Abbazia di San Pietro Aquaeortus – Allerona (TR)
Cenni storici
Si trova alla confluenza del fiume Paglia con il fiume Chiana, all’interno dell’omonimo borgo.
Una leggenda vorrebbe che il nome del borgo derivi da un passaggio di San Pietro, principe degli apostoli che, nella sua seconda venuta in Italia, sia sbarcato a Pisa e da lì, nel trasferirsi a Roma, sia passato in questo territorio compiendo il miracolo di far zampillare l’acqua per amministrare il battesimo.
Da qui il termine “Aquaeortus” (sorgente d’acqua).
La presenza dell’abbazia di San Pietro Aquaeortus, con una comunità governata secondo la regola benedettina, risale intorno all’anno 1000, epoca in cui la sua vicenda si lega a quella della famiglia dei Farolfingi che furono Conti di Chiusi e Conti di Orvieto nei secoli XI e XII.
La struttura, che ha come nucleo originario una torre a base quadrata, parte probabilmente di un tempietto pagano di epoca romana, doveva inizialmente servire come ricovero per i viandanti.
L’attività del monastero, che accolse i monaci fino alla metà del XVII secolo, fu determinante per l’opera di bonifica dei terreni e per le opere idriche di regolazione dei corsi d’acqua della zona.
L’abbazia si trovava a Sud dei terreni ricompresi nella donazione fatta da conte Winildo nel 1038 al monastero di San Salvatore del Monte Amiata, a cavallo del confine tra la contea di Chiusi e quella di Orvieto.
Il primo documento scritto in cui è esplicitamente citato il nome dell’Abbazia è un atto del 1118, con cui il conte di Chiusi, Rinaldo, cedeva all’abate Guglielmo i diritti che vantava sul monastero.
Successivamente, nel 1247, il monastero fu elevato al rango di abbazia dipendente da Abbadia San Salvatore e abitato da monaci dell’ordine cistercense.
La cronaca del reverendo don Gian Colombino Fatteschi, abate cistercense, nel 1252 così narra in merito all’Abbazia:
“Quantunque la strada consolare o romana passasse in questi tempi pel fondo della Paglia e non da Radicofani, bisogna tuttavia che, per abbreviare il cammino, o per altro motivo, qualche pellegrino capitasse in quelle bande, dove non vi era un destinato ricovero per i viandanti.
Quindi certo prete per nome Attovante di Sarteano avendo fatto costruire due case col guadagno percetto nell’esercitare la medicina, volle farne dono al nostro don Manfredo altre volte abate, affinché in una vi abitasse e nell’altra tenesse un ospizio per i viandanti“.
Dal 1275 al 1297 è confermata la presenza di un cenobio con un abate e un numero imprecisato di monaci, che pagava regolarmente le decime ai collettori pontifici, come risulta da diverse citazioni nell’elenco delle Rationes Decimarum:
“Frater Matheus conversus abbatie Aqueorte solvit pro dicta abatia et pro plebe de Meana III sol et VI denaro renforzatos” e altre simili.
Nel 1279 l’abate Ambrogio unì la comunità di San Pietro a quella dell’ordine dei Guglielmiti, presenti anche nel vicino eremo di Santa Maria di Marzapalo nella foresta del Monte Rufeno, e in quelli di Loreto, poco lontano dal castello di Meana, e di Camporsevoli nel contiguo territorio toscano.
Del 6 novembre 1282 è la notizia che lo stesso Ambrogio e i suoi monaci designarono il loro confratello Tomasso di Castello per inviarlo da San Pietro a Meana in qualità di pievano, dopo che la loro designazione fosse stata approvata, come di fatto avvenne, dal vescovo di Orvieto Francesco Monaldeschi.
Appare quindi chiara la giurisdizione che i Guglielmiti dell’Abbazia di San Pietro Aquaeortus esercitavano sulla Chiesa di Meana e su quella di San Giovenale in virtù di un diritto di patronato, prova ne sia che in data 20 luglio 1286, l’abate Pietro procedette alla designazione del monaco Alberto dell’Ordine di San Guglielmo, quale pievano di Meana, essendo morto nel frattempo Tomasso di Castello.
Altra notizia degna di rilievo, che conferma la presenza dei monaci Guglielmiti a San Pietro Aquaeortus si rinviene sotto la data del 2 luglio 1288 ed è relativa all’assenso dato, davanti al notaio e ai testimoni, dal priore generale dei frati eremiti di San Guglielmo, previa autorizzazione del capitolo generale dell’Ordine, in merito alla permuta firmata fra l’abate, il Monastero di S. Pietro e la chiesa di san Giovanni di Meana o di Montepaleario da una parte e il vescovo Francesco dall’altra, a favore della Chiesa di Sant’Ansano, di un podere del Vescovo, che un tempo era stato di Francesco Bonensegne, posto al di là del fossato di Ripuglie.
Guido Farnese, vescovo di Orvieto, nel resoconto della visita pastorale dell’ottobre 1309 ci informa erano ivi subentrati nuovamente i Benedettini Cistercensi, presenti con nove monaci, tra cui l’abate Giovanni, che, nel 1313, fu nominato procuratore per l’assoluzione della città di Orvieto dall’interdetto comminato nel 1295 da Bonifacio VIII.
Scarse sono le notizie sul monastero di San Pietro e sui suoi monaci nei secoli XIV e XV.
Nel 1406 gli abitanti di Acquapendente aiutati dai senesi e dai conti Santa Fiora devastarono l’Abbazia.
Nel 1469 il monastero è ridotto a commenda secolare a favore del nobile Enrico Monaldeschi che ne fece poi rinuncia a favore dei Canonici Regolari Lateranensi.
Tra la fine del ‘400 e i primi decenni del ‘500 la sua storia si unisce a quella della chiesa orvietana di San Giovanni Evangelista degli Agostiniani di Bologna.
Leone X, con una bolla dell’8 gennaio 1517, conferma la cessione ai Canonici Regolari.
Da un resoconto di una visita pastorale del 1607 si apprende che la chiesa dell’Abbazia era considerata rurale, dotata di tre altari, il maggiore con l’immagine della Trasfigurazione con i Santi Vittore e Vittorino, il secondo dedicato a San Sebastiano e il terzo alla Vergine.
Nel 1653 la guida della chiesa del borgo passa al clero secolare, pur mantenendo i Canonici Regolari la proprietà degli edifici monastici.
Nel 1676 i Canonici vendettero la proprietà di San Pietro Aquaeortus al cardinale Bonelli dal quale passò alla famiglia Sinibaldi, poi a quella del marchese Girolamo Antinori a eccezione di un “piccolo terreno lavorativo con casa e chiesa” rimasti alla parrocchia.
Tra il 1768 e il 1775 Nicola Antinori vendette i terreni a Francesco Costarelli che li trasmise ai suoi discendenti.
Nel 1687 risulta appartenere all’ordine degli Agostiniani della chiesa di San Giovanni Evangelista di Orvieto.
Da una visita pastorale del 1723 si apprende che era in pessimo stato di conservazione.
Nel 1844 la tenuta di San Pietro fu acquistata dal canonico orvietano Giovanni Napoleoni e in seguito passò, per successione, a Luigi Napoleoni e ai suoi figli ed eredi Giovanni e Paolo che l’hanno amministrata fino ai primi decenni del 1900.
Il vescovo di Orvieto monsignor Giuseppe Vespignani negli atti della visita pastorale eseguita il 13 novembre 1856 annota che sul campanile era posta una campana che recava la scritta “Johannes Canonicus Napoleoni sponte sua fundit” e sono pervenuti fino ad oggi paramenti e oggetti sacri che recano impresso lo stemma della famiglia Napoleoni che ne aveva fatto dono alla parrocchia.
Nel 1886 un alto funzionario del ministero della pubblica istruzione avverte l’accademia dei Lincei che “annessa ad una fattoria, sul monte San Pietro Aquaeortus, è una chiesetta del sec. XVI, rifabbricata sulle rovine di altra chiesa medioevale, o sopra i ruderi di qualche tempietto pagano; innanzi alla quale chiesetta trovasi un cippo di pietra locale, che reca l’iscrizione seguente: HERCULI / SALUTARI / TI(berius) CLAUDIUS / DENTO AUG(usti) / LIB(ertus) V(otum) S(olvit) L(ibens) / M(erito)”.
Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento il borgo era stato dotato, da parte dei comuni di Allerona e Fabro, della strada, della scuola, e del cimitero, servizi fondamentali e indispensabili per la piccola comunità che con l’insieme dei casolari circostanti ha mantenuto una popolazione costante di circa duecento individui.
Il vescovo monsignor Fratocchi, in una visita pastorale del 22 ottobre 1910 trova l’edificio sacro in pessime condizioni e annota:
“Il beneficio parrocchiale è di patronato della famiglia Napoleoni alla quale venne ceduto col possesso della tenuta.
Ed il Napoleoni dovrebbe pure corrispondere al parroco 319 franchi annui e pensare al restauro della chiesa e della casa parrocchiale; ma egli versa in cattive acque e pensa di ricorrere ai tribunali per essere dichiarato esonerato da un tale obbligo. Non è a dire se ciò sarebbe desiderabile sia perché il parroco non ha modo di avere le 319 lire annue dovutegli se non intentando causa al predetto signore sia perché perdendo Napoleoni il suo diritto la parrocchia diverrebbe di libera collazione“.
Nei primi decenni del Novecento, a cavallo tra le due guerre mondiali, la vita del borgo si svolgeva in stretto rapporto con il paese di Allerona, sede del comune, tanto per le questioni amministrative che economiche.
Il fenomeno dell’urbanesimo che, a partire dagli anni ’50 del Novecento, ha interessato tutte le campagne sottraendo progressivamente ad esse mano d’opera per l’industria ed i servizi nei grandi centri abitati, non ha risparmiato questa frazione che già nel censimento del 1961 registrava 113 abitanti quasi del tutto spariti alla fine degli anni Settanta: le case, la scuola e la chiesa, un tempo piene di vita, sono state man mano ricoperte da piante e rovi.
L’attuale struttura della chiesa risale al XVI secolo, ma è costruita sulle rovine di una più antica chiesa medioevale, che a sua volta sorgeva sopra i ruderi di un tempietto pagano.
È ornata da un campanile a vela, disposto centralmente con due fornici soprapposti.
Uso attuale della struttura
Il borgo medioevale, situato a mezza costa sulle pendici alto collinari del Parco della Selva di Meana, nato come luogo di culto e fortezza della fede per quasi settecento anni e poi trasformatosi in paese, è stato salvato nel 2005 da un destino tragico di degrado e distruzione per rinascere a nuova vita con una felice intuizione di Stefano Magini che ha intravisto tra quelle rovine la possibilità di far nascere un grande progetto di recupero dell’antico borgo medioevale per renderlo una grande struttura ricettiva capace di attrarre importanti flussi turistici verso un territorio di grande valenza ambientale e naturalistica.
Nel borgo sono state ricavate 25 unità abitative di diversa ampiezza tutti i comfort (intemet wi-fi, antenna satelli-tate, tv flat screen) in grado di soddisfare le molteplici esigenze della clientela.
La struttura è dotata di ristorante e sala convegni.
Sono disponibili inoltre la piscina esterna dotata di una postazione dove fuoriesce acqua da bocchette in pietra per idromassaggio naturale, il centro benessere interno con una piccola piscina di acqua di mare per talassoterapia, la palestra attrezzata ed il wine bar con giardino esterno.
L’ampia piazza interna del borgo è lo spazio ideale ore organizzare mostre, concerti, vernissage, cocktail.
Sono stati studiati percorsi naturalistici con aree di sosta dotate di sedute di legno per relax, conversazione e svago a diretto contatto con la natura.
Contatti della struttura
Tel +39 327 4255489
Mail info@spao.it
Sito www.spao.it
Fonti documentative
Claudio Urbani, Le confraternite alleronesi dal XVI al XIX secolo, Allerona 2008
Claudio Urbani, San Pietro Aquaeortus: profilo storico di un’abbazia e dei suoi ordini monastici, Allerona 1998
Guarino F., Melelli A. Abbazie benedettine in Umbria Perugia Quattroemme 2008
Farnedi G., Togni N. I monasteri benedettini in Umbria 2014
http://guide.umbriaonline.com/news/cosa-vedere/chiesa-di-san-pietro-aquaeortus.html
http://www.iborghisrl.it/new/wp-content/uploads/2014/03/borgo_san_pietro_aquaeortus.pdf
http://www.alleronaheimat.com/wp/?p=3363
http://www.sandrobassetti.it/lettera%20orvietana.pdf
https://archive.org/stream/notiziedeglisc1886accauoft/notiziedeglisc1886accauoft_djvu.txt
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.