’abbazia lungo questo itinerario.
La prima chiesa di Santa Croce è stata completamente murata e inglobata all’interno di un complesso abbaziale del XVI secolo senza alcuna ragione di ordine statico, lasciando aperto un grande punto interrogativo sulle reali motivazioni che hanno indotto a realizzare tale opera.
Secondo un’ipotesi formulata nell’Ottocento dall’archeologo e professore Camillo Ramelli qui dove sorge Santa Croce potrebbe giacere un tempio pagano costruito dagli abitanti di Sentinum nel III sec. d.C. e dedicato al dio Mitra.
Ciò sarebbe confermato dalla presenza, al piano superiore, dell’esterno dell’abside della primitiva chiesa, di due capitelli scolpiti che rappresentano proprio il sole e la luna sotto forma di volti umani e che richiamano il culto del dio pagano.
A supporto della veridicità di tale tesi, va ricordato che nel Medioevo il fatto di costruire chiese su preesistenti templi pagani o sulle rovine degli stessi fosse una prassi piuttosto consolidata.
Santa Croce è una chiesa di origine templare e questo si nota poiché tra i soggetti scultorei maggiormente ricorrenti, troviamo quelli rappresentati in maniera dualistica; qui molte delle sculture sui capitelli eseguite dagli scalpellini camaldolesi, ritraggono figure di animali rappresentati proprio a due a due; in alcuni casi si fronteggiano, in altri, come nel caso dei draghi alati, si danno le spalle e guardano in due direzioni opposte.
Questa chiesa è stata definita “la più importante chiesa templare d’Europa, calamita nel suo fulcro energia sia tellurica che cosmica” entrambi con effetti benefici.
Riguardo il periodo di edificazione è da fare riferimento un passo del terzo tomo degli Annales Camaldolensius, monaci a cui appartenevano i maestri d’opera che si occuparono della fase costruttiva compresa anche la scolpitura dei capitelli e delle decorazioni esterne; il monastero è menzionato nell’anno 1105, per cui è ipotizzabile che l’edificio sarebbe stato portato a termine tra gli anni 1090 e 1100.
La fondazione dell’abbazia di Santa Croce è stata attribuita da diversi studiosi, alla famiglia dei conti Atti, signori di Sassoferrato fino al 1460, quando la città divenne libero comune; questi derivano dal ceppo degli Attoni Atti, il cui capostipite fu Attone I, Gran Conte dell’Umbria e vescovo di Todi.
Ma forse a questa potente famiglia appartiene la regia di tutto questo ciclo di 4 chiese datate tra l’XI ed il XII secolo, che costituisce un unicum nelle Marche e parliamo dell’abbazia di San Claudio a piè di Chienti, dell’abbazia di San Vittore delle Chiuse presso Genga, e quella di Santa Maria delle Moie.
Tali edifici di culto rappresentano un unicum nella regione, essendo caratterizzati da una pianta a croce greca inscritta: si tratterebbe di uno schema di origini orientali molto diffuso nelle chiese bizantine della Grecia e dei Balcani.
Nel 1252 una Bolla d’Innocenzo IV enumera una lunga serie di chiese dipendenti da S. Croce dei conti e ciascuna di queste chiese generalmente aveva annesso un piccolo beneficio che veniva percepito dal monastero, ed i monaci provvedevano alla cura delle anime per mezzo dei loro sacerdoti.
Quando le parrocchie erano particolarmente lontane, spesso venivano realizzate famiglie di 4 o 5 monaci governati da un priore, e questi provvedevano alla cura delle anime nelle parrocchie vicine.
Queste famigliuole venivano chiamate “Ospizi, priorati o conventini” e siccome qui veniva ammassato il grano e altri prodotti dei possedimenti, queste case venivano chiamate “Grancìe” (dal francese grange).
Fra il 1200 e per oltre la metà del 1400 il monastero conobbe il periodo di massimo splendore, sia per le rendite delle numerose parrocchie, per i benefici concessi, ma soprattutto per le donazioni che ricevevano da ricchi signori, in questo caso le numerose donazioni che concedevano i Conti Atti signori di Sassoferrato dal 1200 circa, fino al 1460.
Nel 1448 il Papa ridusse a Commenda il monastero e lo affidò a Pandolfo degli Atti, a questo ne seguì una lunga serie e questo determinò il decadimento del cenobio.
Durante tutto il 1500, conobbe un periodo di decadenza visto che vi erano rimasti solo undici monaci che vivevano negli ambienti conventuali e nella Visita Pastorale del vescovo di Camerino Berardo Bongiovanni annotò la noncuranza degli arredi sacri.
Il decadimento si fece sempre più pressante sotto l’amministrazione dei commendatari tanto che alcuni di loro utilizzarono le pietre buone della chiesa come cava per costruire le proprie residenze come avvenne nel secolo XVI, tant’è che nel 1601 il Comune di Sassoferrato fece ricorso alla S. Sede contro il Commendatario di allora, sia perché trascurava i fabbricati cadenti e sia perchè aveva ridotto il monastero a soli due monaci avendo vietato che si ricevessero altri novizi.
Il Pontefice Clemente VIII accolse in parte il ricorso e pochi anni dopo il monastero era vuoto.
Quattro preti secolari avevano preso possesso del monastero, la Congregazione di S. Croce dei Conti aveva cessato di esistere.
Un tentativo di restaurazione si ebbe nel 1610 quando Papa Paolo V nominò commendatario il Cardinale Scipione Borghese che tentò una restaurazione del convento affidandolo all’Ordine dei Camaldolesi .
I beni dell’Abbazia, una parte fu assegnata al monastero ed una parte fu lasciata alla Commenda, la quale più non doveva avere ingerenza negli affari dei monaci; cosi il monastero risorse, e abitato dai nuovi monaci superò le altre soppressioni seguite, continuò la sua vita fino agli inizi del XX secolo quando la scarsità di vocazione ne a determinato la definitiva chiusura e la messa in vendita degli edifici.
 

Origine del Monastero

Ci troviamo intorno all’anno mille e per impulso della riforma operata da San Romualdo, si formarono nell’area importanti monasteri che sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, fra questi si ricorda Fonte Avellana, Sitria, Sant’Emiliano in Congiuntoli.
Attorno all’antica chiesa si organizzarono un gruppo di monaci che in origine si sistemarono con capanne arrangiate con frascame, poi amano a mano che questa comunità si andò ingrandendo, si adeguarono ad una Regola e beneficiarono di lasciti da parte di nobili “pro remedio animae suae” e allo stesso tempo beneficiarono di privilegi da parte della Santa Sede.
Questo convento templare fu colpito da mandato di inquisizione il 28 febbraio 1310, e, trascorso qualche anno dalla sua chiusura, nel 1333 venne assegnato agli Ospitalieri di San Giovanni, che lo trasformarono in ospedale per i pellegrini.
Lavori di restauro furono eseguiti tra il 1913 e il 1914, fu costruito un muraglione d’appoggio dello spessore di m. 2.40 alla cui base furono piantati speroni alti fino al tetto onde evitare che la struttura franasse dal momento che il sottosuolo era franoso.
Furono chiuse a muro le due porte laterali per dare consistenza alla facciata.
Nell’interno furono chiuse le numerose tombe e fu ricostruito il pavimento con grossi mattoni.
La nicchia di sinistra fu trasformata in un piccolo museo, e vi furono murate parecchie lapidi, capitelli ed altri ruderi artistici; nella nicchia opposta fu collocata la grossa campana rotta.
Fu tolto il grande Ciborio dall’ altare maggiore e furono ricostruiti in travertino i gradini degli altari; nel Coro vennero aperte le due finestre e fu rifatto il tetto.
Ai restauri della chiesa e della casa parrocchiale, seguirono quelli del monastero curato dai Padri Camaldolesi.
 

Aspetto esterno

Santa Croce del Sentinum fa parte di un ciclo di quattro chiese, le uniche nelle Marche, aventi una pianta a croce greca inscritta; le altre tre chiese del suddetto ciclo sono l’abbazia di San Claudio a piè di Chienti, l’abbazia di San Vittore delle Chiuse presso Genga, e quella di Santa Maria delle Moie, nell’omonima frazione del comune di Maiolati Spontini.
Tale modello è costituito da un nucleo quadrangolare in cui quattro pilastri suddividono lo spazio interno in nove campate, di cui quella centrale è sormontata da una cupola, il tiburio.
Elemento peculiare di questo tipo di schema è la presenza di tre absidi che scandiscono le pareti longitudinali, più un’altra che definisce le pareti laterali; nel caso specifico, la pianta attuale di Santa Croce differisce da quella originaria per l’aggiunta di una seconda abside a sud-est alla fine del XIX secolo.
Un altro elemento caratterizzante è lo sviluppo su due livelli di altezza.
Questa particolare tipologia di chiesa a due piani, si è diffusa grazie allo schema della croce greca inscritta e le quattro chiese delle Marche non fanno eccezione; tipicamente la parte superiore aveva la funzione di cappella privata o matroneo riservata ai monaci e quella inferiore ai laici.
Si ritiene che tale modello architettonico sia stato importato in Italia da famiglie di origine longobarda, tuttavia non vi è uniformità di pensiero tra gli studiosi infatti alcuni ritengono che sia caratteristica delle chiese bizantine, altri tipici dell’epoca carolingia lombarda.
La nuova torre campanaria sul lato nord, così come oggi la vediamo ed eretta sui resti della vecchia, risalirebbe al 1607.
Accanto all’ingresso sul lato sinistro doveva sorgere una torre a base circolare ancora riconoscibile da una evidentissima porzione che fuoriesce dal perimetro del convento.
Nell’unica parte visibile oggi al pubblico, al primo piano del convento inglobante, in corrispondenza della parte esterna dell’abside laterale esposta a nord, possiamo ammirare i due volti del sole e della luna rappresentati a mo’ di medaglione, molto simili a quelli che ritroviamo nelle rappresentazioni del dio Mitra nell’atto di uccidere il toro.
Un profondo nartece voltato a botte introduce al portale di accesso alla chiesa che è decorato con una complessa modanatura formata da tre archi a tutto sesto concentrici; la lunetta che sovrasta il portale d’accesso è finemente decorata: vi è rappresentata la Vergine che stringe a sé il Bambino, secondo una composizione che ha fatto avanzare l’ipotesi che si tratti di dell’opera di Giovanni Antonio da Pesaro.
 

Interno

L’edificio è caratterizzato da una pianta a croce greca inscritta, uno stile diffuso tra le chiese bizantine della Grecia e dei Balcani.
Il nucleo centrale della chiesa è definito da quattro alti pilastri compositi, addosso a ciascuno dei quali sono collocate due semicolonne in granito e pietra calcarea.
Nell’avancorpo di rincasso della porta, dove sopra insiste un matroneo, si nota un ambiente contenente una vecchia campana; nella prima nicchia di destra c’è la statua del Sacro Cuore di Gesù disposto su una lapide tombale, nell’arco frontale decorazione in affresco cinquecentesco di due angeli e in alto due medaglioni con l’Annunciazione.
Segue l’altare dell’Addolorata con la statua della Vergine con il cuore trafitto dalle sette spade e poco oltre un altro altare dedicato a San Romualdo con una tela che raffigura il Santo mentre dona la bianca cocolla a San Pietro Orsoleo Doge di Venezia; si tratta di un’opera di un allievo di Antonio Zanchi (probabilmente si tratta di Francesco Trevisani) che la dipinse nel 1738.
Sul pilastro di fronte a questo altare vi è un affresco trecentesco con l’immagine di Santa Caterina d’Alessandria.
Nel catino absidale di destra c’è l’altare di San Biagio con un affresco del Santo in abiti vescovili e in trono datato 1467.
Nell’altare maggiore spicca un paliotto opera settecentesca pregevolissima, considerata la sua finezza dell’intaglio, gli ornati e la varietà di figure; questo paliotto fu acquistato a Camerino nel 1844. Evidentemente era appartenuto a qualche chiesa francescana poiché vi erano raffigurati S. Francesco e Santa Chiara, trasformati poi, con aggiunta di sopravvesti e di arredi abbaziali in San Benedetto, San Romualdo e Santa Scolastica.
Sopra il paliotto una grossa tela di Pietro Paolo Agabiti di Sassofferrato che qui lasciò una delle migliori sue tavole datata e firmata con la data 1524, rappresenta S. Benedetto con la Regola in mano, e accanto a lui i cari discepoli S. Mauro e S. Placido che sorreggono il largo pluviale, sotto cui stanno genuflessi sei monaci, due di questi hanno l’aureola, e sono il B. Alberto e il B. Gerardo; dietro il santo Patriarca stanno S. Scolastica e S. Girolamo.
Sotto il quadro vi è una base con tre quadretti; nel primo si vede S. Mauro giovane, che salva S. Placido dalle acque dell’Aniene; nel secondo è rappresentato l’episodio in cui un uomo, che per commissione doveva portare al Santo due fiaschi di vino, ma uno ne nascose nel tragitto ed al ritorno vi trovò un serpe.
Nel terzo è raffigurato il fatto di quel monaco, il quale, volendo abbandonare il monastero, ne fu impedito da un dragone.
Alle basi delle colonnine l’Agabiti dipinse l’Annunciazione.
Nell’altare dell’abside di sinistra un affresco rappresenta una Crocifissione a sinistra, San Benedetto da Norcia al centro e Santa Scolastica a destra.
Nel transetto di sinistra si trova un quadro abbastanza moderno raffigurante il Beato Alberto che benedice una giovinetta presentata dal proprio padre; è un’opera di Luigi Mancini di Jesi detto “Il Sordo” che la dipinse nel 1854 in occasione della costruzione dell’altare con l’Urna del Beato.
Dentro l’urna insieme alle ossa del Beato furono conservate anche quelle di un’altra persona forse si tratta dell’abate Rolando che furono trovate insieme.
Sulla parete opposta del transetto c’è un dipinto ch raffigura “la Madonna dei Templari” e nella sacrestia c’e un bellissimo lavabo a muro.
Scendendo nella parete sinistra si trova l’altare di Sant’Alberto con il catino absidale completamente affrescato; al centro in basso una Madonna con Bambino e ai lati una Crocifissione a destra e a sinistra Sant’Antonio Abate e Sant’Apollonia.
Nei quattro quadri superiori scene di vita di Sant’Apollonia e altri Santi.
Sul pilastro della colonna che fronteggia l’altare c’è un affresco quattrocentesco di Sant’Alberto.
Nella nicchia successiva si trova la statua di San Rocco in terracotta, l’opera, proveniente da Montecarotto fu qui ricollocata da una chiesa a questo santo dedicata, l’opera è stata attribuita sempre all’Agabiti.
Nel rincasso di sinistra del portale ci sono diversi reperti murati e un bel tabernacolo dorato murato.
L’opera più importante, il maestoso polittico del Sec. XV di Giovan Antonio da Pesaro, è invece conservata, presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.
Per accedere al matroneo, si passa in un locale dove è visibile l’abside della primitiva chiesa con i due medaglioni del sole e della luna riecheggianti al Dio Mitra.
 

I Misteri di Santa Croce

Il posizionamento di alcuni antichi edifici religiosi è determinato da luoghi particolari in cui si registrano picchi di energia tellurica elevatissimi, e se prendiamo ad esempio monumenti del Neolitico (dal 7000 al 4000 a.C ) quali Stonehenge in Inghilterra e del Newgrange in Irlanda, abbiamo la certezza che quegli uomini primitivi avevano avanzate conoscenze astronomiche e riuscivano a percepire e riconoscere questi “luoghi elevati“, cioè dove si registrano picchi di energia tellurica elevatissimi.
I Romani chiamavano “Genius Loci” lo spirito di un luogo, quel punto del terreno che emanava una forte energia tellurica dai poteri misteriosi, e ancora prima di loro i druidi che li chiamavano “wouivre“.
Questi luoghi erano contrassegnati da menhir, dai dolmen o cerchi di pietre o pozzi druidici che contrassegnavano, sempre a partire dal Neolitico, le aree di terra da cui scaturiva questa energia elettromagnetica.
Tale flusso energetico della terra si riscontra in particolar modo in corrispondenza di corsi d’acqua sotterranea o fratture di roccia.
Le pietre megalitiche, così come le strutture sacre, dovevano assolvere infatti la funzione di cassa di risonanza di questa energia sotterranea che può variare a seconda dei cicli lunari.
Non deve pertanto sorprenderci il fatto che luoghi come Santiago di Compostela in Spagna, o Chartres in Francia, fossero già meta di pellegrinaggio ben prima della nascita di Cristo, e che le sorgenti d’acqua che fuoriuscivano all’interno o in prossimità di tali genii loci hanno da sempre dispensato i loro doni taumaturgici, almeno a giudicare dalle moltitudini di persone che sono giunte sino a loro in ogni epoca.
Maria Grazia Leopardi, nota ricercatrice e assidua studiosa di simbolismo sacro e storia medievale, definisce infatti tali costruzioni come un ponte tra terra e cielo e numerose sono le chiese medievali che furono costruite sopra luoghi di culto precristiani soprattutto nel Medioevo, periodo in cui la Chiesa completò l’opera di cristianizzazione di ciò che restava dei culti pagani.
Tale azione di “demolizione” incontrastata della Chiesa ha incontrato un limite nell’astuzia di certi costruttori di edifici sacri e dei loro nobili committenti, infatti il simbolismo gnostico occultato da quello cristiano sottintendeva un diverso livello di interpretazione e poteva essere colto solo da adepti e iniziati.
Una lingua in codice utilizzata da maestri d’opera, eretici ed iniziati per “traghettare” il loro sapere, senza che la Chiesa ne fosse a conoscenza e potesse dunque avere motivo di assumere atteggiamenti repressivi.
Questo sapere gnostico ben conosciuto dai Templari fu criptato nelle sculture di pietra all’interno e all’esterno delle cattedrali dalla sapiente mano dei monaci costruttori Cistercensi e attraverso la collaborazione di famiglie appaltatrici appartenenti all’ordine Templare.
Per questo in un edificio sacro medievale nulla, ma proprio nulla, è lasciato al caso.
Santa Croce ne è l’esempio più evidente; il simbolo che rappresenta il fenomeno del Genius Loci era spesso un drago alato di origine celtica, e nel nostro caso la melusina, una sirena dalla doppia coda.
La sirena bi-caudata è portatrice di un profondo e antico mistero che ancora attende di essere svelato, ma all’interno degli edifici sacri, assolveva il compito di contraddistinguere luoghi in relazione con l’acqua e ad elevato potenziale tellurico.
Nel culto dedicato alla divinità pagana Mitra, così come presso tanti altri culti paleocristiani, l’acqua sorgiva era considerata sacra e aveva un ruolo fondamentale nel percorso d’iniziazione ai diversi culti, pensiamo al battesimo cristiano.
Non è peregrina l’ipotesi che Santa Croce sia stata edificata sopra un tempio pagano costruito dagli abitanti di Sentinum nel III sec. d.C. e dedicato al dio Mitra; infatti numerosi sono i capitelli presenti all’interno della struttura riconducibili all’antico culto precristiano, inoltre una statua di Mitra è stata rinvenuta nelle rovine di Sentinum, e per finire nell’orto del monastero fu rinvenuta un’epigrafe in vari frammenti con la scritta: “Iovi Soli Invicto Sarapidi” (Giove Sole Invincibile Serapide) “Sol Invictus” era infatti l’epiteto con cui veniva chiamato Mitra presso i Romani.
Santa Croce da sempre ha destato l’interesse di curiosi, studiosi, e appassionati di misteri tant’è che personaggi storici del calibro di Napoleone, Mussolini, nonché un emissario di Hitler (noto anche per la sua passione per l’esoterismo) abbiano fatto tappa al paese sentinate, e sembra anche che i re normanni, le cui truppe ebbero un ruolo fondamentale nella prima crociata, considerassero un dovere morale sostare a Santa Croce almeno una volta l’anno.
il 21 dicembre 2011, in corrispondenza del solstizio d’inverno, i Templari cattolici d’Italia hanno organizzato un grande raduno nella chiesa culminato con l’investitura di nuovi cavalieri e rivendicato la propria titolarità su Santa Croce con le sue origini Templari.
La scelta della data tra l’altro non è casuale, il solstizio d’inverno, infatti, nelle cattedrali e chiese medievali i giorni equinoziali e solstiziali avevano una particolare importanza.
L’orientamento dell’abside, così come le aperture delle monofore erano studiate appositamente per creare dei giochi di luce all’interno della struttura, al sorgere o al tramontare del sole, così come non sono rari i casi di chiese cosiddette lunari.
A questi “effetti speciali“, connessi all’astronomia e all’astrologia, i costruttori medievali attribuivano grande rilevanza.
I dettagli scolpiti dai monaci scalpellini camaldolesi, parlano attraverso una simbologia riservata agli iniziati, un numero ristretto di persone capaci di interpretarli, per tutti gli altri si tratta solo di fregi decorativi.
Le sculture di pietra presenti sui capitelli di Santa Croce del Sentinum suggeriscono quel percorso iniziatico del culto di Mitra che ci conduce idealmente all’ingresso di un mondo spirituale, quello che, secondo la dottrina degli Ofiti, una volta superate le sfere dei sette pianeti, troviamo nel cielo delle stelle fisse.
Già sulla soglia si notano due leoni con le code annodate ai piedi della lunetta del portale; questi segnano l’inizio di un vero e proprio percorso iniziatico, essi rappresentano i guardiani del luogo santo o i custodi della reliquia.
I due leoni scolpiti sulla lunetta del portale di S. Croce presentano un altro elemento molto rilevante: sette teste di serpente giacciono schiacciate sotto i loro piedi, tre sotto quello di sinistra e quattro sotto quello di destra.
Il numero sette ha una miriade di richiami simbolici; oltre ad essere il numero di tutti i percorsi spirituali conosciuti e di tutti i sistemi religiosi pagani antichi, esso racchiude in sé le sette virtù teologali e i sette peccati capitali, lo squillo delle sette trombe, i sette sigilli e molto altro ancora.
Inoltre, scandisce il movimento della vita nello spazio e nel tempo, basti pensare ai sette giorni della settimana, le sette note musicali o i sette colori dell’arcobaleno.
Una volta entrati all’interno della chiesa ed analizzate le figure rappresentate sui capitelli, scopriamo un primo elemento degno di nota: la compresenza della melusina, la famosa sirena a due code, che testimonierebbe la presenza di acqua nel sottosuolo e quindi si tratterebbe di uno di quei luoghi “elevati” in cui è attivo il fenomeno del Genius Loci, dove l’energia della terra risulta particolarmente attiva.
Già questi due elementi, i leoni e la melusina, cioè esseri metà umani e metà animali hanno un nesso con i gruppi gnostici, tra cui vanno annoverati anche i Cavalieri del Tempio, inoltre i leoni rimandano agli ordini cavallereschi poiché i gradini del trono del tempio di Salomone erano adornati da 12 leoni.
Inoltre nelle costruzioni sacre di origine templare, tra i soggetti scultorei maggiormente ricorrenti, troviamo quelli rappresentati in maniera dualistica.
Qui molte delle sculture sui capitelli ritraggono figure di animali rappresentati proprio a due a due: in alcuni casi si fronteggiano, in altri, come nel caso dei draghi alati, si danno le spalle e guardano in due direzioni opposte.
L’unico capitello che si riferisce alla storia di Cristo si trova alla destra dell’altare, rivolto verso la parete laterale nord e raffigura la Crocifissione, ma la cosa che balza agli occhi è che le mani e le braccia del Cristo siano abnormi e decisamente sproporzionate rispetto al resto del corpo, addirittura, l’apertura delle braccia supera per estensione l’altezza del corpo.
Questa rappresentazione richiama fortemente la simbologia utilizzata dai Catari.
Nella rappresentazione scultorea inoltre si nota il Cristo con il capo ritto e crocefisso con i piedi pari e non sovrapposti, il che vuol dire che i chiodi che nella letteratura cristiana sono tre qui ne vengono rappresentati 4; inoltre oltre a Longino alla destra del Cristo che lo trafigge con la lancia è raffigurata una persona più grande delle altre con una tunica tanto da sembrare una figura femminile, ma che di fatto è Giuseppe d’Arimatea, colui che aiuterà a deporre Gesù dalla Croce e ne custodirà il corpo nel suo sepolcro di famiglia.
Un altro elemento rimanda all’ordine del Tempio, ovvero la Croix Pattée, la tipica croce templare a braccia equidistanti che si trova scolpita sulla parete di destra, non appena varcata la soglia del portale di ingresso.
All’interno dell’edificio sono espressi simbolicamente i 7 livelli della conoscenza, leggibili solo da adepti; con il superamento del settimo grado, che è associato al pianeta Saturno, l’adepto poteva accedere al cielo delle stelle fisse, trascendendo così verso il mondo spirituale.
La chiave per ricostruire il percorso iniziatico rivisitato secondo gli insegnamenti ofitici passa attraverso i pianeti, a conferma del fatto che nel Medioevo il culto di Mitra costituiva uno dei mezzi più utilizzati per tramandare le conoscenze astronomiche.
Ad ogni grado non è stato associato un unico emblema identificativo ma, a seconda delle culture e del tempo, gli sono stati attribuiti più simboli; molti di essi li possiamo rinvenire a Santa Croce del Sentinum, tanto che, come osservato in precedenza, ciò ha contribuito a rafforzare la tesi della fondazione templare dell’abbazia.
Il primo grado (Mercurio) espresso dagli scalpellini camaldolesi è qui simboleggiato da un ariete sul capitello lato nord-ovest, appena varcata la soglia di ingresso della struttura all’angolo con la parete nord, addirittura sono scolpiti due arieti contrapposti, testa contro testa (dualismo templare).
Il secondo grado, quello della ninfa (simboleggiato dal serpente nella letteratura corrente) qui è espresso dalla melusina, ninfa dell’acqua e delle sorgenti divinità femminile associata al pianeta Venere (dualismo è espresso dalla caratteristica doppia coda).
Il percorso iniziatico ci porta poi al primo dei quattro pilastri che sostiene l’intera struttura, e precisamente quello lato nord-ovest; qui troviamo infatti scolpita la scena dell’investitura, e la spada raffigurata richiama il terzo grado, quello del Miles, il soldato (Marte).
Il cane simboleggia il quarto grado del culto mitriaco (Giove), il Leo; va rilevato che in questa scultura ritorna la rappresentazione dualistica, soltanto che, a differenza degli arieti, i cani si danno le spalle e guardano in direzioni opposte.
Per quanto riguarda il quinto livello, quello del Perses, ci accorgiamo che nella pieve non esiste alcuno dei simboli ad esso associato, né un arco, né un bastone, né una civetta, né una faretra, ma la cosa non è casuale, infatti per questo grado di conoscenza tutto è rimandato alla vicina chiesa di Sant’Urbano di Apiro dove esiste un capitello con una scena di caccia arricchita da tre simboli di tipo ermetico-gnostico: una stella a cinque punte, anche chiamata pentacolo, un trifoglio, denominato triquetra, ed una croce celtica.
L’inclinazione della stella conferma le intenzioni dei committenti e costruttori, che sono gli stessi per entrambe le chiese, ovvero mettere in relazione Santa Croce con Sant’Urbano e condurre l’iniziato in quest’ultimo tempio, forse proprio allo scopo di adempiere al rituale previsto per la celebrazione del quinto grado del culto.
Ciò testimonia quanto Sant’Urbano rappresentasse una tappa imprescindibile per il completamento del sentiero iniziatico intrapreso nella chiesa di Sassoferrato.
il sesto grado (Sole), denominato Heliodromos è la torcia, o la fiacco la, rivolta verso l’alto; questa è espressa nel pilastro lato nord-est, anche in questo caso ne potremo scorgere due.
Infine, per riconoscere il settimo e ultimo grado, il Pater, associato a Saturno, gli appartenenti alla setta si rifacevano alla figura di un leone e su un capitello ne troviamo due.
Il percorso che porta verso il cosmo spirituale quindi il superamento dei livelli, è espresso dal drago Ofiomorfo presente in alto vicino all’altare, lato nord-est dalle cui fauci tenta di uscire una figura umana.
Esso sta ad indicare il tentativo di impedire all’adepto di accedere al mondo delle stelle fisse e dei dodici segni zodiacali, trattenendolo in quello delle forze materiali all’interno delle sfere dei pianeti.
Contrapposto alla figura di Ofiomorfo, su uno dei quattro pilastri che sostengono la struttura, c’è la figura del saggio che rappresentava il grado di Pater; i due cerchi concentrici della tunica, oltre a ricordare le sfere planetarie simboleggiano il pellegrinaggio dell’anima dagli inferi attraverso il purgatorio, sono posti l’uno sotto l’altro e formano una specie di 8.
Anche questo elemento confermerebbe l’appartenenza ai gruppi gnostici, oltre che una possibile contaminazione in Medio Oriente; infatti, il sistema di numerazione arabo, quello che tutt’ora utilizziamo, si diffuse in Europa solo a partire dal XIII secolo, quando prese il posto di quello romano, pertanto, solo attraverso un viaggio in quelle zone sarebbe stato possibile apprendere i numeri dallo zero al nove per come li conosciamo oggi e apporre le due sfere planetarie in modo da formare un otto, anticipando i tempi di circa un secolo.
Un altro rimando ad un’altra chiesa coeva a Santa Croce e Sant’Urbano, cioè Santa Maria delle Moie che nel 1219 veniva ci tata anche come Molie S. Maria e Plani; infatti la croce templare situata sul lato destro, appena varcata la soglia, il basamento (fìché) che di solito situato in basso, in questo caso è nel braccio rivolto verso Oriente, cioè verso l’altare.
Questa indicazione è limitativa poichè è troppo ovvia; infatti se teniamo conto delle conoscenze astronomiche dei Templari scopriamo dell’altro.
Posizionando una bussola o un semplice smartphone allineato con la navata, si ottiene un’angolazione di 72 gradi est rispetto al Polo Nord magnetico e se si traccia una retta sulla cartina geografica dal punto esatto in cui si trova l’abbazia questo ci porta esattamente a Moie, abbazia edificata dalle stesse maestranze.
Forse questa abbazia è custode di una preziosa reliquia?
 

Evidenze energetiche

I luoghi di culto non sono stati scelti casualmente, ma sembrano corrispondere ai Luoghi Alti, come punti della superficie del nostro pianeta dotati di particolari energie; tali luoghi si possono definire energetici o luoghi di forza misurabili con i mezzi scientifici moderni.
La parola energia dei luoghi è spesso associata a quelle che si definiscono energie sottili non sempre determinabili con gli strumenti di misurazione scientifica, ma legate a metodologie soggettive, come accade con le rilevazioni Bovis utilizzate dai radioestesisti.
Solitamente per misurazioni ripetibili oggettivamente basta un contatore Geiger Muller.
Uno studio ha rilevato la presenza di maggiori emissioni radioattive all’interno di luoghi di culto rispetto al loro esterno, tali emissioni potrebbero essere strettamente correlate agli effetti benefici sull’organismo e alle guarigioni registrate dai fedeli.
Uno studio confermerebbe che i centri di culto possano essere caratterizzati da maggiori concentrazioni di unità energetiche vitali, rispetto alla densità standard degli ambienti esterni e che, sotto l’azione eccitante della radioattiva naturale di base, possano produrre effetti benefici e terapeutici sull’organismo.
Un altro aspetto interessante riguarda la presenza di fonti d’acqua nelle vicinanze dei siti, la maggior parte dei santuari cristiani e pagani risulta costruita in vicinanza, se non addirittura sopra, fonti d’acqua che la tradizione orale riporta essere dotate di capacità salubri.
E’ plausibile anche ipotizzare che queste acque possano semplicemente immagazzinare energia vitale durante il loro tragitto verso la superficie terrestre, sotto forma di unità energetiche vescicolari o bioni, aumentando in tal modo le qualità energetiche e terapeutiche dell’acqua.
I nostri progenitori possedevano una sensibilità maggiore nel riconoscere gli effetti positivi di alcune aree geografiche, denominate Luoghi Alti.
In questi luoghi, sedi di miracoli o di desideri esauditi o semplicemente di benessere fisico, la presenza di una energia vitale concentrata, o energia orgonica, potrebbe spiegare i benefici sulla salute riportati dalle tradizioni orali.
Nello specifico caso l’Abbazia di Santa Croce possiede un’energia tellurica di 24,48 (cpm) all’interno e di 15,26(cpm) all’esterno.
Per ultima analisi si è visto che la struttura architettonica delle 4 abbazie marchigiane si completa con quella geobiologica, determinando una vivacità energetica che possiamo percepire ancora oggi in ognuna delle quattro chiese.
Ma soprattutto, emerge in modo evidente la medesima struttura geobiologica, in particolare nell’identica disposizione dei corsi d’acqua e dei principali punti energetici.
Chi ha progettato, e poi costruito, le quattro chiese ha seguito lo stesso “stile” geobiologico, evidenziando una firma costruttiva ben definita.
 

Nota

Per approfondimenti sui misteri di Santa Croce si consiglia la lettura del testo di Riccardo Iommetti – Il segreto di Santa Croce del Sentinum – 2022
 

Fonti documentative

Breve guida storico artistica della chiesa e del monastero di S. Croce presso Sassoferrato – 1914
Riccardo Iommetti – Il segreto di Santa Croce del Sentinum – 2022
Alberto Mazzocchi, Roberto Maglione – Evidenze energetiche nei luoghi alti in Terapie d’avanguardia. Numero 17 – 2019
 

Mappa

Link alle coordinate: 43.431341 12.867519

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