Chiesa di Sant’Angelo di Nace – Camporoppolo di Spoleto (PG)
Cenni Storici
La piccola chiesa rurale di Sant’Angelo in Nace, comunemente denominata dai locali “Sant’Agnorillu“, cioè “Sant’Angioletto“, sorge lungo il rettifilo dell’antico diverticolo della Via Flaminia, circa a metà strada tra l’abitato di Protte e quello di Beroide e all’imbocco di due assi viari che conducono rispettivamente a Camporoppolo e a Camposalese.
La chiesa romanica, databile in base alle caratteristiche architettoniche intorno al XIII- XIV secolo, è sorta al centro di uno snodo viario importante per le comunicazioni interne alla piana spoletina.
Sul posto furono trovate alcune iscrizioni funerarie, di cui una murata sulla facciata, suppellettili sacre ed altro.
La lapide misura 1,05 per 0,55 m e reca la seguente iscrizione: IN. FRON. P. XI / IN. AGR. P. XII.
La scritta fa riferimento alla grandezza del lotto di terreno utilizzato per la sepoltura, indicandone l’estensione in piedi romani in lunghezza rispetto alla strada (in fronte) e quella in larghezza verso il campo (in agro).
Una seconda iscrizione, risultava murata su un sedile della chiesa: C. LATTELIO/…..OET.
Una terza è citata dal Sansi (op. cit. p. 82): C. IASSENU C. F. SIB.
Questo elemento ha portato all’ipotesi, avanzata dal Serafini (“Addizioni al Minervio“, Parte II) e confermata dal Sansi, che la chiesa fosse sorta sul luogo di una sanguinosa battaglia tra le truppe sillane e quelle mariane avvenuta nel corso della I guerra civile romana, da cui deriverebbe il nome Nace, che in origine poteva essere Nece (dal latino Nex, necis) in riferimento appunto alla strage.
Scrive il Sansi, in riferimento ad una sanguinosa battaglia tra Mario e Silla avvenuta nella piana di Spoleto:
“Quando Silla giunse a Roma, Mario era morto da poco, e il figlio dello stesso nome e Carbone tenevano il governo.
Superato il giovane Mario nel Lazio, e costrettolo a rinserrarsi a Preneste, il vincitore, appena entrato a Roma, aveva senza indugio condotto le sue legioni in Etruria contro Carbone. Mentre colà si combatteva con incerto successo, una divisione dell’esercito rivoluzionario, che stanziava a Spoleto, sotto il comando di Carinate, e che si muoveva verisimilmente per congiungersi al corpo principale, fu assalita da Pompeo e da Crasso, pretori di Silla, che dal Piceno, per la via dei monti, erano penetrati nell’Umbria.
Il fatto d’armi, che fu sanguinosissimo, segui nel nostro contado; e Carinate, lasciati sul campo tremila uomini, dovette rientrare nella città, dove fu assediato. Carbone mandò un forte soccorso a liberarlo; ma i sillani, avutone avviso, sorpresero quelle genti in un agguato, e ne fecero miserabile strage. Allora Carinate, cogliendo l’opportunità di una notte oscurissima e tempestosa pel vento e per la pioggia dirotta, trasse i suoi cautamente fuori delle mura, e sfuggendo alla vigilanza del nemico, che per quella perversa stagione faceva poco buona guardia, andò a riunirsi a Carbone, Spoleto, rimasta senza difesa, cadde in potere delle armi dei due pretori (82. av. C.). La strage di cui parla il Sansi avvenne “in un luogo nel piano, poco distante dal castello di Beroide, ove sorge una chiesolina che trovo nominata ora S. Angelo di nace, ora di nece; forse è nece, l’uccisione, la strage. Chi sa che questo nome non venga a que’ campi, che sono vicini all’antico corso della Flaminia, dal riferito combattimento”. Non ricordando la storia alcun’altra zuffa campale avvenuta in questi luoghi ne’ tempi romani, quella voce latina può renderlo verisimile“.
Nel Pelosius (codice della fine del ’300-I metà del ‘400) è annotato il pagamento di una colletta da parte di Sant’Angelo in Nace al Capitolo della chiesa di San Pietro extra moenia di Spoleto: ciò proverebbe l’esistenza della chiesa tra la fine del XIV e la prima metà del XV.
La Visita Pastorale del 1713 del Vescovo Lascaris si limita a dare una breve descrizione dell’edificio e ad annotare che la sua origine era ignota e che esso, insieme ai terreni circostanti, apparteneva al Seminario di Spoleto e dipendeva dalla parrocchiale di Beroide.
Aspetto esterno
L’edificio, con facciata sovrastata da un alto campanile a vela centrale, è di piccole dimensioni (circa 5,5 x 12 m) ed è realizzato nella parte bassa in filari regolari di blocchetti di calcare bianco.
Sulla facciata si nota il reimpiego di due grandi blocchi in calcare e del già descritto cippo funerario romano iscritto di età repubblicana.
Ad una certa altezza da terra, lungo tutto il perimetro, si nota un rifacimento delle murature con disposizione irregolare delle pietre.
Sulla parete laterale di destra si nota una rientranza che segna di qualche centimetro la parte alta del muro.
Nella lunetta sopra il portale si vede un affresco quasi del tutto perduto rappresentante la Vergine col Bambino.
La struttura riceve luce da tre feritoie (che all’interno appaiono come strette finestre strombate), due sul lato sinistro, una su quello destro.
Sulla parete presbiteriale esterna, in alto, c’è una rozza apertura a croce greca, non più visibile dall’interno.
Interno
L’interno è a navata unica con tetto a doppio spiovente e copertura a capriata lignea che raggiunge quota 4,7 m nella parte più alta e 4,10 m nelle pareti laterali.
Il pavimento è in laterizio ed è rialzato di un gradino in corrispondenza dell’area presbiteriale.
Sulla controfacciata si addossa, ai lati dell’ingresso, un sedile in muratura.
Sulla parete laterale destra, all’incirca sotto la finestra, si apre una nicchia, probabilmente usata per la conservazione dell’olio sacramentale.
Le pareti laterali e quella di controfacciata sono tinteggiate di bianco, con una fascia celeste ed una rossa a ridosso del tetto, con una grigia striata a livello del pavimento; restano ovunque tracce di affreschi quattrocenteschi.
La parete di fondo, in cui si appoggia l’altare maggiore, è stata dipinta a tempera, presumibilmente tra la fine del XVI e il XVIII secolo, con una finta architettura color ocra che sembra risparmiare al centro l’affresco quattrocentesco con la Vergine e due santi; in alto il campo rettilineo è culminato da quattro vasi di fiori, due grandi e due piccoli, e, sopra, da due angeli che sollevano un ostensorio.
Del ciclo di dipinti quattrocenteschi restano tracce su tre lati.
In area presbiteriale, in fondo alla parete laterale sinistra, in corrispondenza dell’angolo, si vede un affresco molto rovinato con cornice a stampino raffigurante San Rocco.
Sulla parete presbiteriale, la caduta dell’intonaco ha riportato alla luce un San Sebastiano, affresco dello strato più antico (dall’esame stilistico sembrerebbe risalire all’inizio del XV secolo) che era stato ricoperto da un affresco di epoca successiva, forse un San Michele Arcangelo, di cui si intravede un’ala; a destra c’è una Madonna della Quercia (l’immagine è posta su una tegola).
La cornice stampinata è la stessa dell’affresco con San Rocco.
Per questo ciclo, che è stato coperto successivamente dalla tempera, si può proporre una datazione intorno alla fine del XV secolo (il culto della Madonna della Quercia penetrò in Umbria dal viterbese verso la fine del ‘400).
Nel pannello centrale è raffigurata la Vergine col Bambino con a sinistra San Claudio, col martello in mano ed abiti quattrocenteschi (si veda la medesima iconografia nella Chiesa di San Claudio a Spello), e a destra un San Giacomo Maggiore, dalla corta barba, i capelli lunghi, abito cinto in vita e bastone da pellegrino.
Anche questo gruppo, in base ai caratteri stilistici, può essere datato al secondo ‘400.
A destra dell’altare si intravede un affresco, appartenente allo strato più antico, con San Michele Arcangelo, che sorregge la lancia e la bilancia.
Sulla parete laterale destra ci sono pitture su due registri.
In alto c’è un pannello, datato dall’iscrizione al 1461, con San Sebastiano e due personaggi maschili a fianco: entrambi gli uomini indossano una corta veste, una calzamaglia e un copricapo; il primo a destra tiene in mano due oggetti poco leggibili, di cui uno forse una squadra, il secondo una squadra o un compasso.
Si potrebbe trattare anche in questo caso della raffigurazione di San Claudio.
In basso, lungo la stessa parete, ci sono una figura femminile con un libro nella sinistra, forse Santa Caterina d’Alessandria, e un personaggio senza volto, di cui non si capisce il sesso, vestito con una tunica chiara e un manto scuro, forse un domenicano.
Fonti documentative
ANGELINI ROTA G. Guida di Spoleto e del suo territorio, A.G. Panetto e Petrelli, 1929
CORDELLA –INVERNI, San Brizio di Spoleto – La Pieve e il Santo – Storia arte territorio, Spoleto, Accademia Spoletina, Spoleto, 2000
FAUSTI L., Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
NESSI-CECCARONI, Da Spoleto a Trevi lungo la Flaminia, Itinerari Spoletini 5, Spoleto, 1979
SANSI A., Storia del Comune di Spoleto, Accademia Spoletina, Spoleto, 1876
Nota
Il testo è stato realizzato da Silvio Sorcini e Marina Malatino, la galleria fotografica è stata prodotta da Silvio Sorcini.
Nota di ringraziamento
Si ringrazia la professoressa Marina Malatino per la collaborazione nella stesura dei testi
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