Abbazia di San Martino al Cimino – Viterbo
Cenni Storici
Situata nella frazione omonima, fu realizzata nel XIII secolo su iniziativa dei monaci cistercensi dell’abbazia di Pontigny, cui papa Innocenzo III concesse delle terre nei monti Cimini con l’incarico di costruirvi un’abbazia che potesse divenire un polo di sviluppo agricolo nella regione.
La chiesa, realizzata in tempi brevi, fu consacrata nel 1225, l’intero complesso monastico, con chiostro, sala capitolare, refettorio, biblioteca, infermeria, forno e altri laboratori, fu completato prima della fine del secolo.
Nel 1379 stava rischiò di essere abbandonata a causa della mancanza di monaci, nel 1426 ve ne erano rimasti solo due.
Papa Pio II (1458 – 1464) provò a rivitalizzarla e fece eseguire alcuni lavori di restauro, ma i risultati non furono quelli sperati.
Nel 1564 gli ultimi monaci lasciarono l’abbazia, che fu chiusa e i beni incorporati nel patrimonio della Santa Sede.
Nel 1645 ricevette nuovamente il titolo di chiesa abbaziale da papa Innocenzo X, ma divenne praticamente un feudo della sua potente e perfida cognata Olimpia Maidalchini Pamphilj.
Olimpia affidò il restauro della chiesa ai migliori architetti, tra cui il Borromini.
Furono aggiunte due torri, sulle rovine delle strutture monastiche fu eretto un grande palazzo.
Anche il borgo fu ristrutturato dall’architetto militare Marc’Antonio de Rossi, con rifacimento delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni, di lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza pubblica.
Olimpia Maidalchini morì di peste nel 1657 e la sua salma venne inumata nel coro della chiesa abbaziale.
Aspetto esterno
Della vecchia abbazia cistercense rimangono l’abside e il transetto della chiesa, una modesta porzione del chiostro e qualche lembo della sala capitolare e dello scriptorium.
La bellissima facciata è racchiusa dalle due possenti torri campanarie seicentesche, ornate da un orologio e da una meridiana.
Il portale ad arco è sovrastato dallo stemma di Innocenzo X.
Sopra un finestrone costituito da due grandi monofore acute e un rosone a otto petali danno luce all’interno.
Interno
Pur pesantemente manomesso dal restauro seicentesco l’interno della chiesa conserva l’aspetto austero e solenne di un’antica abbazia.
La navata centrale è illuminata da una luce tenue che esalta il grigio dei materiali, mentre le due laterali rimangono nella mistica penombra.
All’originale severa struttura gotica si sovrappongono e si fondono senza contrasto elementi più morbidi, di un barocco sommesso.
L’altare è decorato da archetti su colonnine lisce.
L’abside, sormontata da un’elegante volta costolata, prendeva luce da sei monofore, ora quella di destra è tamponata.
Tra le opere conservate, in una cappella a destra dell’abside, spicca una tela raffigurante la carità di San Martino.
Sul transetto destro rimangono resti di affreschi raffiguranti la Madonna col Bambino tra Santi e una Madonna in trono col Bambino, si ammira inoltre una statua di un Santo vescovo.
All’interno dell’Abbazia era conservato il celebre capolavoro di Mattia Preti, lo Stendardo Giubilare, commissionato da Olimpia Maidalchini Pamphilj per essere utilizzato nelle cerimonie giubilari dell’Anno Santo 1650, ora è al Museo dell’Abate.
Nota di ringraziamento
Si ringrazia l’amico Pierluigi Capotondi, preziosa guida al sito.
Nota
La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
Fonti documentative
E. Bentivoglio e S. Valtieri, San Martino al Cimino l’abbazia il paese, Viterbo, 1973.
P. Egidi, L’abbazia di San Martino al Cimino presso Viterbo, Roma, 1907.