Abbazia di San Giuliano – Spoleto (PG)
Gli ambienti della vecchia abbazia sono quasi tutti crollati e l’unico rimasto in piedi dietro la chiesa è adibito a ristorante pizzeria.
Cenni Storici
L’edificio, che sorge lungo la strada che da Spoleto porta a Monteluco, pur appartenendo nel suo insieme al secolo XII, è legato alle origini della presenza monastica sul monte. Secondo lo Iacobilli, il cenobio fu edificato intorno al 528 da sant’Isacco da Soria.
Secondo un’antica tradizione una matrona di nome Gregoria avrebbe donato i suoi possedimenti sul colle di Monteluco a S. Isacco, monaco giunto a Spoleto dalla Siria, per permettergli di fondare una chiesa e un monastero intitolati a S. Giuliano. Il monastero esisteva già verso la fine del VI secolo, perché viene ricordato in due lettere di papa Pelagio I. In epoca incerta (VI secolo?) divenne abbazia benedettina, retta prima dai Cassinesi, in seguito dai Cluniacensi e ad essa facevano capo gli eremiti di Monteluco che, dopo la morte di S. Isacco, erano entrati a far parte della famiglia benedettina. Appartenne infatti al primitivo ordine benedettino poi a partire dal mille a quello cluniacense e fu “capo di Congregazione separata dall’ordine di S.Benedetto avendo sotto di sé molte Chiese, Hospitali e Monasteri nell’Umbria” (Iacobilli).
La badia fu soppressa verso la fine del XV secolo da papa Innocenzo VIII e passò nel 1502 ai Canonici Lateranensi, che la tennero per mezzo secolo. All’inizio dell’ Ottocento risultava distrutta da tempo imprecisato. La chiesa, anch’essa abbandonata, passò in mani private e venne addirittura utilizzata come fienile. Solo nei primi anni del ‘900 il Comune ne rivendicò con successo la proprietà, la facciata della Chiesa risulta essere mutila della parte superiore, che doveva essere a spioventi
Esterno
La facciata, che in origine si presentava forse a quattro spioventi come nella chiesa di Sant’Eufemia a Spoleto, appare oggi alterata nelle sue proporzioni dalla perdita della parte superiore, circostanza che conferisce un aspetto più pesante alla torre campanaria. Il portale a tutto sesto ha una fascia sormontata da una cornice scolpita a palmette.
Negli stipiti sono stati rimessi in opera frammenti scultorei databili al VI secolo. Lo stipite destro presenta una decorazione a motivi fitomorfi di ispirazione classica, ed una serie di formelle. Partendo dal basso troviamo: un motivo ad archetti sovrapposti e trifogli; due colombi affrontati ai lati di un cantaro rovesciato da cui fuoriescono dei tralci; bue; pantera (?); pavone con motivi vegetali.
Nello stipite sinistro: archetti sovrapposti e trifogli; due colombi come nello stipite destro ma con il vaso dritto; cantaro con tralci; croce; centauro. Gli ultimi due furono appositamente scolpiti in epoca romanica, ossia al momento della costruzione della chiesa, per completare la serie. Per gli altri è stata ipotizzata l’appartenenza ad un edificio paleocristiano, del quale avrebbero costituito gli architravi di una recinzione presbiteriale, ossia della struttura che delimitava, all’interno dell’edificio sacro, l’area intorno all’altare riservata al clero officiante.
Ricordiamo che altri due rilievi della stessa serie vennero riutilizzati nella chiesa di S. Pietro, alle pendici di Monteluco: uno, scolpito con animali entro riquadri, è murato sotto l’angolo inferiore sinistro della cornice musiva che circoscrive il rosone. Un altro interessante frammento scultoreo, anch’esso databile al VI secolo, è collocato alla base della feritoia nella parte destra della facciata di S. Giuliano.
In asse con il portale si trova una bella trifora formata da archi sovrapposti, poggianti su mensole scolpite a protomi animali (ariete e toro) e umane, sorretta da colonnine binate con capitelli a foglie.
Interno
Molto ribassato, è a tre navate uscenti in tre absidi. Le colonne in pietra, che hanno interassi diversi e risultano quindi non allineate, sono dotate di èntasi come nella chiesa di San Silvestro a Bevagna. I bassi capitelli cilindrici sono decorati da semplici scanalature, tranne il terzo a sinistra ornato da un agnello.
Le arcate della navata sinistra, a sesto acuto, appartengono ad una fase costruttiva posteriore. Dal presbiterio si accede alla cripta, le cui strutture potrebbero essere appartenute ad un edificio precedente, divisa in tre piccoli ambienti comunicanti, ciascuno terminante in un’abside. Un’ iscrizione, li presente, attestava la presenza del sepolcro di Sant’Isacco.
Nelle navate laterali sono state rimesse in luce alcune figure di Santi eremiti e pellegrini. L’intervento decorativo può essere collocato, per quel che è dato leggere, tra la fine del XVI e il XVII secolo. Le pareti del presbiterio conservano resti di un ciclo ad affresco dedicato alle storie di S. Isacco (secolo XV). Parete destra (da sinistra):
- S. Isacco in orazione
- S. Isacco e il sacrestano ossesso
Parete sinistra:
- S. Isacco e i falsi poveri ignudi
Nell’abside è conservato un ciclo pittorico organizzato secondo registri orizzontali. Dal basso troviamo:
- un fregio a finto arazzo
- otto Santi benedettini
- S. Benedetto in trono tra i SS. Isacco, Mauro, Placido, Giuliano, Scolastica e la beata Gregoria con il cartiglio della donazionev
- Madonna con il Bambino
- nel catino, l’Incoronazione della Vergine e angeli
Gli affreschi furono eseguiti nel 1442 al tempo dell’abate Argento Campello da un pittore noto con il nome convenzionale di Maestro di Eggi, molto attivo e Spoleto e nel suo territorio. Egli ripropone, ancora verso la metà del Quattrocento, un linguaggio che si ispira alla tradizione spoletina del secondo Trecento, appena ingentilita dall’introduzione di elementi tardogotici, come ad esempio le nicchie a conchiglia entro cui sono inseriti i santi o le cornici che riquadrano l’abside, la sagoma svasata delle figure o l’andamento dei panneggi. Questi aggiornamenti non vogliono però mettere in discussione modelli e stilemi già lungamente collaudati e perciò ben accetti nel ristretto ambito dei suoi committenti, monaci e contadini.
Nella chiesa si annoverano anche:
- frammenti di un dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino, di cui restano solo i due volti
- Lastra iscritta, nella terza colonna a destra, del XII secolo, che ci informa di una fase del rinnovamento romanico della chiesa patrocinata da un certo Nicolò Bacarelli: NICOLAUS BACARELLI BONV(M) OPPIVS CEPIT OPERARI QVANDO IN HAC EDE. V. COLVMPNAS FEC HEDIFICARI. CUIUS A(N)I(M)A BENEDICTA(T) VR. Che significa : “Nicolò Bacarelli cominciò a realizzare la buona opera quando in questa chiesa fece innalzare cinque colonne; la sua anima sia benedetta“
Gli Eremiti
Secondo Gregorio Magno S. Isacco giunse a Spoleto dalla Siria verso la fine del V secolo e volle condurre vita di eremita in un luogo deserto non lontano dalla città, che la tradizione identifica con Monteluco. Il suo esempio fu seguito da molti altri e così, in breve, il monte divenne una sorta di grande monastero in cui i monaci, secondo il modello orientale delle “laure”, vivevano isolati in celle o grotte sparse per la montagna, in obbedienza ad un abate che risiedeva a S. Giuliano.
La fama di questi eremiti fu così grande che ancora nel 1556 Michelangelo, in una lettera, dirà di aver provato:
“un gran piacere nelle montagne di Spuleti a visitare que’ romiti”
Bibliografia
Pieghevole a cura dell’Arcidiocesi di Spoleto-Norcia
“Abbazie Benedettine in Umbria” di Francesco Guarino e Alberto Melelli edizione Quattroemme