Eremo di Sant’Angelo “de Prefolio” – Pieve Torina

La struttura si nota maestosa sulla parte sinistra del monte nella parte più stretta della valle Sant’Angelo sulla strada che da Colfiorito porta a Pieve Torina

 

Cenni Storici

Il Santuario di Sant’ Angelo “de Prefolio” è posto a quota 690 a sud-est del Pennino, sta a guardia della strada della transumanza battuta dalle pecore che dai pascoli dello stesso monte scendevano verso sud lungo la Val Sant’Angelo, la valle che collega l’altipiano di Colfiorito a Pieve Torina.
L’eremo sicuramente ha riadattato a scopi cultuali cristiani una grotta naturale utilizzata come santuario pagano in età preromana romana, ciò dovuto anche per essere situato lungo una importante via di transito transappennica.
Sulla facciata dell’esterno è incastonata una lapide semicircolare, ricomposta da più frantumi, un tempo posta sull’arco della porta d’ingresso della chiesa, che doveva appartenere alla lunetta del portale della chiesa primitiva.
È ornata da un motivo ad intreccio; vi sono due leoni che volgono il capo ad una croce campeggiante al centro e si mordono la coda. L’iconografia è tipica dell’arte romanica dove il leone simboleggia il guardiano del luogo sacro. La scritta, con le righe curiosamente invertite ( la terza è posta in cima, forse il lapicida aveva calcolato male lo spazio a disposizione), secondo la lettura del Santoni ( messa recentemente in discussione ) così recita: “ANNI D(OMI)NI SUNT MCXLVIII IN-DICTIO XI / P(RI)OR DEUTESALVE ET FRIDERICUS DUX ALBERTUS COMES GISLA ET ALII / ET ALIORUM HOMINES QUI ADIUTORIUM IMPENDER(UNT) VIVANT IN Xo (CHRISTO)”.
La lapide è il documento più antico e fa memoria di un intervento edilizio, forse la monumentalizzazione della grotta micaelica, fatta nel 1148 dal priore Diotisalvi, con l’aiuto del duca di Spoleto Federico, del conte Alberto, di Gisla, di altri e della sua gente di discendenza longobarda.
Alberto era il conte di Prefoglio, castello dirimpettaio al santuario micaelico e Gisla era probabilmente sua moglie: da qui l’ipotesi che il santuario fosse stato scelto come sepolcreto dei domini di Prefoglio come anche lascia supporre il sarcofago romano per bambino in marmo bianco, ora riutilizzato come altare, quello prossimo all’ingresso della chiesa.
Nel1252, in clima di “restaurazione”, i “domini” dovettero vendere il loro castello di Prefoglio al Comune Camerino, mantennero però lo iuspatronato sul santuario per la cui gestione si servirono di un capitolo canonicale, presieduto da un priore.
Un documento del 1372, conservato all’Archivio di Stato di Parma ricorda, infatti, la presenza di
« un priore e nove canonici». Su uno stipite della sacrestia è murata una pietra tombale che porta la data del 1446 con su la scritta “ HIC IACET DOMINA PIISIMA ALPHONSI 1446 “.
Gli ultimi priori furono nominati nel XVII secolo.
Successivamente l’eremo fu curato da eremiti laici più avanti ricordati.
Nel secolo XVIII, fu ridedicato ai “Santi” ed il fatto è legato alla tradizione che vuole la presenza dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di passaggio in quel luogo ai quali si attribuisce la prima evangelizzazione della zona.
 

L’ EREMO E GLI EREMITI

L’eremo nel corso degli anni è stato abitato da diversi eremiti
Veri“ e “ Fasulli “ infatti intorno al XVII secolo la zona era infestata da malfattori che depredavano o truffavano i passanti trovando poi rifugio nelle grotte e nell’eremo e spesso erano gli stessi “ eremiti “ che compivano tali gesti.
Colui che però ha lasciato la maggiore traccia della sua presenza è Fra Giacomo Squaglia di Lucca, della congregazione dei passionisti, a cui si deve il restauro del 1879 ricordato in una targa marmorea affissa all’esterno. Dopo di lui altre persone hanno abitato l’eremo vivendo in solitudine e di elemosine. Fra gli ultimi eremiti si ricorda una coppia di sposi, lui si chiamava Peppe e lei Ginevra; stando ai racconti raccolti sul posto pare che lui fosse un uomo sereno pacato e sottomesso mentre lei era una donna energica, robusta e molto mascolina tanto che era solita fumare il sigaro, chiedevano anch’essi l’elemosina, raccoglievano erbe e accoglievano i pellegrini nelle loro stanze e facevano loro delle frittate utilizzando una vecchia e grande padella che era una delle uniche pentole che avevano.
Dopo di loro l’eremo è stato abbandonato e come tale ha subito diversi furti tra cui per ben due volte la campana. La prima volta però, non si sa come mai, fu ritrovata poco distante abbandonata in un sacco nero dell’immondizia, e qualcuno ha voluto pensare ad una intercessione di San Michele che ha spaventato i ladri, la seconda volta però durante i lavori di restauro della chiesa avviati dopo il terremoto del 1997, è sparita definitivamente. E’ stata sostituita con una nuova acquistata con collette dei parrocchiani, contributi di benefattori e intervento di Enti.
Anche le grondaie e i discendenti di rame sono stati asportati dai ladri e anch’essi rimessi ex novo.
 

ASPETTO INTERNO

Entrando, dopo l’ambiente quadrangolare più moderno, un arco trionfale (forse parte della primitiva facciata) introduce nell’antico santuario.
È formato da un unico vano ad asse curvo, per adattarsi all’andamento naturale della cavità. La volta di pietra, a botte, si rastrema e va diminuendo la sua altezza verso il fondo dove non supera i 2 metri. A destra essa poggia su di una doppia arcata sostenuta da rozze colonne; l’unico capitello presente è ornato da fregi geometrici e da una testina.
In un concio del muro adiacente si rileva una figuretta in bassorilievo, che fa pensare proprio a divinità pagane.
Sulla parete opposta un’altra nicchia ospita una statua di S. Michele molto rovinata e addirittura monca di alcune dita, asportate dai devoti che le tengono come reliquia. Il pavimento, interrotto da alcuni bassi gradini, è realizzato con lastroni di pietra rossa, di varia grandezza e forma; alcuni sono probabilmente di recupero per la presenza di modanature ereditate da precedenti utilizzazioni.
Sul fondo della cripta, spostato sulla sinistra, si erge il complesso più suggestivo e misterioso del santuario. Un’ara in calcare rosso, grossolanamente scalpellata, poggia su di un cippo lapideo ed è circondata da quattro colonnine di grigio marmo cipollino, prive di basamento e di capitelli. Alcune sono parzialmente inglobate nella volta; ciò denota che il gruppo era già presente prima della costruzione di quella. Esse potevano sostenere il tettuccio di un ciborio. Si è fatta anche l’ipotesi di più antiche utilizzazioni cultuali, precristiane.
Una stretta porticina, con arco a pieno centro, permette l’accesso al vano retrostante la cripta, costituito dalla prosecuzione della cavità naturale che si estende per circa 35 metri; il fondo è sbarrato da grossi massi di frana. Sul pavimento della grotta vi è una vaschetta quadrata che raccoglie la “stilla” elemento terapeutico costantemente presente in tutti i santuari micaelici.
 

ASPETTO ESTERNO

L’eremo si staglia nel mezzo del bosco a mezza costa su un fianco della montagna che si affaccia sulla valle dell’Angelo, colpisce subito il massiccio colonnato cieco di contenimento che ha sviluppato sopra di esso il modesto sagrato e che ha creato un piccolo spazio a ridosso dello strapiombo.
Appena si arriva alla sinistra sorge una piccola casetta che era un tempo la stalla e sopra il fienile dell’eremita e dove ancora murato all’esterno è ancora visibile il gancio in ferro dove l’eremita legava il cavallo, addossato ad essa il pozzo e la fonte.
Il blocco della facciata è costituito da un piccolo corpo addossato alla parete sinistra della chiesa ed è la sacrestia, segue la facciata e l’ingresso della casa canonica. Uscendo dalla casa nella parte opposta una piccola scalinata porta all’orto dell’eremo e ad un cortiletto che si affaccia proprio sotto la casa , dove si nota in maniera evidente una spalla di un arco in pietra sponga tappato da un muro in pietra squadrata locale che sarebbe poi il muro di contenimento su cui si eleva la canonica. Questo dettaglio fa pensare che il santuario in origine non fosse solo costituito dalla grotta che vediamo oggi, ma che abbia avuto più ambienti ipogei pagani probabilmente dedicati alla dea Mitra, e sicuramente alla stessa Dea venivano dedicati sacrifici, ciò testimoniato da una base di un’ara sacrificale con incavo di contenimento del sangue e una canaletta di scolo che oggi è usata come soglia degli scalini dell’orto e un tempo era usata come lavandino.
 

EREMO DA SCOPRIRE

Sarebbe interessante scoprire se quel muro effettivamente nasconde ambienti ancora sconosciuti.
Che la montagna su cui grava l’eremo sia costituita da vari ambienti cavi è dimostrato da più fattori, infatti sulla sommità della stessa nella spianata sopra l’abitato di Giulo, c’è un pozzo che gli abitanti del posto definiscono “ senza fondo” e probabilmente attinge l’acqua da una cavità rocciosa presente all’interno del sottosuolo.
La stessa grotta della chiesa, che ha subito crolli nella parte terminale, e che quindi non permette a pieno l’esplorazione, sarebbe un canale di scolo di un “ Troppo-pieno” di una cavità interna di ben più ampie dimensioni, ciò è documentato dal fatto che per ben due occasioni ( ricordate dal parroco ) dal condotto è uscito un fiume di acqua che non avendo più lo sbocco naturale ha allagato la chiesa e sfondato le porte per poi saltare nella valle sottostante.
Queste alluvioni si sono verificate negli anni 40 e l’ultima a Novembre del 2013 dove l’acqua all’interno oltre ad aver ammassato banche e suppellettili verso la porta ha raggiunto all’interno l’altezza di 1,10 m.
 

SANTUARIO TERAPEUTICO

Il santuario è frequentato principalmente per scopi taumaturgici, come testimoniano i numerosi ex-voto e scritte alle pareti, infatti fino a qualche anno fa la chiesa custodiva numerose stampelle ed ex voto lasciati in devozione per grazia ricevuta.
Attraverso uno stretto e basso passaggio ( che obbliga ad inchinarsi ) si può accedere, , ad una sorgente d’acqua miracolosa, benefica per i dolori reumatici e nervo sciatico.
Alcuni ritengono quest’acqua sia anche efficace contro i dolori di testa; altri si affidano alla condensa che si forma sulla superficie delle colonne ( si dice che esse sudano); altri ancora ritengono efficace strofinare le parti del corpo doloranti sulle medesime colonne, specialmente contro i dolori reumatici e delle ossa.
 

LE LEGGENDE

Una leggenda, presente anche in altre grotte( Eremo di Sant’Eustachio in Domora ) da cui sgorgano le acque, racconta di un gallo che entrato nella cavità è poi uscito da qualche altra grotta molto distante, sull’altro versante della montagna, facendo sognare gli speleologi sull’eventuale presenza di grandi complessi ipogei.
La tradizione vuole che Pietro Angeleri, già papa Celestino V, dopo essersi dimesso dalla carica di papa si sia rifugiato in questa grotta.
Un’altra leggenda racconta del tentativo di asportarne le colonne che, caricate su un carro tirato da buoi, dovevano essere trasportate a Pievetorina, ad ornare la chiesa parrocchiale. Giunta però la notte, il carico dovette essere lasciato ai piedi dell’eremo; ma, il giorno dopo le colonne furono ritrovate di nuovo nella grotta, misteriosamente in piedi al loro posto.
Si narra anche che una volta passò a Pievetorina una carrozza trainata da cavalli che trasportava una famiglia con una bambina muta dalla nascita e il conducente chiese in paese do ve si trovasse nella zona un santuario miracoloso di cui aveva sentito parlare. Presa la strada per la valle Sant’Angelo ad un certo punto la bambina che curiosa guardava intorno il paesaggio improvvisamente disse al padre “ Papà è quello su in alto il posto dove dobbiamo andare?”
Un’altra leggenda racconta di un tesoro nascosto in un punto unico della stretta gola da cui si possono vedere contemporaneamente tutti e tre i campanili della valle, cioè Pieve Torina, Sant’Angelo e Santa Maria di Prefoglio. Pare però che un giorno una persona riuscì a trovare tale punto, allora armato di piccone e pala si mise a scavare fino a che trovò una cassa, però quando fu sul punto di aprirla si fece improvvisamente buio e fu assalito da un branco di corvi tanto che dovette scappare, lasciando li il tesoro.
 

FESTA DELL’EREMO

Il santuario rupestre si animava tra Medioevo ed età moderna l’8 maggio, festa dell’Arcangelo ( e momento dell’inizio della transumanza verso i pascoli del Pennino ); mentre il piccolo pellegrinaggio fu favorito dal ruolo di psicopompo di Michele, per cui si saliva in questo luogo isolato non solo per le feste dell’Angelo, ma anche per la celebrazione di messe in suffragio dei defunti.
Nei giorni deputati partivano diverse processioni dai paesi vicini che attraverso i numerosi sentieri della montagna finivano presso il Santuario e l’incontro dei diversi gruppi era la vera occasione di festa, religiosa e popolare. Ad oggi la festa si celebra il martedì di Pasqua e il rito è tuttora mantenuto.
 

DA VEDERE NELLA ZONA

Mulino ad acqua di Fiume
Ponte Romano
Castello di Prefoglio
 

FONTI DOCUMENTATIVE

I Sentieri del silenzio – guida agli eremi rupestri ed alle abbazie dell’Appennino umbro-marchigiano di Andrea Antinori Società Editrice Ricerche
Alle Radice della Committenza Santuariale di Don Mario Sensi
Testimonianze verbali raccolte dal rettore Sacerdote Candido Pelosi a cui va la mia più profonda stima e riconoscenza per la disponibilità manifestata.
 

Mappa

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