Eremo delle Grotte dei Frati – Gole del Fiastrone di Fiastra (MC)
Cenni Storico-descrittivi
La Grotta dei Frati, profonda circa 47 metri, si apre al di sotto delle strapiombanti pareti calcaree, che dalla zona di Sottacqua, nel versante sud del Fiegni precipitano sull’alveo del Fiastrone. Nella grotta più grande fu eretta una piccola chiesa che era dedicata a Sant’Egidio, eremita molto caro ai Clareni, tanto che sull’opposto versante, gli fu anche dedicato uno scoglio detto appunto di S. Egidio. Il Santo era abate ed eremita francese, molto caro all’immaginario dei monaci, il popolo lo rappresenta dimorante in una grotta con una capra (o una cerva) che gli fornisce il latte per averla salvata miracolosamente dalle frecce dei cacciatori.
Il “luogo di S. Egidio dell’ eremita” è già citato in documenti del 1256 e si tratta del più antico riferimento alla Grotta dei Frati, anche detta, nelle stesse carte, “Frati Minori di Fiegni“. I Clareni successivamente intitolarono la chiesetta a Santa Maria Maddalena o “Santa Maria Maddalena de specu“.
I Fraticelli, preso possesso di questo luogo provvidero a rendere più agibili le rocce che a strapiombo si affacciavano sul Fiastrone.
Osservando attentamente la consistente opera edile eseguita dai frati, si può a buon motivo presupporre che essi prima costruissero la cisterna onde poter disporre di una abbondante quantità di acqua necessaria per spegnere la calce che unitamente all’argilla costituiva l’elemento di base per cementare le pietre utilizzate nella costruzione.
Di fatto i tre colmi di accesso dell’acqua alla cisterna sono collocati tutti verso il basso per permettere all’acqua di entrare e non di uscire. Siccome non vi sono fori d’uscita i frati sfruttavano anche la minima goccia che entrava nella cisterna.
Alla base del lato più alto e stato costruito un bacile che permette di raccogliere i detriti o residui provenienti dalla pulizia della vasca stessa, per cui chi l’ha progettata ha considerato anche il futuro utilizzo dell’acqua proveniente dallo stillicidio dei colmi e della roccia lasciata allo stato naturale che e ben visibile in fondo alla cisterna.
Effettuavano lo spegnimento della calce nell’incavo naturale che si trova tra la grotta grande e quella del lavatoio: ancora oggi è visibile, la fascia bianca lasciata dalla calce nella parte più in basso della roccia.
Dopo la cisterna, avendo necessità di una base di appoggio in piano, probabilmente avranno dedicato i loro sforzi alla costruzione dei muri di sostegno del perimetro esterno, alcuni tuttora ben visibili, per poter disporre di un piano di appoggio stabile per la costruzione del convento.
Il muro che cinge la parte ovest dell’eremo, verso la grotta detta dei “Partigiani”, mostra uno spessore di notevole consistenza ed e stato spiccato sfruttando ogni più piccola possibilità di appoggio della roccia che va a picco verso il fiume.
Sul terreno ormai livellato e stabile hanno provveduto a costruire il convento realizzandolo su un piano terra, primo piano e sottotetto; il piano terra in parte rimane sepolto sotto le macerie, ma da quanto e visibile si intuisce che questo era attraversato da un corridoio che immetteva sulle varie stanze o celle. Dalla stanza che risulta essere la più grande e probabilmente adibita a refettorio, si può accedere all’interno della grotta passando dietro l’altare.
Al primo piano si accedeva tramite una rampa di scale tuttora intatte che si ergono alla destra dell’entrata alla grotta.
Giunti alla sommità, rivolgendo lo sguardo verso destra e quindi contro la roccia, si notano i fori di appoggio delle travi che costituivano il solaio del sottotetto nonché quelli del tetto che per non subire infiltrazioni di acqua era stato infilato in un taglio di roccia trasversale fatto dai frati stessi.
L’eremo è di dimensioni notevoli considerando che le mura di sostegno si defilano lungo la roccia per una sessantina di metri e dall’entrata della grotta agli ultimi ruderi del convento ci sono venticinque metri. Nel 1587 ci vivevano sette frati, uno in meno che a San Liberato.
Nel 1652, in occasione della soppressione di alcune piccole comunità, il convento della Grotta fu affiliato a quello di Colfano, il cui superiore provvedeva, nei giorni festivi o ricordativi, al servizio religioso per i pastori e per i carbonai della zona.
Col passare del tempo, non essendoci più una vera comunità, si ebbe il degrado dell’ambiente e la vegetazione prese il sopravvento, il terriccio ed i detriti portati dalle acque che dall’alto scendevano verso il Fiastrone, invasero l’interno della grotta che rimase quasi interamente sepolta.
Negli anni ’70, grazie ai sacrifici di uno dei frati Minori di Colfano, P. Natale Sartini, i detriti sono stati asportati dall’interno della grotta che è tornata come era allo stato primitivo con la sua chiesetta, con la cisterna, l’altare e tutto il resto.
Oltre alla grotta grande ve ne sono altre due ai lati, la prima di modeste dimensioni, ha sul fondo, dirimpetto all’entrata, un muretto di sostegno ed una piccola vasca simile ad un lavatoio o ad una fonte utilizzata dalla comunità.
Di qui l’appellativo di “Grotta del Lavatoio”.
Forse l’esaurimento della sorgente, per abbassamento della falda idrica, segnò la fine del monastero.
Per l’acqua, certamente gli eremiti non potevano scendere al fiume, ne potevano utilizzare l’acqua della cisterna, che, non avendo ricambio, diventava stagnante. Poteva essere utilizzata per la pulizia personale e per gli animali: qualche capra o asino.
All’altra grotta che si trova oltre l’eremo si accede da un sentierino molto angusto.
L’accesso alla grotta e ampio ma di modesta altezza. E’ ubicata a strapiombo, sul vuoto, con un salto di 250 metri a picco sul Fiastrone. All’interno e stata posta una Madonnina.
E’ chiamata Grotta dei Partigiani perché nell’ultimo conflitto vi hanno trovato rifugio gli uomini della resistenza delle frazioni vicine.
Aspetto interno
Entrando nella cavità, si accede ad un atrio di dimensioni nove metri per nove, alto dai quattro ai cinque metri, sul cui fondo si erge la cappellina ipogea. Un muro curvo, che delimita a sinistra l’ambiente e si ricongiunge alla chiesuola, simula una irregolare navata, con la cappellina in funzione di abside o di porziuncola.
L’edicola ha forme quadrate di quattro metri e mezzo di lato, con una altezza alla chiave di volta di tre metri e sessanta. Ha facciata cuspidata con un arco ogivale che poggia su mensole; la volta a crociera ha vele sostenute da costoloni di cotto, che si dipartono dagli spigoli e poggiano anch’essi su mensole.
L’austerità e la semplicità stilistica è massima; una nicchietta trilobata e la cornice modanata della cuspide è tutto quello che orna la facciata. La copertura è ormai inglobata tra i detriti e le concrezioni, in un unico ammasso; sul lato destro una porticina permette l’accesso ai vani ipogei posteriori. Tutto il complesso è costruito in pietra sponga, un travertino molto poroso, che si deposita abbondantemente nei pressi delle sorgenti calcaree, estratto sicuramente nella zona, facile da lavorare.
La pavimentazione è in mattoni, affiancata al lato sinistro della grotta, a livello del pavimento vi è una cisterna costruita per raccogliere le infiltrazioni d’acqua della parete rocciosa. Dietro alla cappellina si può accedere per un angusto passaggio al resto della cavità naturale costituita da un condotto che scende verso il fondo chiuso, dove spesso dimora una piccola colonia di pipistrelli.
Bibliografia
I Sentieri del Silenzio Guida agli eremi rupestri ed alle abbazie dell’Appennino Umbro-Marchigiano di Andrea Antinori Società Editrice Ricerche
“Grotte e Sentieri dell’alta valle del Fiastrone” a cura delle Amministrazioni comunali di Fiastra e Cessapalombo 1991 – Gian Claudio Giubileo.
Da vedere nella zona
Gole del Fiastrone
Abbazia di San Salvatore – Monastero
Lame Rosse
Chiesa di San Lorenzo al lago
Castello Magalotti
Chiesa di san Paolo al castello Magalotti
Santuario del Beato Ugolino
Abbazia di San Salvatore di Rio Sacro