Abbazia di Naro – Cagli (PU)
Galleria autorizzata dalla Diocesi di Fano
Cenni Storici
Gli ultimi restauri della chiesa condotti qualche anno fa dalla Sopraintendenza di Ancona (1974-75), hanno messo in luce la sua origine altomedievale con moduli bizantini; il che ci porta molto più indietro, sì da dover ammettere, secondo il Palazzini, che la costruzione della chiesa sia anteriore all’insediamento dei Benedettini. Questi infatti, sopravvenuti più tardi, portarono la loro abbazia ad un periodo di splendore attorno alla metà del XII secolo fino a gareggiare con quella di San Pietro di Massa e quella di San Geronzio in Cagli, mentre alla metà del XIII secolo la comunità religiosa iniziò a manifestare forti segni di decadenza. Nel 1217 il potere politico esercitato dall’abbazia di Santa Maria Nuova sui terreni circostanti portò l’abbate feudatario Raniero a confrontarsi con il Comune di Cagli e a decidere poi di sottoporre il Castello e gli uomini di Montelabbate allo stesso Comune. Ma queste sottomissioni, consigliate dal timore di mali maggiori e di sicura rovina, non erano sincere e ben presto divamparono in aperta ribellione. Infatti l’Abbate, approfittando della ribellione di altri feudatari, sottrasse il Castello alla giurisdizione della Città. Da una pergamena con data 31 dicembre 1223 risulta che i Cagliesi ripresero con forza il Castello imponendo all’Abbate le condizioni di resa, sottoscritte (nel monastero di S. Geronzio) dall’abbate Raniero per Montelabbate e da Piero di Ugolino, Camerlengo, per il Comune di Cagli. Seguì nel 1251 un’altra convenzione tra il Comune e l’abbate Don Uguccio ed altri uomini, in cui l’Abbate cedeva o meglio sottoponeva di nuovo il Castello al Comune di Cagli rinunciando così del tutto alla sua indipendenza. Forse l’esempio del Monastero di San Pietro messo a ferro e fuoco, dovette avere influito in questa determinazione. A sua volta il Comune prometteva di concedere libera caccia nelle selve circostanti e di non distruggere mai il castello, anzi di mantenerlo in buono stato e difenderlo assieme al monastero. Inoltre si obbligava di dare all’Abbate una delle migliori case del Castello stesso con due uomini a servizio. In base a questa cessione che esautorava i Benedettini, il Comune mandò un capitano a custodia della torre di Montelabbate. Verso la fine del secolo XIII, come già accennato, l’importanza e la ricchezza del monastero andava calando; basandosi infatti sulle decime versate, sembra che queste dovessero essere pari alla metà di quelle versate dal Monastero di San Pietro di Massa, perché mentre quest’ultimo versava sedici libbre, l’Abbadia di Naro ne pagava solo otto. Ma la cessione al Comune di Cagli non proteggeva questo luogo dalle invasioni dei vicini feudatari, intenti ad allargare il loro dominio e diventò ben presto oggetto di contrapposti appetiti. Nel 1294, infatti, con un colpo di mano, se ne impadroniva Puccio,figlio di Trasmondo Brancaleoni e di Guglielmina Mastini, conte di Roccaleonella. L’ iroso Puccio aveva già partecipato come ghibellino ai luttuosi eventi cagliesi del 1287 e, promettendo difesa, ottenne che gli uomini di Montelabbate gli giurassero soggezione ed obbedienza. I Cagliesi, profondamente addolorati di tanta perdita, fecero una fortunata spedizione, sconfissero l’usurpatore e lo costrinsero, come dice lo storico Gucci, “a tornare fra l’aspre giogaie di Roccaleonella”. Ma nonostante l’insistenza di Puccio per la riconquista, Montellabate tornò nel 1299 alla obbedienza di Cagli, che vi lasciò alla difesa molti soldati con il capitano Consolo Leoni. Il mantenimento della giurisdizione cagliese su Montelabbate si sarebbe fatto difficile perché Galasso, conte di Montefeltro, ghibellino e grande amico di Puccio Brancaleoni, occupava il castello stesso; ma l’impresa riuscì favorevole al Comune che si era ben preparato all’attacco, tanto da riconquistare il castello. Ciò nonostante i Brancaleoni di Rocca non distolsero la loro attenzione, sempre poco benevola, dal castello e il figlio di Puccio, Nicolò, vi fece una scorreria nel 1324, non trascurando il monastero e perfino ai danni della chiesa di Santa Maria Nuova. L’elenco dei beni, che il monastero possedeva attorno a quei tempi, lo abbiamo nel “Liber appassatus” – libro di estimo a finalità fiscale – del 1339 e parte di quei beni i monaci li concessero in enfiteusi. L’Abbazia, ormai in crisi, gradatamente ebbe a perdere la sua autonomia verso la metà del 1400 e venne data in commenda con tutti i suoi beni e le chiese dipendenti ai vescovi di Cagli: questa fu la sua rovina e così fu anche quella di altre Abbazie circostanti. Il primo vescovo commendatario con il titolo di Abbate e la mitra fu – a dire di alcuni storici locali – mons. Antonio Severi (1442-1444). L’unione alla Mensa Episcopale avvenne sotto il Papa Leone X che aveva concesso pure quella della Abbazia di Massa, ed è documentata nel 1533, ma dovette probabilmente avvenire attorno al 1515 con il vescovo Albizi con l’obbligo di stipendiare un cappellano per la cura delle anime. Da allora vi succedettero diversi cappellani fino ad arrivare a don Gottardo Buroni (1911-1920) con la presenza di seicento anime. Nel 1930 con pochi beni necessari la chiesa diveniva sede parrocchiale indipendente. Il primo parroco fu don Egizio Bischi di Piobbico che dal 1920 era cappellano; vennero poi don Nazzareno Bartolucci dal 1969 al 1980, e don Elpidio Torri fino al2008. Da questa data la parrocchia è assegnata a don Luigi Parolini che la cura assieme a quella di San Severo di Smirra, in modo puntuale e davvero scrupoloso.