Abbazia di San Pietro in Valle – Vagli di Baschi (TR)
Cenni Storici
Le origini di questa chiesa sono molto antiche, si sa che San Pietro “in Vallibus“, così era chiamata, esisteva ancor prima del 1112, al tempo di Gregorio e Clemente, monaci dell’abbazia benedettina di Farfa, che, per incarico dell’abate Beraldo, la ricevettero in possesso, con la consegna delle chiavi, dal conte Rapizzone, figlio di Guazza, unitamente ai terreni e ad un romitorio, insieme con le chiese di Santa Maria in Gallazzano e di Melezzole.
Intorno ad essa si sviluppò il castello di Castrum Vallis, che corrotto divenne Vagli, nel 1200 contava circa 160 abitanti che racchiusi dentro le sue mura o sparsi nelle case coloniche dei dintorni, formavano una delle numerose e laboriose comunità della montagna.
Coloro che crearono questo cenobio furono i benedettini di Farfa che si insediarono in un territorio occupato in gran parte dai camaldolesi in seguito alla suddetta donazione del conte Rapizzone degli Arnolfi e allo stesso tempo officiavano anche le chiese di Morruzze e Morre (cfr Regesto dell’Abbazia di Farfa); dipendeva da Farfa ed era situato appena fuori dell’attuale borgo di Vagli.
La donazione fu confermata sei anni più tardi dall’imperatore Enrico V.
Nelle vicinanze dell’Abbazia, nella Valcerasa, esisteva anche un eremo dedicato alla SS. Trinità accanto al quale si sviluppò una “Villa“; il sito era gestito dai Camaldolesi e dopo l’abbandono di questi, fu abitato e “curato” dai Benedettini con un priore e 4 monaci, provenienti dal monastero di S. Pietro in Vallibus.
Il 31 maggio 1118, Enrico V, imperatore del Sacro Romano Impero, confermando a Farfa il possesso dei beni e dei privilegi, elencava molte chiese del comitato tudertino e, tra queste, ancora due quote della chiesa di San Pietro e l’annesso romitorio.
Questa Abbazia, insieme a quella di San Bartolomeo della Canonica dei Figli di Fosco, nel 1285, partecipa alla raccolta di fondi per una crociata che non fu realizzata, promossa da Benvenuto, vescovo di Gubbio, nella sola diocesi di Todi.
In questa abbazia erano presenti monaci colonizzatori ed evangelizzatori con la presenza di un abate benedettino, il quale lo troviamo registrato come “dominus Petrus“nelle Rationes decimarum che pagava ai collettori le rate delle decime.
Riportiamo testualmente di seguito i pagamenti registrati:
8269 – Il 20 maggio 1275 registrato come “dominus Petrus” abate S. Petri de Valli de summa decime lib. VI minus XII cor. et VIII aquil. et unum romanin. de argento.
8396 – Item ab abbate S. Petri de Valli pro sua decima lib. VII et sol. XVIII et den. X cor.
8811 – Item habuerunt a conventu S. Petri de Valli pro eorum decima huius anni duos flor. De auro et VII tur. grossos et den. VIII cor. min.
9315 – Item habuerunt ab abbate S. Petri de Valli de summa decime V ro. cros. et XVI ven. et IIII tur. cros. et VI sol. et VI den. cort.
10197 – Ciccolinus famulus domini Francissci solvit pro domino … abbate ecclesie S. Petri de Vallibus VIII lib. et XI sol. pro quibus dedit I flor. auri, VII ancon., IIII venet., III volter., II sol. et X den. rav. , XI bonon. et XVIII den. cor. in presentia predictorum Guidarelli et Cresche .
L’ultima rata registrata così recita:
10410 – Domnus Petrus cappellanus ecclesie S. Petri de Vallibus solvit pro decima dicte ecclesie in dicto termino X lib. pro quibus dedit VIIII sol. et X den. raven. et VI den. cor. in presentia predictorum et solverat secundum comunem extimationem.
Una imposizione così alta, circa trenta libbre l’anno pagabili in due o più rate da maggio a dicembre, denota, tra l’altro, che il luogo dove Domnus Pietro visse ed operò insieme con il capitolo dei canonici Donadeo, Giovanni, Giacomo, e forse, Biagio, raccolti intorno al cenobio e alla chiesa, era notevolmente grande e prospero.
Decaduto il rigore di questi duri tempi, anche il costume degli abati si rilassò, fino al clamoroso caso di Domnus Giacomo che venne allontanato da qui nel 1427 dal vescovo di Todi per la sua vita scandalosa.
Più tardi, il 18 novembre 1574 il Camaiani, venendo dal castello di Acqualoreto per Collelungo, visitava quello che egli volle chiamare monastero, ma ancor meglio abbazia (“sed potius abbatiam“) che emergeva dai resti del chiostro ormai atterrato.
Questa visione e quella della chiesa umida ed esposta alle intemperie per i tetti disfatti e gli infissi rotti, confermarono nel buon prelato la triste impressione del più completo disfacimento dell’antica sede monastica e lo decisero pertanto a che venissero attuati, per il suo restauro, i primi urgenti interventi.
Da questo momento l’Abbazia inizia una fase di decadenza dalla quale non si riprese più, a questa si aggiunse l’arrivo degli abati Commendatari che ne aggravarono la situazione.
Il cenobio andò sempre più in decadimento e la sua sorte fu segnata dopo l’Unità d’Italia che lo sottrasse dai beni ecclesiastici e lo vendette ai privati, ora il complesso fa parte di un’azienda agricola con allevamento di bovini.
Aspetto
L’Abbazia sorge alle porte di Vagli, in una vallata dove zampilla una copiosa sorgente che alimenta una imponente vasca adibita ad antichi lavatoi.
Il complesso si sviluppa a forma di “L” con il braccio corto costituito dalla chiesa che però doveva essere molto più lunga dell’attuale in quanto si nota un taglio nell’architettura della parte posteriore; questa si presenta ora come un blocco squadrato con tetto a capanna ed una facciata con un portale squadrato e una finestra in asse; accanto alla porta nella parte sinistra si apre un ovale in mattoni che funge da finestra del viandante.
Il primitivo portale però doveva essere ad arco in quanto si nota la tamponatura che oggi contiene l’attuale ingresso con annesso ovale.
Il campanile a vela nella parte sinistra della facciata.
Tutto il complesso monastico è stato adibito a casa colonica e la parte bassa a stalla delle mucche; proprio nella stalla si notano antichi portali e in un locale dalle murature molto antiche, dove ora c’è il recinto delle vacche coperto da una tettoia di lamiera, doveva essere l’antico chiostro del convento.
Sempre in un locale attiguo adibito a stalla, si nota una nicchia accanto ad una mangiatoia ed un arco che sprofonda nel terreno dove pare che durante uno scavo fu trovato un sarcofago in pietra che poi è stato rimosso da esperti ma non è chiaro dove sia ora.
Adiacente alla struttura un piccolo fabbricato era adibito a forno, ma ora è in disuso.
Nella parete di fondo, nel blocco conventuale, si nota ancora la primitiva chiesa con tetto a capanna molto più piccola del blocco che la contiene, presenta ancora un portale ad arco in mattoni, il tutto riconvertito ad abitazione.
Interno
L’interno è ad aula unica, intonacato e spoglio di decorazioni e addobbi, sicuramente nel corso dei secoli ne è stato modificato l’orientamento.
Si conserva un’acquasantiera in pietra, riuso di un reperto di epoca romana.
La chiesa è ancora officiata e saltuariamente si celebra ancora la messa.
Fonti documentative
G. Comez M. Bergamini F. Vici E. Nunzi – Civitella di Massa: Castelli, ville, chiese (Civitella, Abbadia, Acqualoreto, Collelungo, Forello, Morre, Morruzze, Pomurlo, Salviano, Scoppieto, Vagli) – 1985
F. Panzetta – Tra Storia e storie: 1000 anni di presenza camaldolese nei luoghi dell’infanzia – 2018
Nota di ringraziamento
Ringrazio Daniele Mecarelli, proprietario della struttura, per aver fornito cortesemente le foto degli interni degli ambienti monacali nonché della chiesa.